Il Protettore si avvicina alla scrivania, intinge una variopinta penna d’uccello in un calamaio e la porge all’Errante, indicandogli il volume.
- Firmalo, prego.
Come esimersi dal farlo? Quella voce sa essere così suadente!
- Mi spiace. Non so il mio nome, come posso vergarlo sulla carta?! – confessa imbarazzato l’Errante.
- Non ti preoccupare, firma – sollecita l’altro.
Allora l’Errante si avvicina al volume, si china e appone il proprio nome sotto l’ultimo della lista. Stupito, cerca immediatamente di leggerlo, di scoprire la propria identità tradita dall’inconscio, ma ogni qualvolta che concentra lo sguardo su quei ghirigori d’inchiostro la sua visuale sfoca. Ci prova e riprova, fino a rinunciare.
- Andiamo, ora – viene quindi esortato.
Escono insieme da quell'ambiente, e attraverso un corto passaggio raggiungono una biblioteca zeppa all’inverosimile di volumi. Non si fermano. Salgono delle scale a chiocciola per arrivare in un altro corridoio, ben più ampio benché spoglio. Una parete è costituita da vaste invetriate che danno all’esterno, verso la tempesta.
- Attendi qui un attimo, prego – fa il Lord Protettore, prima di sparire dietro un pertugio di legno.
L’Errante scruta attorno a sé con attenzione, curioso. Ma la stanza non presenta nulla d'interessante. Raggiunge una vetrata e si mette a osservare il temporale che non accenna placarsi. Quella lastra pare separare due mondi diversi. Inverosimilmente, non c’è suono esterno che riesca a filtrare.
Strano: non avverte più quella sua incontenibile urgenza di cercare.
Constatare come questo bisogno ossessivo sembri venuto meno, anziché rallegrarlo, lo inquieta. E’ come se tale assenza si fosse lasciata dietro un vuoto incolmabile, un silenzio assordante. Si scopre inquieto, quasi impaurito.
Dei passi leggeri, quasi furtivi, che scivolano sul pavimento alle sue spalle, vengono a distrarlo. Lui si volta, convinto che il Protettore sia di ritorno e…
… si trova faccia a faccia con una giovane di un’avvenenza sconvolgente. Non ha ricordo di una bellezza simile.
La pelle lattea. Gli occhi smeraldini, ipnotici. La bocca carnosa, volitiva.
Una cascata rosso acceso ricade spumosa e lucente sulle spalle, rovesciandosi lungo la schiena e il petto, fino a lambire un seno prosperoso ma non eccessivo, dai capezzoli rosati e turgidi.
La donna si muove con leggiadria felina, provocante in ogni singolo movimento. Veste la sua nudità con un’eleganza che scatena irrefrenabile desiderio.
Scariche eccitate d'adrenalina percorrono il corpo dell’Errante, pompano calore e sangue in una virilità dimessa da tutta l’ultima vita.
- Prendimi… - invita lei. Roca appena, profondamente passionale.
Lui rimane basito. Non reagisce, nonostante la libido reclami il suo momento.
- Prendimi! Qui, ora, subito! – ordina allora lei, con enfasi erotica. Rasenta e raggiunge la volgarità, nel tono, nelle parole, nella posa esplicita che assume. Con il sedere ora rivolto all’uomo, offre il sesso che schiude un desiderio stillante, s’accarezza con le dita ornate dalle fiamme di una lucida lacca. Con lo sguardo che fa capolino da oltre la spalla destra, lo cerca, lo fissa, lo reclama.
Lui la osserva immobile, il pene che pulsa sulla stoffa dei calzoni. E' catturato da tanta lussuria, e insieme istintivamente irritato dagli eccessi lubrici di quella sbalorditiva creatura, i cui appetiti così espliciti in qualche modo lo imbarazzano.
Lei si gira, gli si fa incontro, lascia che la mano destra s’avventi sulla rigidità maschile, mentre con la sinistra continua a toccarsi. Persino attraverso la ruvida stoffa, l’uomo accusa come una scarica elettrica.
- Per l’ultima volta: prendimi ora! Ora o mai più! – rabbiosa, intima lei con la bocca tumida che gli sfiora l’orecchio. Un sibilo rovente, interludio tra respiri affannosi e mugolanti.
Incapace di comprenderne la ragione del proprio indugio, lui tentenna ancora. Fremente, ma immobile.
Lei allora si rialza di scatto. Lo frusta con una feroce occhiata di sufficienza, mentre il verde delle iridi si spruzza di pulsanti pagliuzze dorate.
- Sei stato uno stupido! – sentenzia rimarcando il suo disprezzo con uno sputo, prima di correre via, giù per i gradini.
A lui non rimane che rubare ancora l’ultima immagine di quel culo sodo e pronto, e di quella criniera selvaggia e infuocata che scende lungo il dorso fino a lambirlo. Quindi, si mette ad osservare perplesso la saliva della prostituta scorrergli lungo la lurida giubba, incapace di formulare alcun pensiero fondato.
Il Protettore compare un istante dopo. S’è messo su un’ampia camicia ambrata, percorsa da riflessi più scuri, tutta pizzi e ricami.
- Perdonami l'assenza, cominciavo a sentire freddo - si scusa mellifluamente.
S’incammina nuovamente, seguito a ruota dal viandante.
Salgono ancora per due rampe di gradini, quindi imboccano uno stretto passaggio che si biforca dopo una decina di metri. Tengono la destra e poi, dopo un’ennesima rampa di scale, giungono davanti ad una porticina.
11 commenti
Aggiungi un commentoAmmetto di avere iniziato la lettura di questo racconto incuriosita dal titolo, la parola “sogni” mi attira sempre, e dal dipinto La belle dame sans merci di Cowper, un po’ stucchevole ma pur sempre preraffaellita. Mi aspettavo insomma una quest alla William Morris con la poetica onirica di Lord Dunsany. La solita esigente...
Il racconto mi è piaciuto, di fatto è una rivisitazione della più classica delle quest con un’insolita ambientazione dove la professione dei Sogni e delle Speranze è quanto mai azzeccata (ai tempi di Morris probabilmente sarebbero state delle irraggiungibili vergini).
Immediato e poetico insieme, forse c’è qualche aggettivo qua e là che mi è suonato stonato ma è solo una questione di gusti personali e delle aspettative di cui sopra. Lord Dunsany è praticamente irraggiungibile, da chiunque, ma questo racconto è davvero piacevole e ben scritto.
stile elegante, racconto poetico. hai ammantato di incanto un luogo e una professione che personalmente mi sono sempre parsi squallidi assai.
piacevolissima lettura, dolce morale. grazie.
Grazie Melian e grazie Ringstorm.
Una curiosità, collegandomi al fatto che l'attenzione di Melian è stata catalizzata proprio dal titolo, o meglio dalla parola sogni presente nello stesso.
Il racconto nacque proprio dal titolo. C'era una ora datata canzone (si parla di progressive rock primi anni 70) di Peter Sinfield, ex King Crimson, contenuta nell'album Still (chissà dove sarà andato a finire, ora, il mio povero vinile...): The House of Hopes and Dreams, appunto. Mi piaceva.
Il mio racconto e il testo della canzone (di cui non ricordo un granchè, lo ammetto) non sono per niente legati. Ma fu quel titolo e quella sonorità ad ispirarmi il resto.
Bellissimo, i miei complimenti.. un po' triste e un po' pessimista, ma in linea con il mio umore attuale.. Grazie
Grazie FraRebu per i complimenti.
Circa il tuo umore "attuale"... beh, essendo passati parecchi giorni, spero nel frattempo sia migliorato!
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