- Qui c’è la favorita – esordisce invece. - Tutti chiedono di lei, prima o dopo. Anche chi finge di temerla o disprezzarla. E’ capace di portarti all’estasi solo sfiorandoti, per poi voltarti le spalle quando credi di averla conquistata. E’ bizzosa come nessuna altra; non un giorno, non un attimo, è uguale all’altro. Prima ride e scherza con te, poi si gira e piange. Se la tratti bene, per assurdo potrebbe reagire graffiandoti. La schiaffeggi, e magari si getta ai tuoi piedi. Sa essere dannatamente imprevedibile…
Di nuovo quel suo ghigno vagamente diabolico, tinto d’ironia e sfumato di tristezza.
- Può sembrare pazza, e magari lo è. Anche per questo, piace – aggiunge.
L’Errante va alla porta, con l’intenzione di sbirciare prima di entrare. Con sorpresa, s’accorge che è priva di spioncino.
- Sarebbe inutile – spiega il Protettore. – Tra il suo alloggio e il corridoio c’è un’anticamera. Un’anticamera particolare.
L’Errante lo scruta con curiosità mentre apre un armadietto lì accanto e ne trae un vecchio spadone rugginoso.
- Vedi, - spiega, con un sospiro, - per avere Amore bisogna combattere.
- Contro chi?
- Chi o cosa non ha importanza: è diverso per tutti i coloro che la bramano. Devo però avvertirti: sarà uno scontro vero, che talvolta diventa addirittura mortale.
L’Errante deglutisce, teso, nonostante la sua odissea l’abbia condotto anche attraverso battaglie e sia già stato carnefice in duelli mortali.
- Va bene – afferma, per quanto una voce interiore sbraiti nel metterlo in guardia da una lotta che può rivelarsi ingannevole.
Senza pensarci ancora su, varca la soglia. La porta gli si richiude dietro con uno scatto secco. Per sicurezza, si sofferma a provare la maniglia. L’uscita non è bloccata, la via di fuga esiste. Bene.
Si trova in un’aula circolare, del diametro di circa dieci metri. Il pavimento, il soffitto e le pareti sono tutti stranamente grezzi, appaiono come scavati in un blocco di tufo. Gli ricorda il santuario nelle Catacombe di Ruannis. Tutto attorno al perimetro della stanza, corrono dodici fiaccole accese, perfettamente equidistanti.
Una risata ovattata e macabra si prolunga ad annunciare l’entrata in scena del nemico. Una specie di monaco incappucciato. Tiene il capo chino e le mani infilate nelle ampie maniche del saio di lana grezza.
Abbassando il baricentro, l’Errante assume una posizione di difesa. Attende. Non sarebbe certo il primo rappresentante di qualche bellicoso Ordine Guerriero che incontra. Un avversario potenzialmente temibile, perciò.
Il nemico gli si porta a non più di un metro, e con voce familiare sibila un avvertimento: - Non avrai mai Amore!
L’Errante reagisce alla provocazione cacciando un urlo controllato, atto a spaventare l’avversario. Gli si avventa quindi contro vibrando un improvviso e calibrato fendente.
La figura incappucciata ride belluina. La lama l’ha passata da parte a parte, ma il suo corpo non ha sostanza, la materia non può vincerlo.
- Ancora una volta è lo stupore ciò che ti anima – constata l’etereo nemico. – Fra non molto, però, leggerò il terrore profondo nei tuoi occhi mortali.
Detto questo, libera le sue mani, se tali possono definirsi. Fra i vaghi contorni del palmo e delle dita sfrigolano scintille. Scariche d’energia pura saettano in ogni direzione, consumando ossigeno. L’aria è satura di elettricità statica.
L’Errante fa appena in tempo ad accorgersene: un subitaneo lampo di luce erutta dalla mano destra del monaco e centra la sua arma, strappandogliela dalla pur solida presa a due mani, lasciandogli dita e polsi doloranti. La spada ricade a terra in un ribollire di metallo in fusione.
Una seconda scarica di energia lo centra in pieno petto, scaraventandolo a terra qualche metro più indietro. Il dolore lancinante, assolutamente sconosciuto, trova sfogo in un urlo straziante.
Accartocciato sul pavimento, ansante, con le narici pregne di vapori di carne bruciata, porta lo sguardo allo squarcio fumante coronato di ustioni che gli si apre in pieno petto. Spire di esalazioni nauseabonde salgono a confondersi con l’aria ammorbata di orrore.
“E’ dunque questa la fine?”
Rammarico, prova un enorme rammarico. Ha doppiamente fallito: non ha avuto Amore, e non saprà mai dove lo conduceva la Cerca.
L’essere dai poteri demoniaci lo ha frattanto raggiunto. Evidentemente, per finirlo: le mani, ora umane, sono protese verso la sua gola inerme.
E’ in questo istante che le ombre sotto la cappa non sono più sufficienti a celare il viso del nemico. Un volto che non è né mostruoso né infernale, eppure ancor più inaccettabile.
L’Errante sbalordisce, riconoscendo in quelle fattezze il proprio volto.
Con uno strillo disperato si getta d’istinto attraverso le gambe ancora incorporee del suo nemico, e si rialza scattando verso la via di scampo. Un attimo dopo, varca il confine della salvezza.
11 commenti
Aggiungi un commentoAmmetto di avere iniziato la lettura di questo racconto incuriosita dal titolo, la parola “sogni” mi attira sempre, e dal dipinto La belle dame sans merci di Cowper, un po’ stucchevole ma pur sempre preraffaellita. Mi aspettavo insomma una quest alla William Morris con la poetica onirica di Lord Dunsany. La solita esigente...
Il racconto mi è piaciuto, di fatto è una rivisitazione della più classica delle quest con un’insolita ambientazione dove la professione dei Sogni e delle Speranze è quanto mai azzeccata (ai tempi di Morris probabilmente sarebbero state delle irraggiungibili vergini).
Immediato e poetico insieme, forse c’è qualche aggettivo qua e là che mi è suonato stonato ma è solo una questione di gusti personali e delle aspettative di cui sopra. Lord Dunsany è praticamente irraggiungibile, da chiunque, ma questo racconto è davvero piacevole e ben scritto.
stile elegante, racconto poetico. hai ammantato di incanto un luogo e una professione che personalmente mi sono sempre parsi squallidi assai.
piacevolissima lettura, dolce morale. grazie.
Grazie Melian e grazie Ringstorm.
Una curiosità, collegandomi al fatto che l'attenzione di Melian è stata catalizzata proprio dal titolo, o meglio dalla parola sogni presente nello stesso.
Il racconto nacque proprio dal titolo. C'era una ora datata canzone (si parla di progressive rock primi anni 70) di Peter Sinfield, ex King Crimson, contenuta nell'album Still (chissà dove sarà andato a finire, ora, il mio povero vinile...): The House of Hopes and Dreams, appunto. Mi piaceva.
Il mio racconto e il testo della canzone (di cui non ricordo un granchè, lo ammetto) non sono per niente legati. Ma fu quel titolo e quella sonorità ad ispirarmi il resto.
Bellissimo, i miei complimenti.. un po' triste e un po' pessimista, ma in linea con il mio umore attuale.. Grazie
Grazie FraRebu per i complimenti.
Circa il tuo umore "attuale"... beh, essendo passati parecchi giorni, spero nel frattempo sia migliorato!
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