Con una smorfia, siccome non è né di sesso né di conforto prezzolato che ritiene d’aver bisogno, l’Errante si decide a picchiare più volte il metallo sul metallo, fino a che uno scatto secco non prelude all’apertura dell’ingresso. Latrando come cani bastonati, le due cigolanti ante ruotano sui robusti cardini. Un’infuocata lama di luce si riversa nello spazio creatosi tra i due battenti, colpisce in pieno l’Errante, lo acceca per qualche istante. Mentre la vista è ancora confusa, dei profumati vapori rosati lo raggiungono inondandogli le narici di fragranze capziosamente gradevoli.
Quando la percezione visiva si normalizza, l’uomo passa la soglia ora spalancata, ed entra con cautela. Le sue gambe affondano fino al ginocchio in una densa nebbia sanguigna, piacevolmente tiepida e accogliente. I suoi passi pesanti risultano attutiti, sommersi.
L’Ingresso colpisce per la sua foggia: un esteso salone, molto alto, proporzionalmente allungato rispetto alla notevole ampiezza. Due file parallele di colonne percorrono la sala in tutta la sua estensione, slanciandosi ai lati verso il soffitto incombente, trasformandosi in volte intrecciate che lo separano in spicchi affrescati. Le pareti laterali, prossime alle colonne, sono coperte da lunghi drappeggi cinebrini, decorati a motivi erotici con fili dorati.
Quando interrompe il circospetto girovagare dello sguardo, per puntare d’istinto dritto avanti, l’Errante scorge una vaga figura all’altro capo del salone.
Avanza lentamente, sospettoso. La mano corre a sfiorare l’elsa della fida daga che penzola al fianco.
Intanto, con un repentino cigolio, il portale dietro a lui si richiude pesantemente. Il suono rimbomba nella sala, perdendosi minaccioso nei fumi.
L’Errante osserva. Razionalizza. Non si fa prendere dal panico. E’ forse prigioniero di un bordello? Ridicolo!
Avanza ancora, l’altra figura gli si fa incontro di rimando. Quando finalmente comprende di trovarsi di fronte alla propria immagine riflessa in uno specchio largo quanto il salone, ride forte. Una risata liberatoria che echeggia, si ripercuote, si moltiplica, muta fino ad assumere tonalità che non riconosce come proprie. Non è più solo la sua risata. Altri individui – femmine! – stanno ridendo assieme a lui. O magari, “di” lui.
Lentamente, l’ilare coro si spegne.
- Benvenuto, viandante, nella Casa dei Sogni e delle Speranze! – esordisce inattesa una voce. Un suono caldo, rassicurante.
- Chi sei? – aggredisce l’Errante, inquisitorio.
- Chi vuoi che sia? – L’uomo, se davvero di maschio si tratta, appare non si sa bene da dove.
Di primo acchito, colpisce la sua carnagione chiarissima, d’un pallore lunare. Addirittura argentei sono i suoi capelli e le sottili sopracciglia. Le iridi, cristalline e gelide come il ghiaccio, mettono a disagio. Il volto esangue appare liscio e privo di difetti, androgino come quello d’un angelo. Di altezza media, e’ nudo dalla cintola, bassa in vita, in su, a scoprire un torace asciutto ma ben delineato, e un ventre piatto dagli addominali segnati. In compenso, è esageratamente agghindato da svariati ornamenti: collane, bracciali e braccialetti, anelli e orecchini. Sul petto, all’altezza del cuore, porta tatuata una piccola phyaxas finemente stilizzata.
Il bizzarro individuo calza un paio di aderenti pantaloni neri. Ai piedi, calza stivaletti appuntiti color giaietto, con le fibbie d’argento impreziosite da gemme.
Soprattutto, constata con sollievo l’Errante, non è armato. La mano sull’elsa si rilassa, senza abbandonarla.
- Sono il Lord Protettore della Casa – si presenta il nuovo arrivato. – Questo è il mio piccolo feudo, che è a disposizione del mio grazioso ospite e cliente. – Lascia seguire una studiata sospensione. – Perdonami se non ti ho personalmente accolto all’entrata, ma i rigori del maltempo che domina questa malsana stagione hanno un brutto effetto sulla delicatezza del mio derma. Ad ogni modo…
- Domando scusa - interrompe brusco l’Errante - ma tanto per essere chiari, io chiedo solo il favore della vostra ospitalità, non quello delle vostre ragazze.
Il Protettore fa un mezzo sorriso.
- Come dici? – La voce vibra come quella d’un gatto che fa le fusa, provocando un brivido commisto di disagio e piacere.
- Dico che non sono venuto per fornicare. Chiedo solo ospitalità per la notte, e possibilmente del cibo caldo. Premetto che non ho di che pagare. Sono mortificato. Mi accontento di un qualsiasi cantuccio del palazzo. O almeno della stalla incustodita dove ho lasciato il mio cavallo.
Il Protettore completa l’altra metà del suo sorriso, sfoderando una chiosa ammiccante di denti bianchissimi.
- Seguimi – invita semplicemente, e l’Errante sente di non poter proprio fare a meno di obbedire.
Il Protettore lo conduce dietro la tenda. Dopo qualche passo in un corridoio curvo, il passaggio si apre su una piccola stanza arredata con estremo buon gusto, dominata da un lato da una massiccia scrivania intarsiata sopra alla quale, fra altre cose, nota un librone aperto circa a metà.
11 commenti
Aggiungi un commentoAmmetto di avere iniziato la lettura di questo racconto incuriosita dal titolo, la parola “sogni” mi attira sempre, e dal dipinto La belle dame sans merci di Cowper, un po’ stucchevole ma pur sempre preraffaellita. Mi aspettavo insomma una quest alla William Morris con la poetica onirica di Lord Dunsany. La solita esigente...
Il racconto mi è piaciuto, di fatto è una rivisitazione della più classica delle quest con un’insolita ambientazione dove la professione dei Sogni e delle Speranze è quanto mai azzeccata (ai tempi di Morris probabilmente sarebbero state delle irraggiungibili vergini).
Immediato e poetico insieme, forse c’è qualche aggettivo qua e là che mi è suonato stonato ma è solo una questione di gusti personali e delle aspettative di cui sopra. Lord Dunsany è praticamente irraggiungibile, da chiunque, ma questo racconto è davvero piacevole e ben scritto.
stile elegante, racconto poetico. hai ammantato di incanto un luogo e una professione che personalmente mi sono sempre parsi squallidi assai.
piacevolissima lettura, dolce morale. grazie.
Grazie Melian e grazie Ringstorm.
Una curiosità, collegandomi al fatto che l'attenzione di Melian è stata catalizzata proprio dal titolo, o meglio dalla parola sogni presente nello stesso.
Il racconto nacque proprio dal titolo. C'era una ora datata canzone (si parla di progressive rock primi anni 70) di Peter Sinfield, ex King Crimson, contenuta nell'album Still (chissà dove sarà andato a finire, ora, il mio povero vinile...): The House of Hopes and Dreams, appunto. Mi piaceva.
Il mio racconto e il testo della canzone (di cui non ricordo un granchè, lo ammetto) non sono per niente legati. Ma fu quel titolo e quella sonorità ad ispirarmi il resto.
Bellissimo, i miei complimenti.. un po' triste e un po' pessimista, ma in linea con il mio umore attuale.. Grazie
Grazie FraRebu per i complimenti.
Circa il tuo umore "attuale"... beh, essendo passati parecchi giorni, spero nel frattempo sia migliorato!
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