Roar è quello che si potrebbe definire una meteora, ovvero una serie che ha compiuto la sua corsa prima ancora che il pubblico potesse vederla chiaramente.

Prodotta dalla Fox nel 1997, dura solo 13 episodi, circa metà di una stagione televisiva regolare, e di questi solo i primi 6 sono andati in onda su Fox, mentre gli altri sono stati ripresi solo in un secondo tempo da Sci-Fi Channel. Come abbiamo già visto in altre occasioni, questo modo irrazionale e un po' caotico di trattare un prodotto di propria realizzazione non è un caso isolato. Si veda ad esempio Veritas: The Quest, di cui abbiamo parlato non molto tempo fa (www.fantasymagazine.it/rubriche/5849/).

È facile intuire che cambiare programmazione a un telefilm proprio nei primi episodi, quando cerca di affermarsi, non aiuta a creare una base di pubblico stabile e a far salire l'audience, scopo principale dei network televisivi. Per questa e altre ragioni la serie non ha avuto vita lunga, entrando a far parte del novero delle serie tv dai presupposti interessanti ma dalle possibilità sprecate.

Sulla carta Roar aveva tutti i numeri per essere un successo: si inseriva nell'onda lunga di produzioni simili come Hercules e Xena, solo per citare i più noti, entrambi ambientati in epoche antiche, entrambi impegnati contro divinità assortite ed entità magiche e potenti. "Cattivi" fantastici e il costante uso (e a volte abuso) degli effetti speciali avevano stuzzicato l'interesse di parte del pubblico televisivo, mentre il romanticismo imperante e le – spesso molto semplici – sceneggiature avevano fatto il resto, attirando il pubblico giovane e parte di quello femminile. Ad un'occhiata superficiale non c'era ragione per cui Roar non potesse unirsi alla compagnia assicurandosi qualche anno di successo, eppure non è stato così.

Va detto che il telefilm è profondamente dissimile nella sostanza da quelli già citati, cosa che probabilmente ha allontanato quella parte del pubblico che si aspettava un prodotto fotocopia. Più crudo, più aspro nei toni e nei modi, piuttosto che nelle storie, Roar tratta di morti, lotte e misteri del passato con meno ingenuità del già citato Hercules. Inoltre, è evidente che gli sceneggiatori si sono informati sulle credenze e i costumi dell'epoca in cui lo show è ambientato, facendo dell'Inghilterra del telefilm un micromondo abbastanza credibile e interessante, dotato di un'identità più chiara e definita rispetto a tante altre ambientazioni semplicemente fantasy.

Qui i protagonisti sopravvivono (di solito), ma i comprimari non hanno la stessa certezza e il lieto fine non è sempre assicurato. Inoltre, ed è un particolare importante, la serie non si rifugia nell'allegoria per trattare temi difficili del nostro presente. Ad esempio non sfrutta religioni inventate o defunte da secoli come riferimento indiretto al cristianesimo, argomento più spinoso visto che – come tutte le religioni – tocca la sfera privata di molti. Uno dei temi centrali di Roar è infatti proprio il rapporto con la religione cristiana e con la figura del Cristo, sempre assente eppure mai lontano visto che uno dei protagonisti, Longinus, personaggio oscuro e affascinante, ha con lui quello che potremmo definire un rapporto complesso.

Sarebbe stato interessante poter osservare come le premesse della serie sarebbero state sfruttate negli anni, vedere se le inevitabili ingenuità delle trame avrebbero lasciato il campo ad una scrittura più sicura o se si sarebbe scesi ad un tono più infantile. Sarebbe stato interessante vedere se Roar avrebbe osato diventare un prodotto compiutamente adulto, separando il fantasy da quella fascia d'età a cui è (quasi) sempre relegato in televisione.

Purtroppo non abbiamo avuto questa possibilità. C'è comunque una persona per cui la chiusura del telefilm si è rivelata una benedizione, ed è il protagonista, l'attore australiano Heath Ledger. Dopo la fine della serie, infatti, l'attore ha iniziato una carriera cinematografica che l'ha portato presto a produzioni importanti su cui troneggia uno dei film più acclamati del 2005, Brokeback Mountain. Otto anni da una serie televisiva di poco successo all'olimpo di Hollywood: sicuramente uno dei salti di carriera più veloci della storia del cinema.