“Sette storie sul peccato e sulla colpa, dall'alba dell'uomo ai giorni nostri. Perché fare qualcosa di sbagliato pur sapendo che è sbagliato? Come gestire le conseguenze delle proprie azioni? E come, a volte, cercare redenzione? Una maledizione ancestrale nel Medio Oriente di cinquemila anni fa, i segreti di un monaco in un cenobio bizantino, le magie di una regina norvegese del Medio Evo, le "processioni di sangue" del XIV secolo, i drammi dell'Inquisizione, la ricerca della verità da parte di una ragazza che sa di essere morta, un'imperscrutabile storia d'amore... Sette vicende tra racconti e romanzi brevi, in equilibrio tra registri diversi - avventura, mistero, fantastico, orrore - scritte da un narratore raffinato, imprevedibile, ironico e commovente.”
Una doverosa premessa a inizio recensione, scaturita da un parere personalissimo nato a fine lettura di questa raccolta: il peccato più grande che potete compiere, fra tanti, è sicuramente quello di non leggere questa selezione antologica di Luca Tarenzi.
Sette storie, sette gioielli che nascono da un fine lavoro certosino, fatto di rifinitura e precisione quasi maniacali, conducono a Il libro dei Peccati: probabilmente, a oggi, la migliore raccolta antologica personale di un autore fantasy italiano. Premessa doverosa. Ancor più doverosa se si pensa che il libro in questione è passato troppo inosservato rispetto la qualità di cui è latore.
Una raccolta tanto interessante e ben ingegnata capace di rivaleggiare con quelle di autori ben più noti, come George R. R. Martin e Neil Gaiman, che non ci accontentiamo di liquidare con poche e lodevoli parole. Sarebbe tremendamente ingiusto: un peccato vero e proprio. La prosa di Luca Tarenzi, lirica ma mai greve, evocativa ma mai esageratamente metafisica, è resa piacevole da un equilibro tutto suo che trascina il lettore per mano senza abusare della sua pazienza come del suo tempo, mostrandogli le strade fatiscenti dell’antica Bisanzio, fra palazzi e postriboli, come le foreste vergini del Medioevo norvegese, imbiancate di neve appena caduta al suolo, dove fiabe e antiche verità si toccano con mano. Una raccolta che fa del peccato, in ogni sua forma ed espressione, il perno attorno cui tutto ruota.
L’angelo di Bisanzio
È un vero e proprio romanzo breve. Quasi un terzo della raccolta, novanta pagine circa, è occupato da questo pregevolissimo racconto lungo che racconta del pentekontarchos Ireneo di Bisanzio, luogotenente dell’Arithmos cittadino, un corpo di cavalleria dell’esercito Bizantino, alle prese con sempre più strani e pressanti omicidi. Un angelo vendicatore, un assassino di assassini, si aggira per le strade della città avvolgendo la fatiscente metropoli con un velo di puro terrore. La ricerca storica è impeccabile. La profondità psicologica è fra le migliori dell’intera raccolta. L’intreccio e il colpo di scena finale appagano l’attesa del lettore che letteralmente divora questo racconto in bilico tra genere storico e giallo. Luca Tarenzi dà qui il meglio di sé, e non si risparmia in niente: nessuna efferatezza è gratuita, nessuna informazione è di troppo, nessuna sottotrama viene lasciata aperta. Tutto ha una spiegazione che combacia nei minimi particolari. Forse il miglior racconto della raccolta.
Il Marchio
Il racconto in questione è più fantasy del precedente, ma sempre con riferimenti storico-mitologici, se non propriamente biblici (N.d.R. Luca Tarenzi è laureato in Storia delle Religioni). Una maledizione scagliata alle origini del tempo sul primo figlio dell’uomo, investe come un fulmine a ciel sereno la vita di Tzillah figlia del signore della città di Enoch, nel medio oriente di 5.000 anni fa. I richiami alla mitologia come alla genesi biblica si sprecano, e la particolarità di questo lavoro è che sembra di leggerli per la prima volta. La narrazione non perde mai il suo ritmo incalzante, anche se il “colpo di scena” può forse risultare a un occhio attento un po’ telefonato. Nonostante questo, Il Marchio è una storia marcatamente fantasy e di indiscusso livello, nella miglior tradizione delle rivisitazioni romanzesche e fantastiche del passato storico.
Lilli
È il racconto più divertente e sbarazzino dell’antologia. Una sorpresa vera e propria, che non mancherà di attrarre i lettori di Laurell K. Hamilton e Tanya Huff. Luca Tarenzi dà indiscutibile prova di sapersi muovere senza problemi nel passato come nel presente. Può raccontare di un monaco di Bisanzio di 1.500 anni fa come di una ragazzina dei giorni nostri, magari una liceale, che nelle sue pagine di diario annota (anche abbastanza stizzita) di essersi accorta di essere morta il giorno prima. Ecco il “la” a questo pregevolissimo racconto capace di rivaleggiare con l’arguzia inventiva e dissacrante di Neil Gaiman. Un racconto ironico, piacevole, ma non marcatamente comico, tutt’altro: con una morale agrodolce e un finale proprio per questo ancor più intenso. Da leggere assolutamente per comprendere la versatilità stilistica come tematica di questo ottimo autore italiano che qui, con l’uso della prima persona e della “pagina di diario”, ci immerge nella a volte davvero complessa mente di una giovane adolescente non proprio comune.
I Flagellanti
Un racconto intriso di dolore. Letteralmente. È il più lineare della raccolta, non regala grandi scossoni emotivi, non ci sono colpi di scena spettacolari, ma non per questo è meno incisivo degli altri. Il tema chiave, oltre la disperazione del protagonista per la perdita della persona amata della quale si sente responsabile, è l’inquisizione e le sue atrocità assieme alla predicazione di Gioacchino da Fiore e l’analisi dettagliata del movimento dei Flagellanti, diffusosi in Europa attorno al 1348 (anno della grande peste che dimezzò letteralmente l’Europa dell’epoca). Un racconto scritto in maniera magistrale, che a tratti ricorda il Cherudek di Valerio Evangelisti per atmosfere e impronta onirica che inizialmente pervadono tutto il racconto, fino al risveglio. Più o meno brusco, ma pur sempre un risveglio.
La regina dello Specchio
Sublime. Basti questo. Ci sono stati molti autori nel mondo del fantastico che si sono cimentati nella riscrittura di una fiaba, più o meno nota. Quella di Biancaneve è forse una delle più sfruttate. Ma da Neil Gaiman fino a chi scrive ora questa recensione, la fiaba della giovane principessa orfana di madre – dai capelli colore dell’ebano, la pelle candida come la neve e la bocca di rosa –, è stata trattata nel più multiforme dei modi. Luca Tarenzi ce ne dà un’ulteriore e piacevolissima versione. È Hilda a raccontarcela, con la sua stessa voce. Hilda, tormentata regina dal passato oscuro, dolce come di rado è capitato di leggere in passato. Lo stesso Gaiman aveva scelto di narrare la storia dal punto di vista della regina, in Neve, specchio, mele, ma enorme è la differenza fra le due versioni. Dove Gaiman è stato effervescente e brutale (donandoci un racconto horror fra i più belli in assoluto), Luca Tarenzi ha optato per la strada della veridicità, domandandosi e facendoci domandare: cosa poteva esserci di vero nella storia di Biancaneve? Il suo è un racconto elegante e avvolgente: ma come un freddo manto di neve.
Fuggire
Altro racconto con incursioni religiose e storiche; un’altra piccola (e davvero molto breve in questo caso) storia dal colpo di scena inaspettato e suggestivo. Un luogo buio. Una prigione. Dentro questa, assistiamo alle vicende di un cataro dalle doti soprannaturali che della fuga ha fatto la sua unica ragione di vita. Il prezzo per ottenerla però è davvero alto, “poiché l’anima della carne è nel sangue” (Levitico 17, 11). Una storia folgorante, che non può lasciare di certo indifferenti. E non anticipiamo altro.
Sine Nomine
Sine Nomine è il testo che chiude la raccolta. Un bel racconto, scritto egregiamente e che si legge in un soffio. Una fortissima storia d’amore e di dolore dall’epilogo non così scontato (e nemmeno lontanamente definibile come lieto fine). Più che la trama qui a giocarla da padrone è l’introspezione psicologica dei protagonisti: due esseri soli e tormentati dalla loro stessa solitudine, in una specie di circolo vizioso che non permette loro di vivere pienamente. Un racconto con un messaggio di fondo sottile e che crediamo possa essere riassunto in una sentita esortazione al vivere seguendo le nostre regole, nell’ovvio rispetto di tutti quelli che ci circondano, e non quelle restrittive e vuote che altri ci hanno imposto. Basterebbe davvero poco per essere felici, davvero poco. Basterebbe dimenticarsi di tutte le catene che noi per primi ci stringiamo ai polsi.
Con questa raccolta antologica, Luca Tarenzi, dopo Pentar – Il Patto degli Dèi, si riconferma uno degli autori di punta del panorama fantasy italiano. L’erede italiano di Philip K. Dick e Neil Gaiman? No, Luca Tarenzi non ha bisogno di essere l’erede di nessuno. Ha classe. Ha carisma. Ha uno stile tutto suo. Segue una sua personalissima strada che lo rende una voce solitaria ma originalissima; una voce che tutti dovrebbero ascoltare almeno una volta.
2 commenti
Aggiungi un commentoTarenzi è un grande scrittore, che meriterebbe maggiore enfasi: purtroppo Alacran non è l'Einaudi o Mondadori
Ma, vista l'interessante recensione e segnalazione qui su FM, lo leggeremo con interesse
ciao,
Francesco
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