II Dio del Dolore di Francesco Brandoli è il primo romanzo di un giovane scrittore che aspira a diventare un creatore di mondi, come fu ai suoi tempi – e tutt’ora – J.R.R. Tolkien. Ma non solo questo: il romanzo contiene riferimenti a numerose mitologie che l’autore mescola con competenza. Il Dio Creatore Assurbalkitespara ricorda il mitico re assiro Ashurbanipal; il giovane dio Ashioka, nipote del Creatore, richiama il sanscrito e la storia dell’India (Ashoka, 304-232 AC, grande riformatore, il cui simbolo, la Ruota di Ashoka, appare tuttora sulla bandiera dell’India); il temibile uccello Roc si rifà alla mitologia persiana e indiana; la Sfinge ci ricorda Edipo con i suoi indovinelli, e anche l’Egitto. Per non parlare delle innumerevoli creature ctonie che da un momento all’altro emergono dagli abissi del pianeta Amhambara.
Assieme alla mitologia terrestre, il romanzo contiene elementi fantascientifici: il “sole addormentato” (un accenno alla stupenda canzone Sleeping Sun dei Nightwish) ha una spiegazione soprannaturale ma anche una vena di credibile astronomia. Nella costruzione del suo mondo, l’autore mostra un pianeta straziato dall’assenza del suo sole; su questo pianeta si combattono due fazioni, gli Zaffiri e i Sassosi – i quali però non sanno che il loro destino è inestricabilmente legato a uno scontro fra dèi.
Ashioka, il Dio del Dolore e della Morte, è un personaggio meravigliosamente delineato: incerto su se stesso fin dall’inizio, preda di desideri come qualsiasi umano, combattuto nell’accettazione del suo ruolo, giunge a comprendere che il suo scopo è in ultima analisi positivo. La Morte porta consolazione, il Dolore porta accettazione. Il messaggio del libro è profondamente ispiratore: Morte e Dolore sono naturali e addirittura dolci, se accettati come tali. Nel Prologo questa visione è resa chiara: “la Teofania, la manifestazione del divino… che trascende ciò che è mortale”.
I personaggi “umani” della popolazione degli Zaffiri ricordano la mitologia greca già dal nome: Apollonio, Lisandro, Leonida. La loro battaglia contro i Sassosi, i loro “apparenti” (essendo essi stessi schiavi di dèi) antagonisti sul pianeta Amhambara, ricorda l’Iliade: umani contro dèi, dèi contro mostri. Lo scontro è delineato con competenza strategica, come qualsiasi grande battaglia dei tempi recenti, che sia Canne, Waterloo, oppure la Somme.
La trama contiene amore, morte, ricerca, battaglie. È riconoscibile il tema campbelliano del Viaggio dell’Eroe, che deve trovare il modo di salvare la sua terra attraverso prove di ogni genere, anche se tornando potrebbe non essere riconosciuto e accettato.
Questo vale sia per gli dèi che per gli eroi umani. Ashioka scende su Amhambara, dove il Sole è scomparso da tempo immemorabile, per riportare l’equilibrio fra vita e morte; il suo desiderio di amore è destinato a non trovare soluzione, e la sua fine ultima potrebbe non essere come lui si aspetta. Fra gli umani, il protagonista Apollonio, comandante degli Zaffiri contro i Sassosi, scopre un amore inaspettato e dovrà viaggiare a lungo e lottare per difenderlo, oltre che per salvare il suo pianeta e il suo Sole, senza la sicurezza di una conclusione felice.
Il finale è forse prevedibile. I personaggi che sono morti hanno una fine diversa da quanto ci si potrebbe aspettare, considerata l’ingerenza del Dio della Morte nelle loro vicende. Ma quello che davvero è imprevedibile avviene nell’Epilogo, e lascia presagire una nuova storia cosmologica…
In breve, Il Dio del Dolore è una eccezionale cavalcata attraverso miti e leggende di tutto il mondo, e attraverso la creazione di un mondo a sé stante. Possiamo solo attendere le future produzioni dell’autore, che sta lavorando a un’epica ancora più vasta. Tenetelo d’occhio!
2 commenti
Aggiungi un commentoDicono che una volta toccato il fondo si può sempre cominciare a scavare, indi per cui....welcome to next level!
Al di là della della vergogna. Prossima fermata il saggio sugli assorbenti di Hermione Granger. Pensare che iniziò tutto con un boscaiolo onniscente....
ormai dagli autori italiani non mi aspetto di meno in certi casi siamo quasi al ridicolo
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