Pennino sembra un libro per ragazzi di quelli che andavano in voga 30 anni fa, con buoni e cattivi assolutamente schierati, un finale didattico preciso… Elementi che si sono ormai persi nel tempo. È qualcosa di voluto?
Assolutamente sì. Probabilmente ha questa struttura perché somiglia ai libri che leggevo io da ragazzo. E proprio a quelli mi sono rifatto, pensando che in fondo se sono diventati dei “classici” ci deve essere stato un motivo ben preciso. E non credo che il motivo sia solo perché all’epoca se ne stampassero o se ne producessero di meno. Ma perché c’era dentro qualcosa di fortissimo, di enorme, che rispondeva ad archetipi precisi. E credo che sia proprio questo che si è perso nella letteratura per ragazzi degli ultimi anni: molta fantasia, tantissima fantasia, ma pochi messaggi veri. Io invece, credo che in fondo, anche piccola, ma una morale sia assolutamente necessaria nei libri per ragazzi.
E ho notato che loro si accorgono benissimo della differenza fra una storia di puro intrattenimento e una con un contenuto più profondo.
E questo mi ha fatto un piacere enorme.
In fondo, se ho deciso di scrivere per i bambini, è proprio perché penso che abbiano ancora la voglia di ascoltare, di recepire dei messaggi. E di questa voglia bisogna “approfittare”. Dopo, è troppo tardi.
Come è nata l'idea per la storia?
Non avendo figli, guardavo spesso quelli degli amici. O quelli in giro per il mondo. E ripensavo anche a me, quando ero bambino. Mi sono spesso fatto domande sul tema dell’amore. E mi sono domandato perché ad un certo punto i bambini perdessero quella voglia spontanea di dare e ricevere amore. Arriva un momento in cui i baci e tutti gli altri gesti dell’affetto diventano qualcosa di cui vergognarsi. E questo, probabilmente, ha effetto anche sull’affettività della loro adolescenza e della successiva età adulta. Sicuramente il cambio più grosso avviene proprio nell’adolescenza. Quando crescere vuol dire anche abbandonare certi comportamenti, quando la rivalità lo impone. Forse con questa storia volevo preparare i bambini a quel momento. Dirgli che non dovranno mai vergognarsi di chiedere e dare affetto o amore. Anche quando sul mento gli crescerà la barba. O quando sarà ora di mettere un reggiseno.
Per quanto riguarda invece, l’idea del mondo in cui tutto si compra… Non ho dovuto guadare molto lontano dalla nostra realtà. Purtroppo, si potrebbe definirlo quasi “realismo”.
Com'è stato il tuo approccio con la fase di editing, che per molti autori è piuttosto problematica?
Direi fantastico. Come pubblicitario sono sempre stato abituato a lavorare in coppia e con
molte altre persone a fianco che giudicano le mie idee, dall’agenzia pubblicitaria al cliente.
Quindi è un’abitudine ascoltare sempre il parere di moltissime teste diverse.
Non saprei fare altrimenti. Per questo mi è venuto facile ascoltare il parere degli editor della casa editrice. Anzi, dell’editor, Francesca Mancini, e di Rosaria Punzi, fondatrice e proprietaria della Lapis. Insieme abbiamo deciso cosa togliere e cosa aggiungere, giungendo sempre ad una visione comune.
Anche se spesso c’è voluta più di una merenda per metterci d’accordo!
Hai sempre desiderato scrivere o è una passione recente?
Ho sempre desiderato scrivere. Fin da piccolo. Probabilmente per tanti motivi insieme. Uno di questi è sicuramente il fatto di avere una mamma professoressa di italiano che a cinque anni, non sapendo dove lasciarmi, mi portava a vedere Pirandello a teatro. Un altro è questa mia discendenza manzoniana (l'autore è un pronipote di Alessandro Manzoni – NdR), per cui in casa ho sempre sentito parlare del mestiere dello scrittore.
E poi, ultimo ma non per importanza, ho sempre avuto il piacere della lettura. Che devo anche a una suora molto brava. Proprio leggendo ho deciso che scrivere sarebbe stato il mio mestiere: potevo realizzare le storie che volevo io, con i personaggi che sceglievo io e i finali che mi piacevano di più. Bastava solo un po’ di fantasia e una penna bella carica.
Come mai hai scelto l'infanzia come target? Oppure il target è solo una naturale conseguenza del tipo di storia che avevi in mente?
Ho cominciato inventando favole per mio fratello, che ha dodici anni meno di me. Per lui e per i suoi amichetti, quando alle elementari venivano a casa mia per ascoltare storie di pirati e draghi volanti.
E ho continuato a scrivere per i bambini perché credo che abbiano ancora il desiderio di ascoltare. C'è ancora spazio dentro di loro per imparare qualcosa.
Sono ancora curiosi. Cosa che molti adulti ormai hanno smesso di essere.
I bambini hanno voglia di ascoltare senza pregiudizi, senza preconcetti. Si fidano di te. E poi sono ottimisti: si aspettano ancora un mondo in cui ci sia sempre un lieto fine.
Pennino ha venduto 3000 copie già nel primo mese… Un traguardo fenomenale per un autore sconosciuto e una piccola casa come Lapis. Qual è il 'segreto'?
In realtà ne ha venduti più di tremila in tre mesi. E questo rimane comunque un ottimo risultato. Il segreto credo sia proprio quello di cui parlavi tu nella prima domanda: il recupero di certi schemi e di certi messaggi che negli ultimi tempi si sono un po’ persi. Questo piace molto ai genitori. E piace molto anche ai bambini che trovano più semplice, analizzando per categorie, trovarsi dei simboli e dei personaggi ben definiti. A loro non puoi parlare per metafora. Devi dirgli direttamente le cose che vuoi che arrivino. E soprattutto devi usare un linguaggio preciso, che ti permetta di dire delle cose molto serie anche ridendoci sopra.
Il finale del libro può essere definito un 'messaggio di sintesi pedagogica', con l'unione dei due aspetti che caratterizzano le due tipologie di personaggi. È stato deciso in partenza o è stato l'approdo naturale della storia che avevi in mente?
In realtà tutti e due: il messaggio finale era l’approdo naturale della storia.
Ma la storia è stata costruita perché quello fosse il finale giusto.
Volevo che il messaggio centrale arrivasse ai bambini chiaro e tondo:
è l’amore che tiene unito il mondo. E non bisogna mai vergognarsi di chiederlo o di darlo.
C’è un mondo possibile dove essere coraggiosi non è più essere duri, mostrando la propria forza. Ma dove essere coraggiosi è proprio avere il coraggio di mostrare i propri sentimenti senza vergogna.
E poi, ovviamente non avrei mai voluto che il cattivo fosse solo cattivo. Nel finale anche Cuordipietra trova il suo riscatto, aprendo addirittura un’agenzia matrimoniale. E Pennino dimostra di essere diverso dagli altri perché offre il proprio abbraccio a un essere così cattivo.
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Come si trova un pubblicitario come te nel mondo dell'editoria?
Benissimo! Anzi, sogna spesso di starci di più in quel mondo! Almeno ogni volta che incontra dei bambini! Il mondo dell’editoria è un mondo che ti lascia molto più spazio rispetto alla pubblicità, molta più libertà di azione. E poi, fondamentalmente, hai un referente solo con cui rapportarti. E questo è il sogno di tutti i pubblicitari!
Qual è il genere letterario che vorresti affrontare e quello che invece non affronteresti mai e perché?
Forse mi piacerebbe scrivere storie assurde e fantastiche anche per gli adulti, tipo quelle di Roald Dahl o quelle di Jonathan Carroll (che non è Lewis Carroll!)
Non scriverei mai storie completamente realistiche o troppo tristi. Credo che di realtà ce ne sia già tanta nei telegiornali e che non ci sia bisogno di scriverci dei libri sopra.
Hai avuto modo di promuovere Pennino in varie trasmissioni per l'infanzia. Raccontaci qualcosa delle tue impressioni a contatto coi piccoli lettori in queste occasioni.
Credo che in realtà incontrare i bambini sia il vero motivo per cui scrivo i miei libri e per cui partecipo ad ogni incontro che mi propongono dal grande Festival di letteratura alla scuola di periferia. È bellissimo stare con loro, perché sono proprio degli esseri speciali.
Per questo devi stare attentissimo, perché i bambini non si fanno fregare. Sono bassi ma non sono stupidi. Ormai nella mia breve carriera ne ho incontrati centinaia. Ognuno è una storia, ognuno è "un'isola". Ognuno ha già delle caratteristiche precise. Devi imparare il loro linguaggio per arrivare ai loro cuori. Ma non fingere di saperlo. O lo sai o è inutile. È come uno che tentasse di improvvisare l'inglese in Inghilterra senza saperne una parola. Gli inglesi se ne accorgerebbero subito. E così sono i bambini. Si accorgono se sei sincero. I bambini, sono degli inglesi perfetti!
A proposito di Inglesi, come mai un nome italo-inglese per il protagonista?
Pennino è un nome che mi ha sempre fatto ridere, preso dal soprannome del figlio di un'amica. Finnegan perché fa rima con Coogan che era il bambino del film "Il monello" di Chaplin poi diventato lo zio Fester del telefilm "La famiglia Addams", la serie classica in bianco e nero. Insomma la somma dei due nomi è una dedica a due bambini!
1 commenti
Aggiungi un commentoIn bocca al lupo a Pennino!
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