Sono molte le ragioni per cui Han Solo è probabilmente la figura più amata dell’universo di Star Wars: l’interpretazione di Harrison Ford è sicuramente una di queste, ma a un livello più profondo credo che il motivo principale sia sempre stato quel fondo di ambiguità morale che lo rende più simile a noi comuni spettatori. Han appartiene sicuramente al campo dei Buoni, ma a differenza degli altri personaggi della saga (naturalmente parlo della trilogia originale) ha tutta una serie di difetti che lo caratterizzano e in cui è facile immedesimarsi: è egocentrico, vagamente misogino, attaccato al denaro e cinico al punto da “sparare per primo”. E non si tratta di caratteristiche secondarie: al contrario, sono proprio questi suoi difetti a costituire il motore della sua vicenda personale, dalla sua prima comparsa nella taverna di Mos Eisley, fino al suo ruolo di padre assente ne Il risveglio della Forza (mi sono rimesso a fare l’unica cosa che mi viene bene
, dirà a Leia per giustificare il suo ritorno alla vita di contrabbandiere).
Han funziona magnificamente come Aiutante dell’Eroe – al quale tra l’altro “frega la ragazza”, appropriandosi di una delle sue tipiche prerogative. Può funzionare anche come Eroe in solitaria, senza perdere quelle stesse caratteristiche da “canaglia” su cui si basa il suo successo?
Solo: A Star Wars Story può essere visto come un divertissement senza pretese, e senz’altro prima di tutto è una storia godibile e “leggera”, certamente meno impegnata e impegnativa di Rogue One. Tuttavia il compito di porre al centro della vicenda una figura problematica come quella di Han Solo rende l’operazione meno scontata e più profonda di quanto possa sembrare all’apparenza. Infatti proprio la sua ambiguità morale e la contraddittorietà delle sue motivazioni e dei suoi comportamenti, caratteristiche che Lawrence e Jon Kasdan hanno scelto di evidenziare piuttosto che di smussare, rendono in partenza Han Solo un Eroe atipico rispetto al modello che ci viene più frequentemente proposto nei blockbuster.
La particolarità dell’Eroe Han Solo si intravede fin dalle prime scene del film, quando il protagonista fugge da Corellia lasciando indietro la sua compagna Qi’ra, e per giunta arruolandosi nelle milizie imperiali; ma trova la sua espressione più emblematica nel confronto finale con l’Antagonista, in quello che dovrebbe essere il punto focale del suo personale Viaggio. Han affronta Tobias Beckett, che lo ha tradito dopo essere stato in precedenza il suo mentore; Tobias, un personaggio con cui abbiamo empatizzato nel corso del film, comincia la sua paternale sugli errori del giovane Han, che non avrebbe dovuto fidarsi di nessuno e tantomeno di Qi’ra, ma a metà del discorso si accascia al suolo, colpito al cuore da Solo, che senza alcun preavviso ha sparato per primo. L’Eroe non avrebbe potuto fare nulla di meno eroico.
Certo, è ovvia la citazione della scena nella Cantina di Mos Eisley, o meglio la meta-citazione della celeberrima discussione su chi avesse sparato per primo tra Han e Greedo. Ma è il contesto a rendere la sequenza ben più che un semplice omaggio alla tradizione: innanzitutto perché qui Solo è l’Eroe indiscusso della storia, poi perché Beckett ha nella vicenda un ruolo ben più importante della semplice comparsa, infine perché non siamo nelle fasi preliminari della vicenda, ma nella scena centrale dell’intero film.
Intendiamoci: Han spara a bruciapelo non per viltà né semplicemente per autodifesa, ma perché sparare per primo è il modo migliore, oltre che per sopravvivere, per compiere la sua missione. Ma Luke non l’avrebbe mai fatto.
È ben poco canonico anche il rapporto del protagonista con i principali personaggi femminili. Qi’ra, nello schema tradizionale del racconto, dovrebbe essere la principessa da conquistare, la ricompensa dell’Eroe vittorioso. Ma il personaggio si sottrae al ruolo, e abbandona Han in una scena per certi aspetti simmetrica alla sequenza iniziale su Corellia. Per conquistare una principessa, il nostro dovrà attendere la trilogia originale e una funzione narrativa più defilata. Proprio nel rapporto con Qi’ra possono ritrovarsi i semi del successivo sviluppo del personaggio di Solo, che suo malgrado “impara” dalla ragazza il cinismo che diventerà una delle sue principali caratteristiche. La chiave di questa interazione è nel dialogo su Savareen, in cui Qi’ra, non senza una sfumatura di scherno, si rivolge al ragazzo dandogli del “bravo ragazzo”: da quel momento l’intera parabola di Han Solo può leggersi come l’ostinato tentativo di scrollarsi di dosso questa etichetta.
L’interazione con Enfys Nest invece segue il percorso opposto: prima è il misterioso antagonista che rovina i piani dei contrabbandieri; rimossa la maschera, si scopre guerriera ribelle e rivela una statura morale superiore a quella del protagonista: Enfys è l’esempio che Han dovrebbe seguire per diventare l’Eroe della tradizione. Ma il protagonista ancora una volta rifiuta questo modello, sceglie di non unirsi all’Alleanza per seguire invece la sua strada individuale: una strada che, come sappiamo, lo porterà comunque ad avere un ruolo fondamentale nella lotta contro l’Impero.
Non si tratta di deviazioni accidentali rispetto al canone tradizionale dell’Eroe virile dal coraggio senza se e senza ma, un canone in sostanza rispettato, ovviamente con qualche variante, da gran parte dei film da botteghino (ad esempio nel ciclo degli Avengers); si tratta invece dell’adesione a un modello diverso e alternativo di Eroe.
Pur senza voler sovra-interpretare e caricare di significati eccessivi un’opera che resta di intrattenimento leggero, è possibile ritrovare nella storia del giovane contrabbandiere almeno alcune delle caratteristiche dell’Eroe imperfetto tratteggiato da Wu Ming 4 nell’omonima raccolta di saggi (Bompiani, 2010). Han Solo, specialmente se ne consideriamo l’intera vicenda, dalle origini raccontate nel film di Ron Howard fino alla conclusione (?) ne Il risveglio della Forza, condivide in effetti diversi tratti caratteristici dell’archetipo descritto da WM4: il suo stesso nome, come abbiamo scoperto in una delle scene iniziali, è direttamente legato alla sua condizione esistenziale di sopravvissuto; ma si trasforma alla fine del film (e ovviamente ancora di più nella trilogia originale) in qualcosa di abbastanza simile a un ribelle: se per il momento rifiuta lo scontro con l’Impero, lo combatterà un giorno unendosi da “irregolare” alla guerriglia dell’Alleanza; e ancora, nella formazione del personaggio influisce in modo decisivo un rapporto con le figure femminili che non è di conquista ma di apprendimento: un filo rosso, questo, che proseguirà fino a Gli ultimi Jedi congiungendo idealmente il personaggio di Han con quello di Poe Dameron.
In questa particolarità sta secondo me il valore del film, che sotto la superficie può rivelare a chi voglia scoprirle chiavi di lettura interessanti e tutt’altro che scontate, e che forse allora non merita di essere liquidato come un modesto per quanto gradevole esercizio di stile.
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