I punti di vista da cui affrontare queste domande sono molteplici. Uno è quello dei lettori; uno quello delle case editrici, che necessariamente hanno il potere di determinare l’ascesa o la fine di determinati filoni; e l’ultimo è quello degli autori. Ultimo, forse, anche per importanza.
Da un lato, soprattutto se si naviga un po’ in rete, è possibile notare lo sviluppo di una “cultura di genere” e la nascita di gruppi di lettori sempre più esigenti, capaci di cogliere nei testi le più piccole pecche; dall’altro, esiste una massa di lettori silente e vigile, forse quella che più di tutti può piegare le regole del mercato. Il meccanismo, da alcuni anni a questa parte, è semplice. Sono il cinema e la TV a creare attesa nei lettori, a risvegliare interesse per determinati argomenti. È accaduto per il fantasy con i film dedicati a Il Signore degli Anelli e Harry Potter. Naturale, da parte delle case editrici, sfruttare l’onda e lanciare sul mercato prodotti richiesti. Oggi l’offerta in campo fantastico è alquanto diversificata, i nuovi autori nati in questa ondata di vendite sembrano intenzionati a cavalcare l’onda, staccandosi in molti casi dalle linee già tracciate.
Parlare di fantastico italiano significa affrontare un fenomeno molto variegato, forse in parte sperimentale. Il substrato su cui lavorano gli scrittori è legato ai classici di genere, da Tolkien a R.A. Salvatore, e questo spesso comporta l’utilizzo di cliché comuni: eroe, antagonista, oggetto magico, viaggio. Ma, a ben guardare, questo è anche lo schema tipico della fiaba, che ha radici ancora più profonde e antiche. Proprio nella fiaba, probabilmente, è da ricercare una fonte di ispirazione per il romanzo fantastico nazionale, perché il gusto per la narrazione fantasy trae costantemente ispirazione da modelli già assimilati da chi scrive. Certo, la nostra tradizione popolare non manca di spunti: basta vedere il grande lavoro di ricerca compiuto da Calvino, nella raccolta delle fiabe tradizionali italiane. Un immaginario complesso, che affonda in periodi storici remoti e che subisce l’influenza dal passato travagliato della penisola, a partire dal periodo romano a quello delle dominazioni straniere, a quello dei comuni, al risorgimento. Più di molti altri Paesi, l’Italia risente dei solchi profondi lasciati dalla storia e questo fa sì che anche dal punto di vista della narrazione popolare si possa riscontrare una incredibile varietà di leggende, di miti, di racconti capaci di ispirare una nuova e moderna via alla narrativa di genere.
Una via che solo da poco ha cominciato a farsi evidente, ma che certamente è destinata a svilupparsi, anche per un dato di fatto certo: chi ama il fantasy non è alla ricerca di continui tentativi di emulazione dei grandi romanzi, ma di letture capaci di stupire, incantare, stimolare la fantasia, e questo si può trovare soltanto in opere che “sanno osare”, che di “fantasia” colgono appieno il significato. Questo sta portando già ora numerosi tentativi di commistione fra generi, contaminazioni di fantascienza, horror, thriller. L’utilizzo di tali espedienti letterari è presente anche nel romanzo internazionale, ed è forse dovuto al momento di crisi della fantascienza da un lato e dall’ascesa del giallo dall’altro. Nel primo caso, si può leggere un tentativo di rivitalizzazione della SF, dall’altro una commistioni di generi per costruire opere di interesse più ampio.
Anche queste vie sono destinate ad affermarsi a livello nazionale, e non solo per emulazione. In Italia, in maniera non dissimile dall’Inghilterra, esiste un cospicuo patrimonio di leggende basate su fatti di sangue. Il nostro è un territorio fertile per le storie di fantasmi, di creature misteriose, viene spontaneo rivolgere l’attenzione a una ricchezza simile. Soprattutto se si segue la regola “scrivi quello che conosci”. Una regola che
vale anche per chi si occupa di fantastico. Non credo sia un’illazione pensare che linee narrative ispirate alle oscure leggende di casa nostra troveranno sempre più spazio negli scaffali.
D’altra parte è anche bene ricordare che il romanzo gotico, per primo, si è abbondantemente ispirato a fatti e luoghi italiani, e che forse finora siamo stati noi italiani i primi detrattori di noi stessi, cercando di assimilarci a popoli più affascinanti.
Spesso, inoltre, le case editrici medio – piccole riescono più facilmente ad affermare prodotti in ambito locale, e una narrativa di genere, ancorata a determinati luoghi, può riscuotere maggior interesse di opere senza riferimento geografico. È un dato di fatto che questo sottobosco di editori stia crescendo, stia diventando una realtà sempre più solida, e che stia producendo un numero di libri in costante crescita, dando spazio a un numero sempre maggiore di scrittori.
L’uscita di un romanzo è determinata dalla qualità dell’opera, ma anche e soprattutto dalle esigenze di mercato. Uno scrittore, al momento della stesura, difficilmente pensa al valore commerciale del suo lavoro, ma sono tanti i fattori che trasformano un manoscritto in libro. Tuttavia una volta terminato, per quanto sia triste, esso diventa un prodotto, e il successo di un prodotto dipende dalla richiesta del pubblico, più o meno pilotata dalla pubblicità. Un equilibrio delicato, in effetti. In cui il fantastico italiano può risultare una scelta positiva
49 commenti
Aggiungi un commentoMi trovate perfettamente d'accordo sul discorso dei generi. Per natura, io il genere non so cosa sia! Per me già suddividere tra fantasy e fantascienza è un creare suddivisioni che sono utili solo per orientare qualcuno che ha bisogno di essere orientato, e basta!
@Giuseppe D'Adamo: se ho visto polemica dove non c'era, chiedo scusa. Però non capisco che c'entri il cristianesimo con quanto si è detto nell'articolo.
Dici estrema secolarità della nostra società? Non sono poi così d'accordo. Il cristianesimo è molto più profondo di quanto non si immagini e permea il nostro modo di pensare.
C'è uno scrittore, Giuseppe Genna, che una volta mi ha detto che secondo lui addirittura il fantasy è "per definizione" nascente dal misticismo cristiano. Ora, non sono totalmente d'accordo con questa affermazione, ma in parte incontra la mia condivisione.
Fabrizio
Non sono del tutto d'accordo, Fabrizio ^__^
Una cosa è non gradire classificazioni un'altra è pensare che non esistano. Personalmente non dò molta importanza ai generi, mi piacciono le "cose" ibride, e credo che per prima venga l'ispirazione dell'autore; però a volte si usano definizioni per una necessità di comunicazione. In questo senso esistono i generi, imho, che sono peraltro schemi virtuali fatti a posteriori, e come tali devono essere considerati.
Io sostengo, rifacendomi a Mièville: "il fantastico travalica continuamente i propri confini". E, aggiungo, i confini hanno un motivo estemporaneo, e sono utili a seconda di come vengono usati.
Assolutamente condiviso dal sottoscritto.
Ma questo non contraddice in nessuna maniera lo spirito dell'articolo redatto da Fabrizio, Antonia e Francesca, né l'apprezzabile lavoro di recupero di tradizioni nostrane al servizio di un background narrativo.
Fintantoché non passa il messaggio (come non è, per chiara ammissione, nelle intenzioni degli autori) che se in Italia non va così, allora parliamo sempre e comunque di mero scopiazzamento.
Esattamente, questo è il punto fondamentale, secondo me: l'hai detto bene, schemi virtuali fatti a posteriori, e come tali devono essere considerati.
E' vero che possono servire per comunicare con maggior chiarezza, tuttavia mi sento di dire che - per esempio - i generi misti possono creare spaesamento o essere poco apprezzati proprio per questo motivo: ci si aspetta che una cosa sia così e non in altro modo, ma penso che questo possa andare a detrimento della libertà espressiva e dell'immaginazione per chi considera la immediata comprensione da parte dei lettori un punto fondamentale. In che senso? Ci sono dei lettori che non riescono ad apprezzare un romanzo o uno scritto che commistiona i generi innanzitutto perché non sono in grado di incasellarlo. Esattamente questo, secondo me, è il rischio di continuare a parlare di generi.
Il genere è utile per poter comprendere, in sede di riflessione culturale, con cosa si ha a che fare, ma se diventa un occhiale per il lettore, il più delle volte può creare problemi. E' per questo motivo che ho tenuto subito a chiarire che quando "io" parlo di "fantasy di ambientazione mediterranea" non intendo un genere (cosa peraltro assolutamente lecita e possibile per altri) ma solo una modalità espressiva che parte dal tipo di background culturale che un autore si porta dentro, per lo più in maniera consapevole.
Ovvio che un lettore ha i suoi gusti e sceglie in base ad essi. Non si può accontentare tutti, e nemmeno si deve, io credo. Un lettore deve essere libero di muoversi tra i generi. Ma nel momento stesso in cui tu dici "fantasy di ambientazione mediterranea", poni le basi di un sottogenere. Con molte limitazioni, anche, per chi legge solo la definizione e non si ferma a pensare sul suo effettivo significato. Si potrebbe intendere: ambiento a Pian del Quercione e ci metto la corte Unseelie.
Comunque, la tua scelta di puntare sull'ambientazione è più che legittima, come lo è quella di qualsiasi autore, anche se nel tuo romanzo ho trovato elementi fantasy che vanno oltre. Poi, che tu possa trovare la definizione Med fantasy troppo restrittiva, non lo discuto. Ma tu hai fatto una cosa molto simile, che imho differisce nelle parole e non nel contenuto.
Ci sarebbe anche da vedere cosa è per te esattamente l'ambientazione, ma non voglio andare troppo sul sofistico.
In ogni caso, l'ambientazione mediterranea è un'interessante via sperimentale, imho.
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