Ma non era un siluro, porcaputtana. Era il maledetto liugat. Manco lo so come ho fatto a non crepare d’infarto. Ho schiodato la cassa, e dentro c’era quel coso, come si chiama, il sacco dove mettono i morti con sopra il tricolore. Sulla bandiera c’era scritto Fregata Sibilla, ricamato d’oro. La Sibilla, capisci? In Albania tutti la conoscono, quella nave fottuta.
-Enver? Perché mi hai svegliata?-
-Perché volevo farmi ciucciare il pisello. Adoro le gengive marce che accarezzano il pisello. Peccato solo per i denti che si staccano. Si appiccicano ai peli.-
Il mostro è sempre più vicino. Ormai sta salendo la brezza di terra, e i tentacoli di nebbia stanno rivelando la sua forma contro natura. Io speravo ancora di trovare la merda, quindi ho tolto la bandiera e ho squarciato il sacco col cacciavite. La nebbia sale ancora un po’. Che schifo, ho squarciato tutto il sacco da morto. Ma mica lo sapevo che era un sacco da morto! I morti portano sfortuna, mica l’avrei aperto, Allah, aiutami tu, che schifo. La faccia putrefatta mi ha guardato coi suoi occhi sbarrati. Allah altissimo, occhi vivi, dolci occhi neri da ragazzina, occhi ingenui in un teschio con appiccicata un po’ di carne nerastra. Son saltato per aria per lo schifo. E mica son saltato solo io. Allah, perdonami, so che sono un peccatore, so che al venerdì non ci vado mai alla moschea, ma non puoi permettere una cosa simile! Il morto, la morta, sì, insomma, la baldracca putrescente salta in piedi anche lei. Manco riesco a pensare, so solo che il braccio mi fa ancora male per quanto ho sparato. Fortuna che la beretta quando scalda s’inceppa, sennò tutti i colpi avrei sprecato in quella carne già morta. I proiettili non li sente neanche, tanto è già stecchita come un tonno in scatola, ma l’impatto l’ha sentito, liugat o non liugat. Quel maledetto scherzo della natura è cascata in acqua, giù, nella nebbia, nel mare lurido. Ma non è andata a fondo, sta lì come uno squalo che gira intorno al gommone. So che mi vuole mangiare, perché ho profanato la sua sepoltura. Ma io ci ho ancora un proiettile, non mi avrà mica vivo.
La nebbia ha liberato del tutto la testa del mostro. Una massa nerastra, pelosa che galleggia vicino alla prua del battello. Una mano si alza dall’acqua e si avvicina ai peli arruffati. Un braccio bianco, spettrale, allontana la massa di peli. Ormai il sole se n’è andato, e la luce della luna rivela la faccia del mostro.
Allah misericordioso, tanto mostro non è. La pelle è bianca come la farina, ma è intatta, sotto muscoli sodi. È magra, ma solo della magrezza di chi ha fame. Non la secchezza dello scheletro putrefatto che si è alzato dalla bara. Dimostra più o meno quattordici anni. I capelli neri, bagnati, hanno ripreso la lucentezza di chi è vivo.
-Che cazzo di magia stai facendo, strega schifosa?- grido così forte che mi bruciano i bronchi.
-Oh, Enver, ma che ne so? Neanch’io so cosa mi sta succedendo!- Giurerei che sulla faccia non abbia solo acqua di mare, ma anche lacrime. E se uno liugat può piangere magari può anche crepare! L’idea mi attraversa il cervello con una scarica di adrenalina, la pistola vibra tra le mie dita come l’uccello di un toro alla monta. Ma non devo aver fretta, è ancora troppo lontana, e coi riflessi della luna sull’acqua potrei sbagliare mira. Voglio beccarla proprio in mezzo agli occhi, la strega fottuta.
-Dai, vieni a bordo!- la chiamo, con un sorriso più dolce di un pappone cha adocchia una pollastra campagnola matura per il marciapiede.
Lei si ritrae. –No! Tu vuoi farmi male!-
-Ma no, che dici? Mi sono solo spaventato! Accidenti, vorrei vedere te. Che ci facevi in quella cassa, signorina? Volevi scroccare la traversata?-
Gli occhi del mostro-non-più-mostro mi scrutano indagatori. È diffidente, dannazione. Potrei tentare di beccarla ora, ma se sbaglio mira sono veramente fottuto. Lei giocherella con le dita sulle increspature che la brezza di terra disegna sul mare. Se fosse viva sarebbe già assiderata, in quest’acqua gelida. Poi sorride incerta. –Non lo so… Davvero…- Tira su col naso. –Mi ricordo una nave. Io ero nella nave. Era piccola, faceva freddo, c’era tanta puzza. La gente puzza, quando sta tutta appiccicata in una nave buia. Papà mi teneva stretta, ma io tremavo dal freddo. “Tra poco arriviamo, principessa”, mi sussurrava. “Vedrai che bella l’Italia, dove la gente è felice e c’è sempre il sole… In Italia c’è il cioccolato per strada”, mi diceva. “Basta chinarsi e raccoglierlo”. Poi non so. Sei arrivato tu, e sei cattivo, e non so dov’è il mio papà, e ho freddo, e non arriviamo mai.- Ormai piange a dirotto, la strega. –E chi raccoglierà quel cioccolato per terra, adesso?- frigna. –Io non so cosa mi sia successo, Enver. Te lo giuro, non lo so!-
1 commenti
Aggiungi un commentoLo stile è molto personale e suggestivo. Forse il finale è un po' troppo prevedibile e il fantastico rimane sullo sfondo, pretesto per parlare d'altro. Ma, in definitiva, è certo un bel racconto.
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