Il fottuto motore scalda come una bestia. Strappa e scorreggia come un mulo. E non si muove, proprio come un bastardissimo mulo. Onde gelate come questa nebbia mi riempiono d’acqua amara e lurida il gommone. Sono fottuto.
Fottuto come una merda.
E devo pure crepare per colpa tua, baldracca schifosa. Chissà dove cazzo sono, con questa nebbia maledetta potrei essere a un metro dalla Puglia. O anche nel porto di Tirana. Ecco, sì. Magari sono a casa. Tanto l’acqua marrone e puzzolente è spiccicata a quella del porto. Questa nebbia è uno schifo, non vedo nemmeno la punta della mia bara di gomma. Galleggio come un tappo di vino su questo preservativone gigante, arancione come un cocomero marcio. Un bel goldone per la carogna del povero Enver. Non sento neanche le dita della mano, vacca miseria. La pistola è gelata, potrei anche buttarla in questo Adriatico marrone di alghe putrefatte. Putrefatte come te. Tanto a te i proiettili non fanno un cazzo. Puttana miseria, ti ho scaricato un caricatore intero nella carcassa, e non te ne sei neanche accorta. Ma cazzo, che schifo quel rumore marcio, quel plop osceno quando il piombo incandescente entrava nella tua carne nerastra… E quegli schizzi di roba lurida, una specie di vomito da ubriaco che sgorgava dalle ferite, dalle tue tette gonfie di gas. Ora quella merda è ancora lì, sul fondo del gommone. L’acqua di mare non l’ha lavata via, e io non posso guardare quelle chiazze. Mi fanno venire il vomito. Ho buttato bile tutto il pomeriggio. Quegli schifosi vermi che sguazzano nel tuo liquame mi fissano coi loro musi senza occhi. Vermi ne ho visti tanti, ma vermi coi denti mai. Luride porcate, si contorcono nel tuo muco nerastro e strinato di sangue. Se almeno la nebbia salisse un altro po’, almeno non dovrei più guardare quelle porcherie bianche. Bianche come dita di un morto. Come le tue dita, baldracca fottuta. Dita coi denti, grassocce e schifose…
-I matti parlano da soli, Enver. Tu sei matto?-
Mi parte un colpo per la sorpresa. Il proiettile passa un pelo sopra il galleggiante giallo del gommone. Merda santissima, un centimetro più giù e finivo ai pesci… Deglutisco. In quel mare lurido c’è ben di peggio che qualche pesce marcio. La risata del mostro mi fa drizzare i capelli sulla testa. Non è giusto, non è giusto che uno schifosissimo Liugat abbia la voce di una bambina. Mi sporgo dal gommone. La nebbia puzza di pesce morto e smog. Venti metri più in là una sagoma scura scivola veloce sulla superficie calma del mare. È grande come una palla da calcio. Vorrei sparare, ma non è saggio. Ho sprecato come un imbecille il penultimo colpo rischiando di finire a bagno. L’ultimo non lo mollo.
Ah no.
L’ultimo è per me.
La zoccola canta sottovoce. In albanese, e questo alle mie orecchie rende ancora più oscena la filastrocca che esce dalle sue labbra scarnificate e divorate dalle larve. Meno male che la nebbia mi nasconde la sua faccia. La sua fronte. Quella fronte alta, dove il mio terzultimo proiettile ha scavato una caverna grande come un pugno.
La nebbia mi inchioda nel cervello le parole della canzone.
Thelle ne veten teme kanget e mija jesin...
e une jam vullkani qe flen i fashitun
por kur t'i vije dita te gjitha ka me i qitun
ne njimije ngjyra te bukura, qe nuk vdesin
Le mie canzoni dormono con me negli abissi. Io sono un vulcano, giaccio quiescente. Ma quando verrà il giorno esploderò in migliaia di immortali getti di fuoco.
–Taci, mostro! Quando si alzerà la nebbia tornerai all’inferno, essere immondo! Altro che vulcano, non sei altro che una carogna putrefatta! Dovresti essere morta, capito? Morta!-
Lei ride di nuovo. Una risata leggera, da ragazzina.
-Ma io sono morta. Non te ne eri accorto?-
-Allah mi è testimone che me ne ero accorto. Contenta? Finché il mare non restituirà i suoi morti eccetera. Ti mancava una sepoltura degna? Ecco, ti ho sepolto in mare. Molto romantico. Ora crepa del tutto, occhey? Vai a fondo, e piantala di tormentarmi.-
La voce del mostro si incrina.
-Vigliacco. E poi che ti credi di essere? Io sono un essere umano. Almeno, credo.-
-Beh, io credo di no. O magari sì, chi se ne frega? Se sei un essere umano, sei un essere umano morto. Più che morto. In avanzato stadio di decomposizione. Dovresti proprio uscire di scena sai? Sparire sotto le onde…-
-Non ci sono onde. Solo uno stronzo di scafista, un mare piatto come una tavola e una ragazza spaventata e infreddolita.-
La forma indistinta del mostro è più vicina, adesso. La baldracca vuole farmi parlare, crede di fregarmi. Il pensiero delle sue dita bianchicce che artigliano la gomma del mio scafo mi causa una dolorosa contrazione alla bocca dello stomaco.
-Stai lontana!- Strillo, con una voce più stridula di quello che avrei desiderato. Agito minacciosamente la pistola contro la ributtante testa avvolta nella caligine. Non può sapere che è quasi scarica. Almeno, spero. –Vuoi un’altra palla in fronte?-
1 commenti
Aggiungi un commentoLo stile è molto personale e suggestivo. Forse il finale è un po' troppo prevedibile e il fantastico rimane sullo sfondo, pretesto per parlare d'altro. Ma, in definitiva, è certo un bel racconto.
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