Una caratteristica peculiare della Fantasy è fuori da ogni dubbio è la volontà di creare mondi complessi e articolati. Sangue Ribelle di Alessio Banini non sfugge a questa regola. 

C'è un Impero, che in origine era un piccolo regno, che nella sua crescita ha fagocitato la civiltà degli Antecessor. La mania della guerra e dell'Impero, la crescita di una "civiltà" a discapito di un'altra è l'antefatto del mondo in cui si muovono i personaggi. Un mondo fantastico solo per toponomastica e per nomenclatura, perché nella sua descrizione non sarà impossibile riconoscere tratti familiari della storia umana. Scegliete voi il conflitto che più vi aggrada. Per il piccolo spazio del nostro pianeta le civiltà umane hanno sempre combattuto il vicino. La crescita dell'avversario diventa espansionismo imperialista dal punto di vista di chi la subisce. E come sempre se si guarda a queste dinamiche con la prospettiva dello storico, non ci sono buoni o cattivi, non ci sono conflitti tra bene e male.

In questo il romanzo di Banini sfugge allo stilema del Fantasy come conflitto tra bene e male assoluti, rinunciando, anche nei personaggi a eroi senza macchia e senza paura e malvagi dal cuore nero e dagli obiettivi apocalittici.

Non che manchino i personaggi, dall'ex Sensale Elifas Levi, un non-morto, al Custode Antecessor Naven, la cui missione è salvare la sua tribù, al nobile esponente imperiale Steven Shiller, all'evocativa figura della Regina degli Stracci,  fulcro di uno scontro sanguinoso tra fazioni.

Quello che è importante da evidenziare è che l'autore non sembra propendere verso nessun versante della guerra che descrive.

Nel mostrare l'evolvere della vicenda, da un capitolo all'altro,  da un punto di vista all'altro, il lettore entra, volente o nolente, in empatia con tutte le ragioni, riconoscendo a tutti, più il ruolo di vittime del conflitto che di carnefici.

La tesi verso cui l'autore sembra propendere è che è la tautologicamente la Guerra non ha altra ragione che nutrirsi di se stessa e che non esistono "guerre giuste" o "guerre sante". Nessuna ragione di essere da qualsiasi parte la si combatta, specialmente poi se chi era l'aggredito di ieri, entra nella spirale della vendetta e della ritorsione.

A quel punto perdere l'origine del conflitto è inevitabile e la distruzione totale l'unico esito possibile, a patto di uscire dalla spirale, di avere la forza di fermarsi, altrimenti non c'è ritorno.

Plaudo inoltre, senza mezzi termini alla scelta di non strizzare l'occhiolino al pubblico "giovane". Non che un giovane più consapevole delle cose del mondo non possa trovare nel romanzo spunti di riflessione. Ma  è chiaro che per situazione e argomenti e per come vengono esposti, non siamo alle prese con il romanzo YA fatto con lo stampino.

Il punto dolente è che però l'affresco generale sembra fagocitarsi, in moltissimi punti, la vicenda. Le accurate descrizioni della storia del mondo narrativo indugiano parecchio nel raccontato, specialmente nella prima parte, ricolma di infodump che sfiora il saggio antropologico.

Le battaglie non mancano, e anche le descrizioni non hanno alcuna enfasi militarista, specialmente quando mostrano eserciti contro civili. Ma non crediate che il concetto di "civile" sia sinonimo di vittima innocente.

La lotta per la sopravvivenza e lo spazio vitale è amorale. La forza del romanzo è riuscire a mettere in luce questa amoralità, con i cambi di prospettiva di cui ho parlato prima.

E' comunque l'opera di un autore in crescita, scritta con un linguaggio adulto e ben maneggiato, a cui le buone idee non difettano.