La croce sulle labbra è un sano e consapevole “medical thriller”, dal sapore horror e dai colori intrisi di una realtà politica attuale, da cui si evince il tentativo di scampare alla folle epidemia che affligge i Caraibi e che poi sbarca direttamente a Milano. La vita della città sarà segnata da uno scenario post-apocalittico: suicidi e morti violente, tutte accomunate da un inquietante herpes che taglia le labbra delle vittime a forma di croce blasfema. Tre infettivologi indagano tra le fitte trame di una setta di untori caraibici, intenti a diffondere la propria fede nel mondo sotto forma di virus mortale.
Già dalle prime righe si intuiscono il fascino e la profondità di questo romanzo. È una storia avvincente, cruda, ubriaca di orrori e di atrocità ma allo stesso tempo intrisa di uno stile quasi poetico. Sì perché non si tratta della solita storia di “peste e corna’’, ma di uno scenario originale, offerto ai lettori da Danilo Arona e Edoardo Rosati. Dopo la bella prova di Protocollo Stonehenge i due autori tornano insieme e stupiscono con una storia a dir poco sconvolgente.
Il virus di cui parla il romanzo è una pestilenza, una di quelle che corrode le membra ma pure le menti delle società odierne. Un morbo che nasce dal “potere’’ e si diffonde nelle città, divora i corpi, fino a dilaniarli. Dal mare delle Antille alla città di Milano il contagio non risparmia nessuno.
Chi sarà il responsabile? Se mai vi fosse. "Di nuovo quel graffito firmato i Cugini di Constanzo
Il vecchio: Il vecchio ciondolava davanti alla coppia con sguardo amorfo.
Marionetta scomposta. Un corpo quasi deprivato della scintilla
cognitiva. Un furto dell’anima."
Da una indiscussa competenza in materia e da un collaudata esperienza del genere nasce un cocktail d’eccezione: un romanzo "medical thriller" che lascia il segno… sulle labbra. Un segno a forma di croce. Gli eventi, le sensazioni, gli stati d’animo sono elementi coesi in un fitto scenario: il fanatismo, i complotti, la disperazione. L’impronta Horror sparge il giusto sangue, anzi per dirla alla maniera del romanzo v’è una buona dose di “marmellata sanguigna’’ che stritola il lettore nella morsa di un potere misterioso, detenuto da oscuri personaggi, gente potente, i corrotti dei nostri tempi. L’atmosfera cupa, esasperata, predispone al crudo evolversi delle vicende; un susseguirsi di azioni degne delle migliori scenografie. Il ritmo è d’impatto, fin dalle prime righe, e tiene a lungo con il fiato sospeso. Le parole scavano dietro l’apparente quiete di una realtà locale, fino a scorgere i mali orrendi di cui essa si alimenta, mali che divorano le anime e la carne. La profonda conoscenza della branca medica fa da sostegno alla struttura narrativa apparentemente semplice, ma in fondo complessa. A mezzo di una coerenza e una linearità concettuale davvero unica, la trama conduce oltre il contenuto delle vicende e rispecchia problematiche sociali di ampio respiro. A farla da padrona è un macabro virus, un contagio alimentato in nome del misterioso culto del dio Exu. Il male, però, non è che uno strategico imbuto in affluiscono altre realtà, amare quanto attuali. È un po’ come guardare il mondo da una prospettiva diversa, quella di vittime di un sistema sempre più perverso.
La scrittura del romanzo è un’altalena che oscilla tra il brivido e l’orrore, tra la verità e la fantasia, tra la crudezza dell’oscuro alla magia delle parole. Chi meglio dei due autori avrebbe mescolato ingredienti così diversi in modo non scontato, imprevedibile. Il lettore è chiamato a vivere la sofferenza e la crudeltà del morbo in prima persona, accanto ai personaggi principali, toccando con mano le atrocità del morbo, magari proprio come fa Roberta, che nell’aprire una scatola cranica ci offre una panoramica a dir poco soddisfacente…: "La sostanza grigia delle circonvoluzioni e quella bianca erano bucherellate da migliaia di microscopici morsi. Quasi rosicchiate da uno sciame di tarme fameliche. Qualcosa aveva ridotto a un alveare i tessuti cerebrali dell’uomo sul tavolo di marmo".
L’ambientazione parte dall’isola antillana di Guana, arriva fino a Milano. Alejandro Vegas infettivologo nel minuscolo ma efficiente ospedale di Corralejo, cinquantenne incline al lavoro quanto all’ossessione per le donne e il sesso, è uno dei personaggi portanti della storia.
Suo fratello defunto invece, Pellegrino Vegas, era un frate e dopo la morte della loro madre, una giornalista, i due fratelli presero strade diverse. Il loro padre era un medico brasiliano, e Alejandro lo seguì in America latina. Poi c’è Rachel, la sua biondissima assistente, con cui flirtava da tempo.
Nell’abile innesto tra Horror- Thriller- Fanta, gli autori non fanno mancare il sapore della sensualità, della quotidianità, del vissuto:
"…ad Alejandro parve di udire l’accartocciarsi del lenzuolo con il corpo di Rachel che si girava alla ricerca di un’irraggiungibile posizione ideale".
I personaggi sono il cuore del romanzo, e non necessitano di alcuna integrazione, anzi, ciascuno rispecchia il momento che sta vivendo e gli stati d’animo reali. Impresa ardua quella di conciliare problematiche politico sociali con la fantasia, senza mai sfociare nel giudizio e nel pregiudizio. Il romanzo non è una denuncia ma un invito a riflettere sui tanti mali odierni che affliggono le società: l’integrazione sociale, la clandestinità, la corruzione, il potere. La scrittura originale e lo stile fluido sono avamposto di una trama oscura, mimetizzata su confini scomodi e indigesti del potere. Un romanzo intelligente, profondo, per palati fini e cuori impavidi.
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