Ha sollevato clamore, in questi giorni, il fatto che la Warner Bros e J.K. Rowling abbiano fatto causa a Steve Vander Ark, creatore del famosissimo sito Harry Potter Lexicon, e al suo editore americano RDR Books, nel tentativo di bloccare la realizzazione e la commercializzazione di una versione cartacea del sito medesimo (in uscita a fine mese).
La questione, dal punto di vista legale, è semplice: Lexicon costituisce una violazione del diritto d’autore secondo le norme vigenti? La risposta è sì, almeno per quanto riguarda tutta la sua parte enciclopedica (che poi è la più sostanziosa), a meno che tale lavoro sia stato espressamente autorizzato dall’avente diritto. Infatti, alla luce della legislazione odierna, una pubblicazione che rimescoli semplicemente in ordine alfabetico fatti, personaggi e ambientazioni da un altra, rientra nella casistica delle violazioni, poiché tale rimescolamento non può essere definito un nuovo lavoro dell’ingegno che si avvale di minimi riferimenti all’opera primaria, ma diventa una semplice ‘rimasticatura’ di un lavoro già esistente.
Sotto questo profilo, l’invocazione da parte dell’editore americano del Primo Emendamento della Costituzione Usa (“Il Congresso non potrà porre in essere leggi per il riconoscimento ufficiale di una religione o per proibirne il libero culto, o per limitare la libertà di parola o di stampa o il diritto dei cittadini di riunirsi in forma pacifica e d'inoltrare petizioni al governo per la riparazione di ingiustizie”) per dimostrare il suo diritto alla pubblicazione di una tale opera è un tentativo puerile di arrampicarsi sugli specchi, dal momento che lo scopo protettivo di tale Emendamento è completamente diverso da ciò che è applicabile al caso in oggetto.
Dal canto suo, anche l’autore di Lexicon è in palese contraddizione, visto che si lamenta dell’azione legale della Rowling ma on line mette, in bella evidenza, che i contenuti di Lexicon sono proprietà esclusiva del sito. Il che, riferito alle parti enciclopediche del sito, rappresenta o una ridicolaggine perfettamente evitabile oppure – e questo sarebbe più grave – una palese invocazione di due pesi e due misure.
Altrettanto ‘arrampicatoria’ è la tattica di RDR di contestare a Warner l’indebito utilizzo, nei dvd dei film potteriani, della Linea del Tempo presa da Lexicon (anche se va detto che almeno il riconoscimento di un credit nei dvd sarebbe stato più corretto). Quest’ultima contestazione è ancor più ridicola se si pensa che, secondo l’editore, la citazione di Warner – lunga oltre 300 pagine – sarebbe stata depositata due ore dopo il sorgere della questione sulla suddetta Linea del Tempo e proprio ‘in rappresaglia’ alla stessa. A meno di essersi avvalsi dell’abilità di Rita Skeeter, e soprattutto della sua piuma magica, risulta infatti difficile credere che lo staff legale di Warner abbia potuto redigere un documento così voluminoso e circostanziato in sole due ore…
Ma non vogliamo, in questa sede, dilungarci su chi ha ragione e chi ha torto dal punto di vista strettamente legale, visto che questo esula dai contenuti e dalle competenze di FantasyMagazine e visto che un tribunale qualificato si pronuncerà in futuro sulla questione. Quello di cui vogliamo parlare piuttosto, in quanto solleva molti interrogativi inquietanti, è il contorno extra-legale di tutta la vicenda.
Anzitutto viene da domandarsi perché, visto che la parte enciclopedica di Lexicon rappresenta una violazione, gli sia stato permesso di rimanere on line fino a ora. Le prima risposta che viene alla mente è che, se si applicasse alla lettera la legge sul diritto d’autore, moltissime sezioni di siti potteriani (e non solo potteriani) dovrebbero essere oscurate.
Questo non avviene perché, nel mondo amatoriale, la soglia di tolleranza è più elevata in quanto la rigidità della legge impedirebbe al fandom di esercitare “l’oggetto sociale” che gli è proprio. Per lo stesso motivo sono tollerate le fanzine cartacee, che a stretto rigore dovrebbero avere un direttore responsabile e dovrebbero essere registrate in tribunale.
Inoltre, c’è una grossa discriminante fra attività amatoriale e qualsiasi altra attività: di solito la prima non ha scopo di lucro, le seconde sì. Ma è proprio così semplice? Proviamo a esaminare più a fondo la questione e vedremo che non lo è affatto.
Anzitutto, Lexicon contiene pubblicità (benché molto contenuta) e affiliazioni a programmi come Google Adsense, che permettono comunque al gestore di ricavare qualcosa dall’attività on line. Che poi questi proventi, seppure minimi (l’affluenza a Lexicon è copiosissima ma le percentuali di ricavo attraverso Google restano pur sempre irrisorie), vengano usati per mantenere il sito o siano fonte di guadagno extra per il gestore, non ha alcuna importanza ai fini dell’analisi della discriminante: in via teorica è comunque un guadagno.
Dunque la discriminante del lucro è una ‘scusa’, invocata da Warner e Rowling, che inizia a vacillare…
Secondariamente: gli scaffali sono pieni, da anni, di enciclopedie su Harry Potter, in tutte le lingue. Perché in quei casi non è stata promossa alcuna azione? Forse l’accuratezza e la completezza di Lexicon lo fa apparire più temibile di altri prodotti analoghi già sul mercato?
In terzo luogo, la Rowling ha dichiarato che questo libro farebbe concorrenza all’enciclopedia che lei stessa ha preannunciato di voler scrivere, sottraendo risorse alla beneficenza (cui la scrittrice devolverebbe i proventi delle vendite). L’affermazione è assolutamente risibile: Lexicon contiene materiale già noto, mentre la Rowling può aggiungere tutte le chicche inedite che vuole rendendo il suo prodotto milioni di volte più appetibile. E comunque, qualsiasi cosa che recasse il nome di JKR sul frontespizio, sarebbe sempre una garanzia di vendite, non importa cosa ci sia già di analogo sul mercato. Del resto, a parità di prezzo, chi comprerebbe un capo ‘taroccato’, per quanto realizzato accuratamente, potendo averne uno autenticamente griffato?
L’ipotesi più verosimile, in caso di lavori meramente compilativi da un lato (Lexicon) e di lavoro con parti originali dall’altro (enciclopedia rowlinghiana), è che i fan che amano i libri collaterali comprerebbero entrambi, considerato anche che fra le due pubblicazioni intercorrerebbero degli anni (Lexicon esiste già, l’enciclopedia della Rowling no); la maggior parte dei fan di Harry Potter, invece, comprerebbe solo il libro della Rowling, e questo è un dato incontrovertibile. Va infatti ricordato che qualsiasi libro ‘corollario’ della saga (che non sia scritto dall’autore della saga stessa) non vende automaticamente lo stesso numero di libri che vende la saga, come invece tende a pensare il 90% delle persone. Tutt’altro.
Chi approfondisce una saga leggendo altri libri è una percentuale minima del fandom. Tale percentuale scende ancora di più se si considera che la maggior parte di questi libri è solitamente edita da piccole case, che hanno poca visibilità sugli scaffali. Per far capire meglio, rapportiamo per un attimo il discorso alla sola Italia: di norma solo il 2% dei libri firmati da sconosciuti (i quali non sono quasi mai editi da grosse case), siano essi romanzi o altro, raggiunge le 1000 copie vendute. Se poi si considera che la percentuale media di un autore non famoso va dal 4% al (nei casi migliori e più rari) 10% del prezzo di copertina, si può fare agevolmente il conto di quanto ‘lucrativa’ sia l’operazione di un libro del genere.
Infine aggiungiamo che, nel caso delle parti enciclopediche di Lexicon, si tratta - come già evidenziato - di un lavoro meramente compilativo, e che dunque non aggiunge alcuna nuova riflessione, spunto, arricchimento, analisi, approfondimento alle tematiche della saga, anche perché se lo facesse (cosa peraltro impossibile data la natura intrinseca di un’enciclopedia 'catalogatoria' come questa) non si troverebbe nel ginepraio dei tribunali, diventando un’opera perfettamente legale. Pertanto, il suo appeal commerciale si riduce ulteriormente: siamo infatti di fronte a un’opera prevalentemente destinata alla consultazione a fini didattici o come riferimento per altri libri di analisi critica sulla saga.
Per non parlare del fatto che chi vuole può sempre servirsi gratuitamente con la versione on line (a meno che, dopo la realizzazione del libro, il sito di Lexicon venga oscurato).
Altrettanto risibile appare, per contro, la linea di difesa dell’editore americano, il quale protegge il proprio prodotto affermando che questo darà la possibilità di usufruire del servizio di Lexicon ai bambini che economicamente non possono permettersi l’accesso a Internet. E’ infatti intuitivo che i genitori dei bambini che non possono permettersi di pagare una connessione non hanno nemmeno i 25 dollari del costo del libro da investire in beni voluttuari…
Quarto punto: visto che la Rowling e la Warner sono stati quiescenti finora, non avrebbero potuto trovare un’altra soluzione rispetto a quella del tribunale? La Warner insiste a dire che per due mesi si è tentato di risolvere la cosa amichevolmente chiedendo un controllo preventivo dell’opera (che comunque, dati i presupposti, sarebbe stata inevitabilmente rigettata). Ma come mai nessuno ha pensato alla soluzione più ovvia, quella di una collaborazione?
La Rowling non avrà mai il tempo, da sola, di riorganizzare il proprio lavoro in un’opera sistematica come Lexicon (al quale sono serviti sei anni e l’impiego di più persone); per contro lei – e lei sola – può dare valore aggiunto e inestimabile all’opera implementando le voci già esistenti e arricchendola di nuove. Ai coautori potrebbe venire riconosciuta allora una percentuale sulle vendite (che a quel punto, con la benedizione della scrittrice, saranno considerevoli) e il resto – detratti i costi vivi – andrebbe in beneficenza. Et voilà, tutti felici e contenti, per non parlare dei fan che avrebbero capra e cavoli in un unico volume e più presto di quanto si potrebbe ipotizzare se invece la Rowling dovesse mettere mano a un’enciclopedia in solitudine.
Portando la causa in tribunale invece, la Rowling – a prescindere dalla stretta legittimità delle sue pretese, che nessuno discute – registra un clamoroso autogol perché dà l’impressione di rivoltarsi contro uno dei cardini del fandom solo perché, con l’operazione cartacea, esso guadagnerebbe un po’ di più di ciò che ha guadagnato finora. Ancora maggiore appare l’aggravante che la scrittrice abbia voluto dare risalto mediatico alla faccenda, stigmatizzando pubblicamente un sito da lei elogiato fino al giorno prima e del quale ha dichiarato di essersi servita molte volte per controllare dettagli durante la stesura dei suoi libri.
Come dichiarava un vecchio tormentone della trasmissione Drive In, si tratta veramente di “una bruta fazenda…”.
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