Borges direbbe che Carroll non è uno scrittore, ma una letteratura.
Il grande narratore argentino, che conosceva il fantastico per averlo praticato in diverse declinazioni, avrebbe sicuramente apprezzato nell’autore americano la creazione di un mondo letterario, costantemente rivisitato libro dopo libro. I libri sono una quindicina. In Italia, finora, ne sono stati tradotti otto. A partire dal 2003 Mondadori ha pubblicato Ciao Pauline e Il paese delle pazze risate, mentre Fazi Editore ha dato alle stampe I bambini di Pensleepe, Il mare di legno, Zuppa di vetro, Mele bianche e la raccolta di racconti Tu e un quarto.
Ossi di luna è stato scritto nel 1987. Da noi giunge solo ora, per offrire ai lettori italiani di Carroll l’occasione di entrare in questo mondo. Nel mondo, nella vita quotidiana di una giovane newyorkese, la bellissima Cullen che ci racconta con lo stile vibrante di una donna sentimentale e gioiosa la sua felice storia di amore con Danny.
Danny è una promessa del basket. Gioca in Italia, a Milano, per non subire le pressioni dello star system americano. Non ama la calca e la fama. Ama lo sport e i buoni libri. È un personaggio romantico. È con lui che Cullen corona il sogno di ogni donna. Segue il matrimonio e la nascita di una stupenda bambina, Mae.
Parliamoci chiaro, questa è una vita normale, non una vita perfetta. Carroll è puntuale, immediato nel farcelo capire.
La prima cosa che Cullen ci dice ad apertura di romanzo è che “il ragazzo mannaia abitava al piano di sotto”. Il ragazzo mannaia è un adolescente che affronta i riti di passaggio all’età adulta sterminando con questo strumento casalingo sua madre e sua sorella.
Nel libro, del resto, non mancano lutti (Danny è un giovanissimo vedovo), le incertezze di alcuni fallimenti economici, i danni di dolorose educazioni sentimentali. La conseguenza di uno di questi diventa il motore della narrazione: Cullen abortisce un bambino, avuto da una precedente relazione. Un latente senso di colpa, d’ora in poi, scorrerà sotto le acque placide della sua vita, trovando uno sfogo nei sogni. E che sogni!
Cullen comincia ad avere una strana serie di appuntamenti onirici a Rondua, un’isola popolata da animali giganteschi e impossibili, scarabocchi volanti, uomini panino e ossi di luna. Protagonista dei sogni è il suo bambino abortito. Il fatto è struggente e inquietante insieme, ma, in fondo, rientra nel quadro di una vita normale. Per quanto felice, normalmente velata di malinconie e dispiaceri. L’unica cosa strana è che questi sogni sono rigorosamente a puntate.
Ossi di luna è scritto nel perfetto rispetto delle regole retoriche che sottendono il genere realista. Carroll cura il dettaglio, fa attenzione ai caratteri e ai particolari. La sua è una scrittura alla Balzac. Quindi perfino per gli improbabili sogni a puntate viene trovata una giustificazione, una fonte autorevole: Doris Lessing, recente premio Nobel, ne era soggetta. È impossibile non credere a Carroll. Impossibile non partecipare al dramma di questa donna che sarebbe felice se una piccola macchia psicologica non la costringesse a vivere una saga onirica.
Accettato che tutto questo è il nostro mondo normale (lo è!), eccoci pronti ad accettare anche il mondo di questi sogni, dove si svolge una guerra apocalittica in cui si giocano i destini di una realtà legata alla nostra in maniera non troppo esile e dove Cullen, i suoi cari e, soprattutto, suo figlio morto si catapultano su un piano che non è né solo fisico, né solo psicologico. Questo non è semplicemente un mondo alternativo, ma un mondo intermedio, dapprima solo onirico, poi sempre più reale e compatto, intercalato nel nostro al punto tale che salvare le sorti di questo mondo corrisponde, nel nostro piano di realtà, a risanare un conflitto psicologico (il trauma dell’aborto). Un finale epico e struggente insieme.
Carroll è, nel contempo, elegante come Harry James e divertente come E. G. Wells. È visionario come un artista barocco, barocco come un cineasta hollywoodiano al punto che potrebbe sembrare una grave omissione la mancata collaborazione tra Carroll e Lynch. La sua scrittura è piena di invenzione, di attenzioni, di citazioni. È sempre un divertente invito a lasciarsi coinvolgere dalla testa ai piedi in un’avventura. È un grande intrattenitore che, come afferma il Washington Post, “scrive romanzi fantasy per chi odia i romanzi fantasy; chi li ama, invece, non ha mai letto nulla di tanto bello.”
Jonathan Carroll, da solo, è una letteratura.
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