Luce e tenebra, ignoranza e conoscenza, forze che si contrappongono lungo il millenario cammino della civiltà umana, alimentando tensioni, lotte e drammi.
Se da un lato la spinta al miglioramento è possente, a tratti inarrestabile, dall’altro la zavorra della superstizione, delle paure irrazionali, costituisce un freno alle conquiste, spesso insormontabile.
Premessa scontata, ma doverosa se questo accennato dualismo sta alla base del nuovo romanzo di Rafael Abalos, Kot.
La storia sembra finalmente essersi lasciata alle spalle il freddo pantano dei secoli cosiddetti bui, sorretta dal progresso scientifico che sta per aprire una nuova era di benessere e scoperte epocali. Teatro della vicenda è la città di New York, metropoli moderna per antonomasia, crocevia delle esperienze di un intero pianeta, luogo in cui si concentrano poteri economici e politici.
Se la scienza del presente non sembra conoscere battute d’arresto, le minacce sembrano provenire dalla scienza del passato, la vera protagonista di molti racconti e opere fantasy: l’alchimia.
Torna, in una chiave contemporanea e per nulla banale, il mito della pietra filosofale, la meta ultima e sfuggente di dotti ricercatori, pazzi visionari o - più prosaicamente - ciarlatani scaltri e astuti.
Come in un’alchemica ricetta, tramandata con riti esoterici solo a pochi iniziati, l’autore combina generi e stili fino a creare una fusione particolare, un liquido cangiante che rumoreggia negli alambicchi della fantasia, coagulandosi in visioni affascinanti che chiedono solo di uscire dalle ristrettezze di fumosi laboratori.
Il motore narrativo parte con il sordo ruggito del giallo: una scienziata di fama mondiale, trovata assassinata nella sua casa in circostanze a dir poco misteriose. Primo di una sconcertante catena di delitti, il caso attira l’attenzione dell’FBI e del miglior detective cittadino, presto coinvolti nella caccia a ombre apparentemente inafferrabili.
E’ come se una forza arcana, sfuggita dalle nebbie del mito, stesse giustiziando i migliori cervelli del Paese, quasi a voler riaffermare la superiorità della fede sul fascino della conoscenza pura.
Un vero e proprio attacco sferrato alla mente, al suo prezioso contenuto, all’intelligenza creativa che sfida le imposizioni e il cieco autoritarismo nel nome del sapere.
Mentre l’indagine segue canoni inizialmente classici, non dissimili da qualsiasi thriller di buon livello, elementi di rottura fanno il loro ingresso nelle pagine del libro.
Sette segrete di derivazione medievale, i cui regolamenti sono scritti nel sangue degli adepti, ma anche associazioni studentesche nate negli ambienti accademici e votate allo studio, all’apprendimento senza barriere e preconcetti.
Kot è un gioco di sfide, una somma di tentativi.
Troviamo la lotta contro la morte, intesa come folle ricerca di un’immortalità grottesca, concettualizzata in istituti di ricerca le cui radici affondano in pratiche oscure, come piante tecnologiche alimentate da un terreno ricco di suggestioni gotiche, non molto lontano dalle atmosfere caliginose dell’epoca vittoriana.
Camici bianchi e sai monacali, due mondi che si combattono e che finiscono per compenetrarsi. La pietra filosofale e gli esperimenti neurologici, concetti che si scontrano e si avvolgono come i serpenti nelle antiche simbologie tanto presenti in questo romanzo.
La situazione sta precipitando, l’Essenza del Mistero, vero filo conduttore della vicenda, deve sottrarsi alle grinfie dei malvagi, trovare nuova linfa per illuminare il cammino dell’evoluzione. Unici degni di tale impresa sono due ragazzini che, sullo sfondo delle oscure manovre in atto, si mostrano emblematici cavalieri del XXI secolo, sulle strade di una New York ricreata nel cyberspazio, copia fedele della città autentica.
Romanzo di intensi dualismi, Kot raggiunge un apprezzabile livello di coinvolgimento facendo coesistere reale e virtuale, in una corsa mozzafiato tra l’inchiesta canonica e la caccia al tesoro tra i monumenti della metropoli.
Gli enigmi sono, probabilmente, i veri protagonisti.
La sola arma in grado di garantire la vittoria è la mente, la capacità di dedurre, comprendere, analizzare e - come ultima risorsa - compiere arditi salti d’immaginazione.
I giovani cacciatori sfruttano i loro veloci e arguti pensieri, i cattivi si accaniscono contro quelle stesse idee, cercando di distruggere il meraviglioso strumento celato tra le pareti del nostro cranio.
Solitamente i romanzi che sfruttano la molteplicità di livelli non tradiscono le aspettative, vale anche in questo caso, pur sorvolando su alcune leggerezze della trama che, in alcuni punti, per raggiungere velocità e scorrevolezza, tende a semplificare un po’ troppo i tratti grotteschi e oscuri della vicenda.
E’ interessante la rilettura del mito alchemico con la lente delle moderne tecnologie, calare la sapienza antica sul palcoscenico odierno, mischiando i generi con divertente intelligenza. Tutto sommato il meccanismo della caccia al tesoro funziona senza grossi intoppi, così come il sistema narrativo delle tappe obbligate, simile all’evolversi di un videogame.
Kot è un piacevole passatempo, poco impegnativo, ma nell’accezione meno negativa possibile, quella di uno svago gradevole che lascia il desiderio di conoscere al più presto il destino dei due ragazzini prescelti e dei tenebrosi cattivi, nemici della luce e della sapienza ad essa collegata.
Fedele alla natura spigliata e veloce del romanzo, la caratterizzazione dei personaggi è profonda quanto basta: non ci sono complesse costruzioni psicologiche, ma il tratteggio essenziale per lanciare gli elementi nel contesto e farli operare in termini facilmente riconoscibili.
I già citati cacciatori di misteri, Nick e Beth, ricalcano l’archetipo dell’adolescente “malato” di computer e realtà virtuale, moderni secchioni geniali e simpatici, perfettamente integrati sia nel mondo artificiale che in quello concreto. Ciò che li attira è la scoperta, il cammino iniziatico verso la conoscenza, mascherato da gioco allegro e stimolante. Nel momento in cui gli eventi prendono una piega decisamente imprevista, il loro atteggiamento si rivela mutevole in modo plausibile, fornendo reazioni emotive credibili e ben descritte. Il finale, sotto certi aspetti, lascia un granello d’amaro, tuttavia è meglio non svelare troppo.
Titolari delle indagini tradizionali - una sorta di CSI semplificato con blande infiltrazioni alla X-Files - sono il detective Aldous Fowler e l’agente FBI Taylor. Coppia affiatata di segugi, scrupolosi, attenti, dotati di buona immaginazione e mente aperta alla crescente ondata di misteri che le scene del delitto presentano, sconcertanti rappresentazioni di macabra follia. Da questo lato non ci sono grosse sorprese, forse qualche delusione, seppure contenuta (alcuni episodi del passato di Fowler, presentati insistentemente, non sono stati sfruttati ai fini della trama complessiva). I personaggi con distintivo sembrano calati nella vicenda per darle collante e spessore, un filo di solida concretezza che serpeggia tra leggende, indovinelli e tappe nel percorso fino all’Essenza del Mistero.
Come spesso accade, i cattivi finiscono per essere ben più interessanti di coloro che dovrebbero annientarli.
La setta segreta responsabile delle nefandezze in Kot è perfettamente allineata ai canoni della malvagità spicciola. Segrete immerse nelle tenebre, rituali goticheggianti e scopi di cristallina perfidia, niente di innovativo, ma ritrovare alcuni cliché riesce spesso a rendere familiare e apprezzabile una trama.
Stile veloce, privo di ampollosità, per un romanzo che del fantasy prende il mito della Pietra Filosofale, ma cerca di seguire anche sentieri più aderenti all’attualità, toccando, forse con facile critica, temi scottanti: la ricerca scientifica priva di freni morali, lo scollamento dei giovani dal mondo circostante, troppo lento per essere veramente utile a menti così brillanti da correre imperterrite verso pericoli e rischi di ogni genere.
In certi punti si sentirebbe la necessità di un maggiore approfondimento storico, soprattutto quando vengono descritte le tappe della caccia al tesoro disseminate per New York, sebbene le descrizioni fornite siano puntuali e mai pedanti, come accade in molte altre opere.
Per concludere, non certo un capolavoro, ma sicuramente un libro onesto e ben scritto, raramente noioso e capace di tenere avvinti i lettori, proprio grazie all’impianto narrativo basato sulla ricerca per livelli successivi.
Ultima riflessione: Kot avrebbe reso qualcosa in più se la soluzione degli indovinelli avesse maggiormente coinvolto il lettore, una specie di sfida alla Ellery Queen, ma questo vuol dire essere troppo esigenti.
1 commenti
Aggiungi un commentoComplimenti per la recensione! E' veramente molto accurata ed obbiettiva. Ho finito il libro ieri e mi sono divertita molto. E' perfetto per l'estate degli appassionati di fantasy perchè, certamente, c'è del fantasy ma l'autore strizza l'occhio (forse non solo uno ma tutti e due!) al thriller medievale di nota memoria (il nome della rosa docet) che si legge bene sotto l'ombrellone..... Certo non voglio paragonare Abalòs a Eco ma, alla fine, se ci si diverte a leggere, è poi così importante? Maurizio ha ragione a dire che gli enigmi avrebbero potuto essere costruiti un pò meglio (non sono neppure in rima!) io posso aggiungere che il finale "aperto" è un pò ingenuo ma, nel complesso direi che è un libro molto più godibile di Grimpow (che non mi aveva entusiasmato). Nel lutto più profondo per il rinvio a gennaio dell'uscita del terzo libro della saga di Locke Lamora, mi accingo a cercare qualcos'altro di degno da leggere durante le vacanza. I consigli sono ben accetti.
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