- Capisco. Lo immaginavo. I più la disdegnano, perché covano dentro il desiderio di compagne più piacenti. Chi l’ha scelta, però, è sempre rimasto soddisfatto.
Interpretandolo come un tentativo di forzatura, l’Errante scuote deciso la testa. Senza attendere nuove disposizioni, si fa ardito, e con irruenza si precipita verso la seconda porta, per carpirne i segreti.
Dapprima, si stupisce: tutto pare, meno che una delle alcove d’un bordello di lusso. Solo il letto, largo, comodo e invitante, dai colori pacatamente voluttuosi, fa ben sperare.
Libri. Scaffali rigurgitanti volumi. Le due pareti libere sono abbellite da affreschi che ad un esame più attento rivelano dei soggetti prettamente erotici, in compenso mai smaccatamente volgari nemmeno nei tratti più espliciti. Statuette e ornamenti sono sparsi ovunque, con ordinato disordine.
I colori predominanti sono autunnali. L’atmosfera soffusa come le luci basse e tiepide che si diffondono nell’ambiente.
E lei, lei è il fulcro di quell'anomalo microcosmo.
Una donna matura, ma giovanile di aspetto. Attraente come può esserlo solo una bellezza che ha passato i trentacinque anni in modo rilassato e fiero. Piccolina, ben fatta, dall’incarnato piacevolmente pallido, i capelli nerissimi e lisci che segnano i contorni di un’espressione piuttosto seria, che un sorriso sardonico salva dal trasformarsi in austera. Un viso dominato da due occhi d’ossidiana, dal taglio a mandorla.
- Puoi provarci, se vuoi… - sente proporre il Protettore alle sue spalle. – Lei sarà lieta di concedersi a te, se saprai conquistarla. Ma non basteranno né le ricchezze che non hai, ma che potresti promettere, ne’ il tuo fascino di uomo vissuto. E’ esigente tanto quanto appagante, sa compiacere come poche altre. Profondamente, oltre il singolo momento… Anche lei ha i suoi capricci, e talvolta illude.
L’Errante, memore di esperienze precedenti, non rimanda oltre. Nella foga, quasi irrompe nella camera, beccandosi un’occhiataccia severa da parte della donna.
- Cosa vuoi?
- Te!
- Ummpff! Verde o nero? Con il limone o con un velo di latte? – ribatte lei, caustica. Per poi continuare, togliendo il suo interlocutore dall’imbarazzo di una qualsivoglia replica: - D’accordo, battuta banale… Comunque sia, un tuo saluto sarebbe stato d’uopo. Anche bussare prima di scaraventarti qua dentro. Sul fatto che mi volevi, era scontato. Sono qui per questo. E poi, dovresti vederti in faccia.
- Allora era la tua domanda iniziale ad essere banale – replica l’Errante, che nonostante tutto riesce a recuperare un po’ di lucidità perduta.
Lei sorride, sincera.
- Accomodati – fa, additando una poltrona piuttosto che il letto, sfatto con perizia piuttosto che pigrizia.
L’aria è satura di incensi dolciastri ma gradevoli, che istigano ad indulgere ad uno stato di trasognato torpore. L’Errante si scopre nuovamente eccitato.
Obbedisce, accomodandosi tra i cuscini arabescati che addobbano il sofà. La scruta mentre gli versa del liquido ambrato da una teiera dall’aria preziosa, e viene ad offrirgli la tazza fumante.
Lei lascia che l’ospite sorseggi distrattamente il the, e appoggi la tazza su un tavolino. Quindi, vestita di soli monili argentati, gli si accoccola sulle ginocchia, provocandogli un’immediata erezione che maliziosamente finge d’ignorare.
- Mi dicono che hai molto viaggiato…
- E’ vero – ammette lui, con la mente già proiettata altrove. Freme visibilmente al contatto piacevolmente fresco di quella pelle liscia, che profuma di esotico. Non vuole parole. Ha fretta ora, come un adolescente in calore.
Lei non si cura della sua impellenza. Anzi. Quasi goda nel tenerlo sospeso.
- Racconta: cosa hai imparato dai tuoi viaggi?
L’Errante si sforza di riflettere, prima di dare una risposta.
- In verità, nulla – ammette onestamente. – Dovevo solo andare avanti, cercare, raggiungere. Imparare non era necessario.
La bella fronte si corruga, le labbra s’increspano in una smorfia. Lo scintillio che rendeva ipnotica la tenebra degli occhi si spegne.
- Tu non farai all’amore con me – afferma in tono freddo.
Con queste parole, mentre si rialza bruscamente voltandogli le spalle, lo congeda.
- Non te la prendere – lo accoglie comprensiva la voce del Lord Protettore, una volta che il suo ospite si chiude alle spalle l’ennesimo insuccesso. – Cultura è fatta così. Pochi posso dire di essere stati amati. Del resto, non molti la desiderano. Conoscono quanto è esigente e non hanno la volontà o la capacità di soddisfarla. E in questa Casa, anche i Sogni vanno appagati.
Parole in qualche modo rassicuranti, purtroppo il viandante comincia a sentirsi abbacchiato.
Il Protettore gli indica con un gesto di seguirlo ancora. Percorrono altri labirinti, salgono un paio di rampe di scale, arrivano ad una nuova porta.
- Non credo di meritarmi ancora una possibilità – afferma l’Errante, con depressa auto-ironia.
L’androgino patrono della casa di piacere non commenta, si limita a scrollare le spalle.
11 commenti
Aggiungi un commentoAmmetto di avere iniziato la lettura di questo racconto incuriosita dal titolo, la parola “sogni” mi attira sempre, e dal dipinto La belle dame sans merci di Cowper, un po’ stucchevole ma pur sempre preraffaellita. Mi aspettavo insomma una quest alla William Morris con la poetica onirica di Lord Dunsany. La solita esigente...
Il racconto mi è piaciuto, di fatto è una rivisitazione della più classica delle quest con un’insolita ambientazione dove la professione dei Sogni e delle Speranze è quanto mai azzeccata (ai tempi di Morris probabilmente sarebbero state delle irraggiungibili vergini).
Immediato e poetico insieme, forse c’è qualche aggettivo qua e là che mi è suonato stonato ma è solo una questione di gusti personali e delle aspettative di cui sopra. Lord Dunsany è praticamente irraggiungibile, da chiunque, ma questo racconto è davvero piacevole e ben scritto.
stile elegante, racconto poetico. hai ammantato di incanto un luogo e una professione che personalmente mi sono sempre parsi squallidi assai.
piacevolissima lettura, dolce morale. grazie.
Grazie Melian e grazie Ringstorm.
Una curiosità, collegandomi al fatto che l'attenzione di Melian è stata catalizzata proprio dal titolo, o meglio dalla parola sogni presente nello stesso.
Il racconto nacque proprio dal titolo. C'era una ora datata canzone (si parla di progressive rock primi anni 70) di Peter Sinfield, ex King Crimson, contenuta nell'album Still (chissà dove sarà andato a finire, ora, il mio povero vinile...): The House of Hopes and Dreams, appunto. Mi piaceva.
Il mio racconto e il testo della canzone (di cui non ricordo un granchè, lo ammetto) non sono per niente legati. Ma fu quel titolo e quella sonorità ad ispirarmi il resto.
Bellissimo, i miei complimenti.. un po' triste e un po' pessimista, ma in linea con il mio umore attuale.. Grazie
Grazie FraRebu per i complimenti.
Circa il tuo umore "attuale"... beh, essendo passati parecchi giorni, spero nel frattempo sia migliorato!
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