Stramazza faccia a terra, ai piedi del Protettore. Rimane così, ansante e con le palpebre serrate, che pulsano ai ritmi accelerati di un cuore impazzito, fino a che non avverte lo scatto della serratura che si richiude.
- Hai avuto paura. – E’ la secca osservazione del Lord Protettore.
- Non potevo batterlo. Non sapete chi… - si difende l’Errante, ma viene interrotto ruvidamente.
- Sciocchezze! Potevi farlo. Tutti possiamo, quando arrivano momenti come questo. Così come tutti potremmo capire, se non ci facesse comodo confondere il volto del nemico – argomenta l’altro, con il viso contratto dalla delusione.
- Alzati! – dispone quindi, senza più traccia di compassione o gentilezza.
L’Errante si solleva. Nel farlo si accorge di come il suo corpo non rechi alcun segno di ferita. Non osa però proferire domanda. Del resto, quel mondo continua a dimostrarsi impossibile da razionalizzare.
- Muoviamoci! – Ancora un ordine.
Di nuovo scale e passaggi interni. In un succedersi di svolte confuse. Un dedalo in ascesa, dai gradini vieppiù ripidi.
- Entra!
Remissivo, svuotato di volontà, colmo solo di vergogna, l’Errante obbedisce.
La donna lo accoglie subito all’entrata, premurosa. Silenziosa, lo accompagna con fare cortese fino al letto. La camera appare normale, e perciò, in un certo qual modo, più accogliente delle precedenti.
Lei gli sorride con estrema dolcezza e lo fa accomodare accanto a sé, a bordi del letto. Con tenere carezze, placa quell'animo turbato.
Ha una bellezza genuina, semplice. I capelli sono ricci e castani, di media misura. Le labbra non sottili, ma nemmeno turgide. Gli occhi grandi e profondi, lo sguardo da cerbiatta.
Le sue mani, così delicate, sono minute, eppure massaggiano con rilassante sicurezza.
- Tu puoi avermi - esordisce lei con un timbro che è velluto - ma le leggi della Casa dicono che per avermi dovrai pagare.
- Il Lord Protettore – spiega l’Errante – sa che io non ho denaro alcuno. Ne’ ricchezza da offrire. Ne’ favori in promessa con cui contraccambiare. Malgrado tutto, mi ha portato lui qui.
- Non è il denaro lo scotto della mia carne.
- Cosa, dunque?
- La tua libertà – afferma, molto seria nonostante il sorriso sereno.
L’Errante la fissa, sospettoso.
- Lo so, sembra un prezzo molto alto. Ma non è così. Tu diventa uno dei miei amanti, e Amicizia darà anche a te non solo il suo corpo, ma anche il suo cuore. Per sempre…
Le parole di Amicizia turbinano nella mente dell’Errante, scindono i suoi pensieri in due fazioni antagoniste, entrambe risolute ad ottenere la vittoria assoluta. E così una parte del suo Io lo implora di accettare, un’altra lo scongiura di rifiutare.
Il dissidio interiore permane fino a che una delle due non prevale.
Non dice nulla. Non ha il coraggio di dire nulla. La fazione vincente lo comanda e lo blocca. Gli impedisce di urlare quell'implorazione reclusa nella sua bocca, serrata in una smorfia. Quanto vorrebbe implorare a squarciagola: “Fermami! Fermami, ti prego…”
Una volta fuori, s’accosta al Lord Protettore. Annichilito, a stento si sforza di reggere il confronto con una faccia adesso torva, priva di sorriso. Non legge però rabbia in quei tratti rabbuiati. Nemmeno rimprovero. Solo una profonda amarezza. Forse, pietà.
- Me ne vado. – Si arrende. - Ti prego di riaccompagnarmi all’uscita. La tempesta potrebbe essere cessata.
Il Lord Protettore s’acciglia, corrugando la fronte. Appare più vecchio, a dispetto dei lineamenti giovanili. Non si muove. Tace. In modo imbarazzante, teso.
L’Errante deglutisce meccanicamente. – Credo di avere di nuovo fame - rileva. – Forse, un pezzo di pane…
Ancora silenzio.
-... E poi, mi sento di nuovo stanco.
Nessuna reazione. L’espressione dell’altro è indecifrabile. L’Errante continua: - Credo peraltro di essere in condizione di rimettermi in viaggio. Devo continuare la mia ricerca, e…
- NO! – La voce del Protettore cala perentoria. Una rasoiata tagliente che recide le spiegazioni dell’Errante.
- Perché "no"? – Chiede questi, per niente intimorito. Ha riacquistato la sua sicurezza, ora, insieme alla consapevolezza del suo viaggio.
- Perché ho ancora una Speranza per te. Lei ti piacerà. Lo so. Andrà tutto bene, stavolta. Avrei dovuto capirlo subito… O forse, non ho voluto farlo – dice, e per la prima volta, è lui ad abbassare lo sguardo, anche se solo per un secondo. – Sono in pochi a desiderarla, temono il suo fascino, il suo potere. E’ una solitaria, vive su, in alto, nell’ultima stanza della torre. Le altre la evitano, e lei evita loro. Anche se occasionalmente soddisfano insieme alcuni clienti, che non si accontentano di un Sogno, o preferiscono confonderli. Soprattutto Amore, soprattutto lei le si accompagna a volte.
<< In fondo, le altre la odiano, pur portandole un rispetto unico e sincero. Nessuno può tornare da loro, dopo essere stato con lei.
11 commenti
Aggiungi un commentoAmmetto di avere iniziato la lettura di questo racconto incuriosita dal titolo, la parola “sogni” mi attira sempre, e dal dipinto La belle dame sans merci di Cowper, un po’ stucchevole ma pur sempre preraffaellita. Mi aspettavo insomma una quest alla William Morris con la poetica onirica di Lord Dunsany. La solita esigente...
Il racconto mi è piaciuto, di fatto è una rivisitazione della più classica delle quest con un’insolita ambientazione dove la professione dei Sogni e delle Speranze è quanto mai azzeccata (ai tempi di Morris probabilmente sarebbero state delle irraggiungibili vergini).
Immediato e poetico insieme, forse c’è qualche aggettivo qua e là che mi è suonato stonato ma è solo una questione di gusti personali e delle aspettative di cui sopra. Lord Dunsany è praticamente irraggiungibile, da chiunque, ma questo racconto è davvero piacevole e ben scritto.
stile elegante, racconto poetico. hai ammantato di incanto un luogo e una professione che personalmente mi sono sempre parsi squallidi assai.
piacevolissima lettura, dolce morale. grazie.
Grazie Melian e grazie Ringstorm.
Una curiosità, collegandomi al fatto che l'attenzione di Melian è stata catalizzata proprio dal titolo, o meglio dalla parola sogni presente nello stesso.
Il racconto nacque proprio dal titolo. C'era una ora datata canzone (si parla di progressive rock primi anni 70) di Peter Sinfield, ex King Crimson, contenuta nell'album Still (chissà dove sarà andato a finire, ora, il mio povero vinile...): The House of Hopes and Dreams, appunto. Mi piaceva.
Il mio racconto e il testo della canzone (di cui non ricordo un granchè, lo ammetto) non sono per niente legati. Ma fu quel titolo e quella sonorità ad ispirarmi il resto.
Bellissimo, i miei complimenti.. un po' triste e un po' pessimista, ma in linea con il mio umore attuale.. Grazie
Grazie FraRebu per i complimenti.
Circa il tuo umore "attuale"... beh, essendo passati parecchi giorni, spero nel frattempo sia migliorato!
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