Un elfo delle tenebre e un cavaliere nero incrociano i loro destini quando vengono tagliati fuori dal mondo in cui vivono. Traditi, si ritroveranno costretti a schierarsi dalla parte della loro opposta fazione. Per quanto sia difficile accettarli come alleati, il popolo della Luce - in fase decadente -, accoglie Aradras e Uldaric, disposti a tutto per ridare un senso alla propria esistenza e ricercare i pezzi di un'antica e potente armatura, unica possibilità per combattere lo stregone, despota della Grande Terra.
Alla sua seconda pubblicazione, Alfonso Zarbo dà dimostrazione di passione e rispetto nei confronti della scrittura e del fantasy. Non senza qualche difetto, Ivengral mostra fin dalle prime battute il suo potenziale: una storia semplice ma scorrevole, in grado di catturare l'attenzione del lettore senza mai cadere in punti morti.
Partendo da basi fantasy classiche, Zarbo crea un universo dettagliato ed evocativo. Rispetto ai primi capitoli, man mano che ci si addentra nella lettura, si può notare un miglioramento nello stile; capitoli brevi, che aiutano a delineare meglio la trama, distribuendo le informazioni poco per volta.
Uno dei pregi di Zarbo è sicuramente lo stile in uso soprattutto nei passi descrittivi. Gli ambienti e le azioni dei personaggi sono immagini vivide, studiate, facilmente rappresentabili nella mente del lettore. Minuziose le scene di battaglia, in cui vengono presentate nel dettaglio le armi di ispirazione medievale, alcune rimodellate con fantasia.
Meno riusciti, invece, i dialoghi, capaci sì di definire i personaggi della compagnia, ma non sullo stesso piano della narrazione in terza persona. Tuttavia, i protagonisti sono ben raffigurati; Aradras e Uldaric non sono stereotipi del genere, ma generose ispirazioni alla Sword and Sorcery. Non da meno la caratterizzazione degli altri personaggi, più o meno importanti, anch'essi protagonisti della compagnia.
E' interessante percepire la sensazione di leggere un libro dai toni classici, rivisti più volte in altre produzioni mediatiche, ma rimanere comunque soddisfatti dal progetto.
Alcune sviste ortografiche e la scelta difficile di utilizzare nomi di origine tedesca - troppo lunghi e difficili da ricordare - non offuscano il buon risultato globale del romanzo, al quale si aggiunge l'utile glossario finale, la cronologia della Grande Terra e l'accattivante copertina disegnata da Sara Forlenza.
Un libro gradevole, adatto anche a lettori non particolarmente affezionati al genere a cui il romanzo è legato. Se si volesse riassumere Ivengral in un messaggio, la frase perfetta sarebbe: "L'avventura non tramonta mai".
22 commenti
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Zafira, il forum è un luogo di scambio d'opinioni, non un posto per dare visibilità al proprio sito, attirando contatti tramite FM; se si vuole fare si può mettere nella firma il link del proprio blog, non nel modo fatto nel messaggio precedente.
Questo libro l'ho letto tempo fa e devo dire che mi è piaciuto. Io leggo da lettrice, quindi è probabile che il mio giudizio sia un po' ingenuo e senz'altro meno professionale di quello di un critico, però da lettrice appunto mi è piaciuto. Ho assaporato le atmosfere delle battaglie che l'autore ha creato e ho vissuto la storia legata ai personaggi con una devozione quasi totale. I personaggi mi sono sembrati ben caratterizzati e la storia ben strutturata. Non ho visto grandi punti deboli, insomma. L'ho assaporata come assaporo molti altri testi, alcuni mi piacciono di più, altri meno. Hanno pregi e difetti che a volte si bilanciano e a volte invece no. Questa volta, secondo me, la bilancia pende dalla parte positiva.
Non mi piace molto la copertina, ma è un mio parere, ovviamente.
Ho letto il libro di Zarbo e mi è piaciuto.
Non posso che essere d’accordo col recensore quando dice che uno dei pregi dell’autore è proprio quello di creare atmosfere magnifiche ed evocative, con descrizioni ben fatte e appaganti.
La recensione mi pare ben fatta, capace di incuriosire il lettore al punto giusto. Capace di metter in luce qualità e difetti senza tuttavia sminuire l’efficacia del testo.
Non posso che consigliarlo, perché si tratta di un testo suggestivo e interessante.
M.T, lo scopo del link non era quello di acquisire visitatori tramite questo sito, ma semplicemente quello di rimandare alla ricensione di Ivengral già postata nel mio blog, perché mi sembrava troppo lunga per postarla qui, ma ormai lo faccio lo stesso.
"Aradras: principe tenebroso ardente di rabbia per il genocidio del suo popolo. Ma da che parte schierarsi ora che tutti coloro di cui si schierava sono stati inghiottiti da un baratro persino più buio dei loro stessi cuori? Possibile che il male sia l'unica via?
Uldaric: implacabile segugio al soldo del più oscuro demone rinato dall'antichità. Il dovere sembra avere ormai divorato il suo cuore sigillandolo in un'armatura di gelido metallo nero.
La spada è la sola compagna che gli resta, l'unica a comprendere il dolore che rivela ogni suo gesto. Esiste un modo per riscattare una vita fondata sulla pura violenza?
Le strade dell'elfo delle tenebre e del cavaliere nero si incroceranno per caso lungo un cammino tortuoso, ai loro occhi privo di vie di salvezza. D'altronde chi è cresciuto nell'ombra non potrà mai abbracciare a priori le forze del bene. Ma se d'un tratto anche la luce avesse bisogno di scendere a patti con l'oscurità?
In fondo, a volte, anche chi è di animo buono è costretto a sfoderare l'acciaio per squarciare le nuvole e poter guardare di nuovo il cielo."
*** Prima di iniziare questa recensione, premetto che tutto ciò che verrà scritto di seguito costituisce una critica al libro e al suo autore in quanto tale, non in quanto persona. I commenti sono frutto puramente della lettura e delle mie considerazioni personali, non derivano da frustrazione nè - tanto meno e nel modo più assoluto - da invidia.***
Partendo dalla seconda di copertina, dico come prima cosa che mai, mai in tutta la mia vita ho incontrato una presentazione che avesse così poco a che fare con il contenuto del libro. La parte che vedete scritta sopra in corsivo non c'entra, consentitemi l'espressione, " un fico secco" con quanto si trova sfogliando le pagine, non dice proprio niente di "Ivengral". Primo perché vengono "presentati" ( ma nemmeno poi tanto, perché io sinceramente non ho trovato, nel libro, riscontri di quanto scritto nell'introduzione) soltanto due dei personaggi, mentre la vicenda ruota attorno a ben sei personaggi, che possono a buon diritto considerarsi i protagonisti. Secondo perché alcune informazioni si trovano solo qui: Aradras indeciso? Uldaric tormentato dal passato, con ogni suo gesto che rivela dolore? Scusate, ma questo a me proprio non risulta. Il suddetto Aradras non mi pare abbia poi tanti dubbi su quale strada scegliere e per quanto riguarda lo sterminio del suo popolo ( di cui si tratterà in seguito) beh... per due- tre pagine ( forse qualcuna in più) se ne parla e poi...
E per quanto riguarda Uldaric... vabbè, non vale neanche la pena di soffermarcisi.
Tra tutti i romanzi fantasy che ho letto, Ivengral è stato, senza usare mezzi termini, il più deludente, il più banale, il più patetico e il più "illogico", con situazioni che sono assolutamente impossibili nella realtà - e qui la scusa che "tanto è fantasy" proprio non regge.
La trama per sommi capi è questa: Aradras, giovane principe degli elfi delle tenebre, dopo lo sterminio del suo popolo e l'assassinio del padre ad opera di un miserioso Cavaliere Spettro, viene in possesso di un misterioso guanto magico con poteri misteriosi. Tali poteri si rivelano per la prima volta quando suddetto guando trasporta Aradras e Uldaric, un disertore dell'Armata Buia incontrato da Aradras e dal padre Hamnas pochi istanti prima, nello Svartalfaheim, foresta mezza conquistata da spiriti maligni e difesa strenuamente da alcuni elfi della luce. In tale foresta Aradras e Uldaric vengono fatti prigionieri da Alderan, capo di un gruppo di elfi, il quale, dopo aver ascoltato di come Hamnas e il suo popolo sono stati sterminati, conduce i due prigionieri dal padre, il re Oberon. Alla corte del re degli elfi della luce Aradras conoscerà la verità sul passato di suo padre e sull'Artefatto, che altro non è che un guanto dell'armatura di Ivengral, l'eroe leggendario che in passato aveva sconfitto il male. Giurando di vendicare lo sterminio del suo popolo, Aradras giura di mettersi alla ricerca dei mancanti pezzi dell'armatura per sconfiggere l'Hexenmaister, che non fa mai la sua comparsa nella vicenda ma che viene così descritto dall'autore stesso: "... un essere privo di scrupoli, un tiranno che negli anni era diventato un essere implacabile, una bestia. Alcuni lo ripudiavano, al contrario di quelle creature oscure e sanguinarie che lo servivano e lo veneravano. Altri ancora cercavano di stare il più possibile alla larga dai suoi diabolici potere. Ma tutti temevano il potente mago divenuto despota del Primo Regno, terra dei Mortali, e conquistatore della Grande Terra." Ho solo una cosa da dire a questo proposito: SHOW, DON'T TELL!!!!!
Così Aradras, accompagnato da Uldaric, Alderan, Lourina, un druido, Eleuter e Sivilian, due elfi gemelli, si mettono in viaggio verso l'isola di Sakaras per recuperare il secondo frammento dell'armatura leggendaria, custodita dal grigio cavaliere Elnat.
Niente di familiare?
Andando per ordine, cercherò di analizzare i vari aspetti di questo libro:
- Assoluta mancanza di originalità
- Caratterizzazione dei personaggi pressoché assente o quantomeno molto molto superficiale
- Orrori grammaticali e uso inappropriato dei termini della lingua italiana ( mai sentito parlare di vocabolario? Può essere utile, se si hanno dei dubbi...) e il tutto dopo essere passato in mano all'editor e presumo ad altri lettori "intimi" dell'autore
- Banalità e assoluta mancanza di logica in molti aspetti e vicende
- In due parole, molto spesso ho avuto l'impressione di leggere l'opera di un ubriaco
1) Assoluta mancanza di originalità
Non vi è niente, in Ivengral, che lo faccia distinguere dagli altri miliardi di fantasy che si possono trovare in giro per il mondo, anzi, di sicuro è quello che ho trovato più banale. L'atmosfera tetra e misteriosa evocata nella prima parte di questa recensione la si trova solo lì, in quelle poche righe scritte prima dell'inizio del libro vero e proprio, e nella copertina "magnifica". Lo sterminio di un popolo e la promessa di vendetta? Già letto mille volte. Cronache del Mondo Emerso di Licia Troisi, per fare un esempio. Distinzione in razze: elfi della luce, elfi delle tenebre, Mortali ( mi raccomando, con la M maiuscola), druidi, valorosi nani, con il supercattivone che non può assolutamente mancare fa pensare ad un'imitazione del Signore degli Anelli e di decine di altre opere. Insomma, per essere ricordato dai posteri, il signor Zarbo avrebbe dovuto impegnarsi molto più di così. Il tema della ricerca, poi, è comune a qualsiasi fantasy e in Ivengral non presenta alcun elemeno particolare, anzi, il viaggio dei protagonisti si rivela nel complesso piuttosto noiosetto. Insomma, leggere questo libro o leggerne un altro che può essere classificato nella categoria fantasy porterebbe agli stessi risultati. Anzi, forse un altro libro porterebbe più soddisfazioni.
2) Caratterizzazione dei personaggi pressoché assente o quantomeno molto molto superficiale
E molto spesso contradditoria. Aradras, il guerriero forte e coraggioso, che viene fatto passare per spietato, scoppia a piangere due volte ( per rabbia e dolore, ma pur sempre pianto è ) nel giro di quattro pagine. Alderan, il generale serio e severo, ride tranquillamente con i suoi compagni. Uldaric, il disertore ( di cui tutti però si fidano ciecamente fin dalla prima volta che lo vedono), dovrebbe avere un cuore di metallo, ma già dalle prime pagine comincia ad affezionarsi ad Aradra, colui che solo potrà sconfiggere l'Hexenmaister indossando l'armatura di Ivengral. Toh, che strano, suona stranamente familiare, voi non trovate? Per quanto riguarda gli altri... sinceramente, sarà che ho impiegato mesi per leggere questo libro, ma io non saprei dirvi quali siano le caratteristiche peculiare di Sivilian ed Eleuter, gemelli scherzosi e guerrieri, e Lourian, che forse Zarbo voleva far passare per il saggio del gruppo... chissàm bisognerebbe chiederglielo direttamente, perché dal libro non si capisce granché.
Inoltre, non basta dire che un personaggio è, per esempio, "autorevole" perché il lettore se lo immagini così, è necessario anche mostrare, con i fatti, con le azioni, che l'autorevolezza è una delle qualità che contraddistingue quell'elemento. Poi, altro grande difetto che a parer mio va a ledere la struttura già labile di questo romanzo, è il punto di vista che, più che essere ballerino, qui sembra proprio saltellare su un tappeto di braci ardenti, incapace di stare fermo anche soltanto per un minuto. Sei sono i personaggi principali, a cui se ne sommano per alcuni istanti nel corso della vicenda altri secondari: immaginatevi di entrare alternativamente nella mente di ognuno di questi, prima Aradras, poi Uldaric, poi, nel giro di un battito di ciglia, Alderan e così via, in una trottola impazzita che non solo non serve a capire meglio la psicologia ( assente) dei personaggi, ma crea soltanto confusione e fastidio, soprattutto in quei lettori che prediligono uno stile chiaro e diretto, e soprattutto pensato, e non buttato lì, come viene viene e amen. I protagonisti non riescono ad appassionare, a coinvolgere, ho finito il libro soltanto ieri e già comincio a dimenticarmeli, proprio perchè non restano impressi - nè durante la lettura, nè tanto meno dopo.
3) Orrori grammaticali e uso inappropriato dei termini della lingua italiana
Quanti di voi non sanno che il pronome relativo va posto subito dopo il termine a cui si riferisce, magari separato da una virgola o da una incidentale, ma non da altri termini? Il signor Zarbo sembra invece intenzionato a riscrivere i libri di grammatica con il suo personale uso del pronome relativo; ne troviamo un esempio ( non l'unico) in questa frase: " avvertì la sibilante lama urtare il torace in diagonale, che sclafì il giustacuore di cuoio che portava sotto il mantello.". Aspetto perggiore è che, appunto, non si tratta purtopppo di un caso isolato.
Per quanto riguarda il lessico, sapete tutti cosa significa "caggiagione"? Io, per sicurezza, ho controllato sul vocabolario: Cacciagione =selvaggina, gli animali uccisi cacciando. Ma evidentemente il signor Zarbo non la pensa così: secondo lui, se i guerrieri ritornano dalla foresta allegri e contenti e con molte prede, è segno che "la cacciagione aveva dato buoni frutti". Mi spiegate come questo sia possibile, dal momento che la cacciagione è il frutto? Forse Zarbo intendeva dire che la battuta di caccia aveva dato buoni risultati? Mah! E altre imprefezioni simili, che non non sto qui a scrivere - mi ero riproposta di prendere degli appunti man mano che procedevo con la lettura, ma poi mi sono resa conto che avrei sprecato troppa carta e ho deciso di fare affidamento soltanto sulla mia mente, per cui vi basti sapere che sono molti i termini che presso Zarbo assumono un significato diverso da quello del vocabolario. Ah sì, per esempio, scervellarsi=lambiccarsi, stillarsi il cervello, rompersi il capo intorno a un problema, a una questione confusa, complessa. Per il nostro autore, quando un personaggio - Aradras - si chiede Chi è?( qualcuno), ebbene, egli si sta "scervellando" ( poveri noi, e pensare che il mondo è nelle sue mani! Se per lui questa domanda costituisce un motivo di lambiccamento, siamo messi bene!). Da notare che la risposta a tale domanda viene fornita qualche riga più sotto, quindi Aradras ha tempo circa due secondi per porsi la domanda - ma evidentemente per il suo cervello è uno sforzo talmente considerevole da parlare di "scervellamento".
5) E veniamo a quello che io considero il maggior e peggior difetto di tutta l'opera: assoluta mancanza di logica, riscontrabile durante tutto il libro, come se l'autore, via via che scrive, si dimentichi tutto ciò che ha appena scritto sopra ( si tratterà di una forma di perdita di memoria a breve termine?).
E' stata proprio questa incoerenza di fondo che ha fatto di Ivengral uno dei peggiori libri finora letti. E' stato l'unico libro in assoluto che ho cominciato circa cinque volte prima di riuscire ad andare oltre le prime due pagine. In poche parole, è come se mancasse quella struttura logica che tiene insieme ogni libro che si rispetti.
Scena iniziale: é notte ( chissà perchè poi non si possa combattere alla luce del sole), due guerrieri si stanno sfidando in quello che sembra un duello all'ultimo sangue, in cielo brilla soltanto una pallida falce di luna. Sufficiente però a proiettare lunghe ombre sul terreno e a rendere perfettamente visibili i colori degli abiti dei due contendeti. I quali, in un primo momento combattono con scimitarre, poi, qualche riga più in basso, con spade, poi ancora con scimitarre... ma in somma, alla fin fine con cosa stanno combattendo, si può sapere?!
Entrambi sembrano essere maestri di scherma, sono affascinati dalla maestria dell'avversario e poi... tic e tac, detto fatto, con una mossa banale che viene lasciata in gran parte all'immaginazione dell'autore ( come la maggior parte delle scene di combattimento), uno atterra l'altro. Tutto qui? Beh, decisamente dei grandi maestri, soprattutto quello che si è fatto disarmare. Dal nemico? No, dal padre e maestro.
Padre e figlio - Hamnas e Aradras- proseguono al mattino per la loro strada. Giunti ad un villaggio, grazie al loro fiuto da segugi sono, prima ancora di mettere piede tra le case, in grado di dire che cosa stanno cucinando gli abitanti all'interno delle loro case. Devo ammetterlo, al momento li invidio, dato che io con il raffredore che mi ritrovo in questi giorni sono costretta a tenere perennemente la bocca aperta, con il rischio che qualche insietto ci finsica dentro prima che riesca a chiuderla.
Il villaggo è una piccola città dispersa e isolata, con quattro edifici insignificanti ( parole del libro) ma pattugliato giorno e notte dai soldati dell'Hexenmaister. In questo villaggio si va avanti ad un certo punto un menestrello. Di questo, prima ancora che apra bocca, sappiamo nome vita morte e miracoli, cosa racconterà e anche la punizione riservata ai menestrelli nelle altre zone del regno del Tiranno. No scusate, in questo caso si chiama Hexenmaister. Secondo la mia modesta opinione, queste continue intrusioni dell'autore nella narrazione sono davvero irritanti e tolgono il gusto della scoperta ( se mai vi è qualcosa da scoprire).
Facciamo un salto temporale. Aradras e Uldaric si risvegliano nel campo ( di cui, con una sola occhiata ai soldati che lo abitano, riescono a capire le abitudini giornaliere e anche la sua organizzazione gerarchica - e, ripeto, guardandolo soltanto, senza che nessuno dica loro niente) di Alderan. Il padre di Aradras è da poco - si parla di qualche ora - stata assassinato praticamente sotto gli occhi degli figlio. Aradras sviene poco dopo aver usato il guanto. Quando si risveglia, Uldaric, vedendo che ha gli occhi lucidi, gli rivolge questa frase: "Parlami di tuo padre: ti manca molto?". Niente di più inrtelligente da dire, soprattutto considerato che lo ha appena appena ( ripetizione voluta) perso e probabilmente deve ancora rendersene conto? A me, sinceramente, sono cadute le braccia.
Uno degli aspetti più "interessanti" del libro è costituito proprio da Uldaric. E' un disertore dell'Armata Buia, è stato sottomesso all'Hexenmaister per anni, ma non c'è nessuno, dico, nessuno che si faccia problemi a viaggiare al suo fianco o ad accodargli la propria fiducia, sebbene possa rappresentare un potenziale nemico. Non vi pare un po troppo "alla buona"? Insomma, io ci penserei due volte prima di intraprendere un viaggi accanto a un ( ex) servo di colui che ha dato ordine di sterminare il mio popolo ( a proposito, Aradras è l'unico sopravvissuto della sua razza, ma possibile che tutti, ma proprio tutti tutti tutti gli elfi delle tenebresi trovassero nella loro città, e che solo Hamnas e Aradras mancassero all'appello?).
Si potrebbe andare avanti all'infinito: soldati urlanti che si precipitano con le spade sguainate verso il villaggio che hanno sterminato qualche ora prima ( senza essersi ancora accorti che erano giunte nuove persone - 3, per l'esattezza), Uldaric che afferra al volo una catena appuntita senza farsi nemmeno un graffio, generali e soldati che davanti alla comparsa di un nemico sconosciuto e mostruoso, mai visto prima e demoniaco, trovano anche il tempo di star fermi ad osservare tale mostruosità e di interrogarsi sulla sua intrinseca natura, oppure di fare un bel discorsetto d'incoraggiamento ai soldati - fate con comodo, tanto il nemico che si trova a due passi da voi aspetterà i vostri comodi.
Tutte queste approssimazioni, questo " buttare là le cose" senza chiedersi se sia effettivamente possibile, pur trattandosi di fantasy, che esse avvengano, questo non porsi domande far finta che vada tutto bene sono gli elementi che mi hanno fatto dire di Ivengral quello che trovate scritto sopra. Esempi si possono trovare nelle vicende ma anche nelle singole frasi: " l'aria gelida di Sakaras sembrava non intaccare i loro corpi, protetti dalla testa ai piedi con un lungo giaco di maglia, che lasciava scoperte le braccia e le gambe muscolose.". Meraviglioso, non trovate? L'ho letta a mia mamma, e perfino lei si è fatta due risate. Poi troviamo elmi corinzi ( da Corinto, in Grecia? Che Zarbo si sia dimenticato di parlarci dell'esistenza di varchi dimensionali che mettono in comunicazione il pianeta Terra con il mondo dei personaggi di Ivengral?), occhi celestiali ( di Uldaric? sì, proprio suoi),guarigioni che vengono effettuate grazie a, immaginate un po', incantesimi di guarigione ( potevano forse essere fatte con qualcos'altro? Era proprio necessario specificarlo?) Tuttavia la frase è proprio questa:"Lourian era chino su di lui nel tentativo di guarirlo con un incantesimo di guarigione.". Ulteriore elemento che mi ha fatto invocare letteralmente pietà e ringraziare il cielo che il libro era in prestito e non avevo speso soldi per comprare qualcosa che sinceramente non riesco a capire come sia potuto finire sugli scaffali della Linee Infinite Edizioni.
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