«Non posso volare... Non posso vedere attraverso i muri... Ma posso spaccarti il culo!»
Dave Lizewski è un giovane nerd americano come tanti. Vive con il padre vedovo, frequenta la scuola, coltiva fantasie erotiche su insegnanti e compagne. Non è popolare tra i coetanei, e divora letteralmente quintali di fumetti. Gli stessi che chiunque può sfogliare nel mondo reale. Spider-Man e gli X-Men vivono nelle fantasie di Dave contaminando la sua psiche di adolescente come un insidioso virus. Per una volta, non ci saranno ragni radioattivi, né raggi cosmici, e neppure traumi infantili che spingono verso un destino epico. Ma Dave ormai ha deciso. Diventerà un supereroe. Il primo eroe in tuta, carne e ossa. Dopo anni di letture a fumetti ne sa più di chiunque altro, e... cazzo se ci riuscirà!
Mark Millar non è un genio.
Un'affermazione che farà infuriare l'armata di imberbi bulli che lo ha
Questo fino a Kick-Ass, quello che potremmo definire il fumetto di supereroi definitivo secondo la poetica crudele di Mark Millar. Ma anche un momento di crescita, in cui il sangue, il turpiloquio e la volgarità trovano finalmente una vera ragion d'essere, e sbocciano in un racconto paradossale, dinamico e divertente. Basta con supereroi d'annata da svecchiare facendo loro calare le brache. Basta con visioni criminali che più dei supereroi ricordano i deliri erotici del marchese De Sade. Mark Millar è infine diventato grande. Ha capito che i supereroi non esistono. Che non possono esistere, e che non esisterebbero neppure quelli toccati dal suo trucido restyling, nonostante il tempo speso a persuaderci di essere supereroi “realistici”. Con Kick-Ass si torna veramente con i piedi per terra, e gli eroi in tuta vengono ricollocati là dove si trovano più a loro agio: nei fumetti. In questa metropoli non si corre più veloce della luce, non si sfreccia nel cielo sfiorando i grattacieli, non si tessono ragnatele, e le pallottole, i pugni fanno male. Dannatamente male...
Se pure ha indossato i pantaloni lunghi, Mr. Millar pensa bene di lasciare la patta diligentemente sbottonata. Il suo target d'elezione non gli perdonerebbe un drastico cambiamento di registro. I dialoghi di Kick-Ass sono sicuramente tra i più sboccati degli ultimi anni, ma l'atmosfera pulp, ammiccante a un'estetica cinematografica vicina a quella di Quentin Tarantino, li rende funzionali al vero obiettivo di questo fumetto. Essere un gigantesco sberleffo ai supereroi, ma sopratutto alle fantasie infantili che tutti abbiamo vissuto. Lo stesso vale per la violenza, ultrasplatter e grottesca come non si vedeva da tempo. Il fantasma del Coyote della Warner Bros, destinato a subire inenarrabili martiri, ma comunque pressoché indistruttibile, aleggia di tanto in tanto tra le pagine, ma la sua presenza è discreta. Una brezza leggera, soffiata sul viso del lettore come gli adagi terroristici che accompagnavano pellicole estreme negli anni settanta: “Se non volete svenire, continuate a ripetervi: è solo un film!”.
Un'altra eresia, stavolta di ispirazione letteraria. Che probabilmente non piacerà tanto agli ammiratori di Millar quanto ai suoi detrattori. Con Dave Lizewski, Mr. Millar ha portato sulla carta la sua personale Madame Bovary. Mette in scena, cioè, un personaggio la cui vita non presenta alcuna ragione di entusiasmo. Una persona totalmente assorbita dalle proprie letture e dal desiderio di trasformarle in realtà, forzando gli eventi fino alla tragedia. Ma ci rammenta anche una celebre eroina del teatro di Henrik Ibsen, che non riuscendo a evadere da una vita anonima neppure mettendo in atto machiavelliche malvagità, si trova a dire sconsolata: «E' terribile! Volgarità e ridicolo infettano come una maledizione tutto ciò che tocco».
E così succede a Kick-Ass, improvvisato supereroe newyorkese, troppo
L'inizio è magistrale. E per inizio, non ci riferiamo qui alle primissime vignette, pure importanti, ma alla prima apparizione dell'eroe protagonista, con un biglietto da visita che fa accapponare la pelle e accende di colpo le luci del teatro fatiscente in cui siamo incautamente entrati. La chiave dell'ironia, sebbene sudicia e cattiva, si addice all'estro di Mark Millar. Dopo supersoldati fanatici e mostri grigioverdi affamati di sesso, Kick-Ass sembra voler dare ragione tra le righe a quanti dicono che i fumetti di supereroi siano diseducativi. Stavolta mostrandone direttamente gli effetti dannosi per la mente (e i corpi) di chi li percepisce come oggetti di culto. Figure mascherate come Big Daddy, Hit-Girl e Red Mist, rendono New York un posto ancora più pazzo e pericoloso di quanto già non sia. E mentre la montagna di cadaveri diventa più alta, ci si aspetterebbe di vedere uscire dalla tomba Fredric Wertham, autore de La Seduzione degli Innocenti, per andare incontro a Mark Millar con le braccia spalancate. Se solo Kick-Ass non fosse pur sempre un fumetto che parla di vigilanti in costume, in grado di causare un cortocircuito mediatico dal gusto spiazzante.
La provocazione di Mr. Millar stavolta è rivolta contro i suoi stessi lettori, contro chi pensa che combattere sia figo, e che il sangue sia un nettare di cui inebriarsi. A emergere, tra le pieghe della calzamaglia, stavolta ci sono stupidità, vuoto narcisismo, incompetenza, incoscienza. Questi eroi così poco super del mondo concreto sono molto simili ai giovani concorrenti dei moderni reality, e ne mimano le effimere, discutibili impennate di popolarità. Da un certo punto di vista, Kick-Ass potrrebbe essere letto come il fumetto più ambizioso di Mark Millar, e il suo piglio beffardo, in apparenza leggero, non dovrebbe trarre in inganno.
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