Sì, probabilmente è così: tradurre è un po' come tradire. Un vecchio detto che in parte trova conferma nelle parole di Valeria Galassi, nota traduttrice di romanzi e saggi, conosciutissima per il suo lavoro sulle opere di Diana Gabaldon. Tradurre è tradire, e in certi casi è anche "migliorare" ciò che arriva dall'estero. L'arte della traduzione è per questo difficile e complessa, richiede ottime conoscenze linguistiche ma anche doti da "editor" e, spesso e volentieri, un'ampia base culturale per sopperire alle più disparate nozioni presenti nei vari volumi.
Di tutto questo, e di molto altro ancora, abbiamo parlato con Valeria Galassi in una nostra intervista che spazia dal romanzo, al saggio, dai traduttori che hanno fatto scuola, fino ai rapporti fra traduttori e autori.
Dall'intervista: "Penso che un traduttore sia un autore, punto. Solo che riscrive libri altrui. Certo, tradurre è meno impegnativo che scrivere un libro di sana pianta, ma la parte autoriale, creativa, rimane, secondo me. Basta confrontare le versioni di due traduttori diversi, per capire quanto ognuno ci mette di sé!"
L'intervista:
A questo link, l'intervista con Valeria Galassi: Valeria Galassi: e Io Traduco.
33 commenti
Aggiungi un commentoLo dico senza polemica, anzi, l'argomento mi interessa molto, ma di questo romanzo ho letto soltanto critiche riferite al titolo, davvero (che nel caso specifico è stato scelto dalla redazione di comune accordo con Gaiman). Qualcuno l'avrà letto? Su, fatemi il culo! Vi sfido! (aiutoooooo! noo, non fatelo). I Jack? Andavano tradotti? Avevo anche trovato una soluzione carina, ma che mandava a puttane tutto il registro della narrazione. È un lavoro fatto di scelte difficili. Quando l'azzecchi nessuno parla di te, quando sbagli tutti a lapidarti. Ma è un lavoro splendido specie quando lavori su autori come Gaiman, anche se poi la sensazione è quella di ritrovarti in pigiama in mezzo alla piazza del paese. Tutti dicono di averlo letto, tutti ne parlano. Molti parlano del fatto che se ne parla. Il titolo è l'argomento standard.
Scherzi a parte, sono comunque d'accordo su molte delle cose che sono state dette in questo thread, e, cosa più sostanziale, anche con le perplessità di Klytia (come spiego più avanti): anche a me sulle prime ha un po' lasciato perplesso quella frase della collega (che non conosco, e che magari avrò frainteso).
Per me il traduttore NON è lo scrittore. Io mi sento più spesso come... un direttore d'orchestra, o un cantante di karaoke, fate voi (dipende da quanto vi piace il risultato, ma anche la base musicale, suppongo). Insomma, uno che offre una sua cover, una versione sua, su una partitura altrui.
Io credo che la collega volesse dire questo.
Una traduzione ha un difetto, un peccato originale, irrisolvibile: NON è l'originale. Se canto De André, non dovete prendervela con me perché non ho la sua voce... ma solo se non sto solo facendo del mio meglio.
Io non sono lui. Dovrei smettere per questo? E allora De André non lo canta più nessuno? La scelta è, imparare l'inglese e leggere in originale (cosa che consiglio caldamente, anche per i libri che ho tradotto: l'originale è l'originale, insomma!) oppure accettare il gioco, rassegnarsi un po' e accettare che possa capitarvi un traduttore ignorante, irrispettoso, presuntuoso (che spero non sia il mio caso, e sicuramente neppure quello della collega).
E, ribadisco, se potete leggete l'originale.
E poi attenzione a non semplificare troppo le cose.
Ci sono traduttori e traduttori, e soprattutto ci sono autori e autori, libri e libri. (E nello stesso libro, ci sono pagine e pagine, ciascuna con la sua storia e le sue scelte, le cose da sacrificare e quelle da compensare in altro modo).
Chi si accosta a, mettiamo, un Dan Brown, DEVE correggere, aggiustare, limare. Perché Dan Brown è un ignorante assoluto, e misteriosamente non ha un editor, o il suo editor è un cugino analfabeta dell'autore, chessò. Avete mai preso in mano "Angeli e Demoni" in inglese? Aah, ve lo consiglio, la lettura comica dell'estate! Non c'è UNA parola in italiano (e sono numerosissime) che sia scritta correttamente. Roba da chiamare i carbonieri... ehm.. i carabinieri, e farlo arrestare.
Che facciamo, per rispetto di Mr. Brown ci teniamo il cardinale camerLEGNO? Ma ci sono intere frasi che sono nella loro stessa essenza assolutamente improponibili, e allora vai, giù col machete. Qualcuno si scandalizzerà? Ma dai! è quella lenza di Dan Brown, suvvìa. Non dico che non vada preso sul serio, ma è un prodotto particolare creato per essere leggero e godibile, e essergli fedeli significa anche appianare appena un po' certe cavolate già che ti capitano per le mani. Con rispetto, ma non reverenziale, ecco. Quando un traduttore parla di riscrittura, usa evidentemente un'iperbole, ma intende questo. Quell'intrico di difficoltà di cui parlavo qui sopra, più la necessità di appianare certe cose che in certi libri sarebbero indigeribili. Adattare al tempo, al luogo, oltre che alla cultura differente.
Poi, il concetto di intoccabilità di un libro nasce dall'idea errata che un libro sia solo frutto dell'ingegno solitario di un autore. Purtroppo, o per fortuna, non è così. Ci mettono le mani decine di persone, ci sono editor, revisori di bozze... figure oltretutto ancor più nascoste del traduttore e dell'autore, ma altrettanto fondamentali (e che hanno la disgrazia di non essere mai citate, ma anche la fortuna di avere il traduttore a beccarsi comunque pure le loro colpe). Con tutto ciò, la domanda posta in questo thread era evidentemente retorica e tutti sappiamo la risposta: nessun autore sarà mai disposto ad accettare un intervento massiccio da parte di un traduttore, neanche se necessario, e lo stesso Dan Brown sosterrà che quella del camerlegno è stata una scelta sofferta che voleva esprimere la durezza e infiammabilità del personaggio, e che i carbonieri sono degli ex camerlegni rimasti un po' scottati dagli eventi.
Ma vivaddio non c'è solo Dan Brown (che ci vuole, ma a piccolissime dosi). Ci sono anche libri meravigliosi, splendidi, che ti fanno paura solo a metterci mano, che vanno trattati con i guanti di velluto, per non sciuparne il ritmo, la poesia. Un bravo traduttore passa i suoi bei quarti d'ora (che corrispondono a kilowatt di bolletta da non sapere come pagare, sigh) a cercare l'aggettivo giusto, il finto-sinonimo che ha quella sfumatura in più.
Alla fine devi quasi sempre sacrificare qualcosa. Ci sono giochi di parole intraducibili, e miliardi di approcci a ciascun problema. Metto una nota? Tolgo il gioco di parole? Quale delle due è la soluzione che mi tiene più fedele alle intenzioni dell'autore?
Secondo me il libro dev'essere semplicemente bello e godibile quanto l'originale e dire la stessa cosa.
Non necessariamente le stesse cose, ma fondamentalmente la stessa cosa, e con lo stesso tono di voce, senza sembrare tradotto.
Secondariamente, io cerco la fedeltà assoluta, ma NON credo ai discorsi sulla fedeltà.
Nel senso che sono mal posti.
La fedeltà è un credo, un dogma, e un'illusione.
Forse un ideale, una chimera, un'utopia.
Vista in quest'ottica, è una cosa nella quale è necessario credere.
Alla quale mirare.
Sapendo bene cos'è.
Se il libro dev'essere semplicemente bello e godibile quanto l'originale e dire la stessa cosa, e con lo stesso tono di voce, senza sembrare tradotto... se, posta questa condizione, si può essere il più possibile fedeli alla frase e anche alla parola, magari alla virgola, bene.
Altrimenti, bisogna comunque guardare al senso vero della parola dentro la frase, e della frase dentro al paragrafo, e al paragrafo nel messaggio del libro.
Un esempio fresco fresco dal libro al quale sto lavorando in questi giorni, una cosa per la quale troverò di certo una soluzione molto stupida (e quindi non prendetela come una lezione di traduzione, non sono all'altezza per stare su una cattedra, è solo una provocazione)
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Se l'originale in inglese una ragazza dice qualcosa tipo "He must have something in his sleeve", per voi come dovrei tradurlo?
Pensateci bene per favore, se vi occorre consultate un dizionario, prima di continuare a leggere.
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E se poi il protagonista le risponde, "Ma Wendell ha le maniche corte!"?
(Ahaaa, problema! Allora le maniche vanno mantenute?).
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E se qualche rigo ancora dopo il protagonista vede Wendell e dice, "Sorrido fra me perché oggi Wendell ha le maniche corte"?
(Uh, ma allora devo proprio mantenere le maniche? E il significato della prima frase come lo rendo?)
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E se, allargando il campo al libro intero, il protagonista fosse un ragazzo che soffre di un lieve autismo e ha problemi a comprendere le espressioni figurate? (Oh, ma allora ci vuole per forza un'espressione figurata che lui deve prendere alla lettera?)
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E se Wendell fosse un bastardo che trama alle spalle del ragazzo? (E quindi non possiamo sostituire con un'espressione figurata presa a caso)
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Qual è il livello di fedeltà da mantenere?
Qual è la cosa più importante da mantenere e quale cosa possiamo sacrificare?
Siamo sicuri ad esempio, che per mantenere la manica, infilargli un asso sotto il polsino sia la cosa più fedele, per l'insieme del libro?
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E, alla fine, siamo sicuri che questo gioco di parole debba rubare un pomeriggio intero al nostro lavoro, magari trascurando il resto del libro?
Il succo è che la parola perfetta sembra fedele ma può uccidere il paragrafo, snaturando il libro.
Se il termine infedele mi permette di essere fedele al senso generale della frase, o se snaturando la frase salvo il paragrafo, o se storpiando il paragrafo salvo il romanzo, con queste scelte sarò stato fedele o infedele?
Con tutto ciò, io cerco di rispettare ogni parola, anche la virgola. Ma solo quando si può e suona naturale. Nel dubbio, ogni volta che ho un dubbio, io scelgo di essere fedele al lettore...
Carusi, è un lavoraccio. Ok, fai una cosa splendida, di cui vai fierissimo, e non stai chiuso in una fabbrica. Puoi persino montarti la testa. Però come in ogni fiaba ci sono i cattivi. Il mutuo da pagare, la casa vuota che sembra parlarti e ti getta nell'angoscia, la frase contorta che magicamente il giorno dopo diventa semplice... e quando il lieto fine sembra arrivato, ti arriva la strega cattiva che ce l'ha a morte con l'editore perché magari prima lavorava per quella collana lì e se n'è andata sbattendo la porta ma non ha le... ovaie per attaccarlo direttamente, e dice che la traduzione, chessò, è sciatta, è legnosa (ci sono alcuni aggettivi standard, e altri un po' più ricercati, che si possono gettare a piene mani sul capo del povero traduttore: legnosa, ampollosa, mediocre, incostante, zigrinata, ermafrodita, icignica, cugruffa... un periodo andava fortissimo la parola "corrusco", poi un tizio deve averlo cercato sul dizionario e da quell'istante è del tutto scomparsa dall'uso), magari mostrando chiaramente, e in più punti, di non aver letto davvero il tuo lavoro ma solo qualche nota stampa e degli stralci dell'originale.
Ci sono i recensori fai da te di certi blog, che anziché avere quell'approccio gioioso, allegro e naif del lettore vorace e entusiasta, si mettono a scimmiottare i recensori e le loro frustrazioni... sono i peggiori (non che bastino a rovinarti la giornata, specie se è stata una giornata trascorsa tra le righe di Susan Musgrave... però...). Ci sono quelli che, a prescindere, se amano l'autore, la colpa è del traduttore.
Ci sono gli editori che pagano poco e male, e quello lo sappiamo. Ci sono i colleghi che si radunano alle conferenze e si parlano addosso (ma è solo un modo per vincere la solitudine, sappiate... ore e ore tappati in casa sul significato di "polidismorfopalinclasìa", mentre altri colleghi seduti su un pulpito sopra una nuvoletta stile Goku sparano similitudini esistenzialiste del tipo "la traduzione è un atto d'amore", "la traduzione è sofferenza", "la traduzione è un zufrasso profumato", "la traduzione è la traduzione è la traduzione"... sono tutte cose che fanno male al nostro lavoro, che dovrebbe essere semplicemente: "mettiti lì e traduci, stronzo". Quello che dico sempre è che siamo gli odontotecnici della letteratura. Ogni tanto ci montiamo la testa perché siamo fondamentali, ma... siamo fondamentali. Sarà questa frustrazione data dal non essere scrittori, o sarà forse colpa di quest'epoca sciatta e superficiale e buzzurra, ma quello della letteratura è un mondo pieno di matti e isteriche, e il problema è che si collocano tutti nel percorso puro che dovrebbe congiungere l'autore al lettore (badate, non escludo il primo e i secondi tra i matti e le isteriche, ma la differenza sta nel fatto che sono però le uniche figure indispensabili, e spesso vittime incolpevoli della follia degli altri coinvolti nel percorso).
Ma alla fine, quello che resta è proprio quel rapporto autore-lettore, e il libro che avete per le mani... avete mai pensato a quanti dei libri che leggete sono tradotti? E quante volte siete andati a leggere il nome del traduttore? Quante volte vi siete chiesti "come sarà in originale?" Sono certo che moltissimi di voi lo fanno.
Beh, adesso, grazie al dannato Feisbukk siamo tutti disponibili e rintracciabili, e potete persino cliccare sull'iconetta del regalino per mandarci a domicilio un bel pesce in faccia quando il nostro lavoro vi ha fatto un effetto Guttalax (può succedere, altroché).
Fatelo.
Fate questo favore alla letteratura, fateci scendere dal trono aureo sulla nuvoletta.
Ma se possibile fatelo con semplicità, con umiltà e gentilezza, vi prego.
Siamo presuntuosi a volte, spesso snob, ma alla fine siamo solo delle persone un po' tristi e e un po' fragili e poco abituate a vedere la luce del sole, come l'uomo di vetro di Amélie. Ehi, dico sul serio!
E soprattutto, adoriamo parlare lungamente di noi stessi e del nostro lavoro, se ci ponete qualche semplice domanda... io sono persuaso che se ad esempio cercate la collega (che non ho il piacere di conoscere, ma dalla faccia e dalle risposte mi sembra una persona simpatica) e le ponete le vostre perplessità in merito a quella frase sull'autore, in qualche modo alla fine ne verrà fuori un dialogo interessante.
Vi auguro solo non sia logorroica come me.
A proposito... avrò mica annoiato qualcuno?
un abbraccio a tutti voi,
G Iacobaci
p.s. la prossima volta che leggo le parole "babelfish" e "traduttore" nello stesso post, mi metto a gridare. A meno che l'argomento non sia Douglas Adams, beninteso.
Grazie, Giuseppe, per il tuo intervento sagace e schietto. L'ho apprezzato.
La tua collega, dopo questo post, ha chesto il diritto di replica. Lo puoi trovare qui:
http://www.fantasymagazine.it/forum/viewtopic.php?p=569337#569337
Purtroppo era solo una replica, non un botta e risposta con lei.
Bellissimo commento Giuseppe.
Sì in inglese, quindi non posso giudicare la traduzione, suppongo che la tua sfida si riferisse a questo.
Il titolo sarà anche stato concordato con Gaiman ma rimane comunque pessimo
Petta, stop, fermati: quindi TU sei il traduttore di Graveyard Book? Fantastico.
E come hai tradotto i “Jack”?
Ma soprattutto, hai partecipato anche tu alla proposta di traduzione del titolo?
Secondo me sì, con una bella nota a piè di pagina, come si usava una volta, con scritto “Scritto così in originale” o qualcosa di simile.
Perchè fare un favore a Dan Brown?
Ahum...sì con qualche limite magari. Due esempi…anzi tre
Train Man, curioso esperimento letterario, riuscito per altro: trasformare in un romanzo una serie di commenti inseriti dagli utenti di un famoso forum per single giapponese, 2channel. Mi rendo conto che tradurre i commenti da un forum non sia semplice, tuttavia, considerando che questa storia è puramente Giapponese, era così necessario inserire frasi come "me batte forte er core"? Non era meglio lasciarle in italiano inserendo a pie' di pagina le informazioni sull'intraducibile slang usato, se usato?
Oppure, tornando a Gaiman, ho trovato questa perla ne “Gli Eterni”: "non è ancora apparso a striscia la notizia". Frase che mi è suonata stonata in un fumetto chiaramente ambientato negli USA. Why?
Infine tratto da Guerrors di Gibson (in italiano tradotto col più poetico “L’accademia dei sogni”); in una scena si parla della famiglia di Tito che da "famiglia" è diventata "firma", non ho qui la citazione precisa. In italiano non vuol dire niente; perchè ho il sospetto che in inglese fosse invece “firm”? Poi magari mi sbaglio eh…
Ah, io sono la Klytia di cui sopra, quella che non sa come “funzionano le traduzioni”. Che poi è vero io non mi occupo di traduzioni, leggo appunto quelle altrui (ora molto meno)…e talvolta mi accorgo di certe castronate poi è ovvio che mi si avvelenano i canini.
Ti sei dimenticato “tradure è un po’ tradire”
Presente!
Basta poi non lamentarsi però
Il babelfish è un divertente traduttore.
Ora vado a mettermi i tappi per le orecchie.
E' un caso molto diverso dalla letteratura IMHO.
Con i fumetti Marvel compiono simili operazioni sin dai tempi della Corno. I fumetti sono pieni di batttute che fanno riferimento a show televisivi conosciuti solo negli USA.
Talvolta ho visto il nome dello show o dell'anchor man con accanto un (*) e una didascalia espilicativa. Ricordo di aver letto battute su Rischiatutto di Mike Bongiorno (negli anni '70, ora magari ci mettono lo show dei pacchi).
E' un dilemma. Il riferimento esplicito al personaggio consente di afferrare subito la metafora, specialmente se hai 7 anni (età in cui ho cominciato a leggere fumetti marvel).
Se leggi il nome di un anchor man americano e poi in basso la spiegazione, perdi l'immediatezza, pur avendo il traduttore rispettato la lettera. Se leggi subito Bruno Vespa, capisci che metafora viene usata.
E' una scelta da fare. Un bivio che non invidio al traduttore perchè in ogni caso troverà qualcuno che la contesta.
Se non hai un aggancio la cosa diventa problematica. Se lo spettacolo o ipersonaggio è noto in Italia ormai si usa il nome reale, penso a David Letterman, Jay Leno o Ophra Winfrey. Eppure anche in quel caso, ho visto una volta una vera castronerie, con il Bill Cosby Show, tradotto come "lo spettacolo di Bill Cosby", quando invece da noi è conosciuto come "I Robinson".
i miei due cents... imho
Suppongo sia quel dilemma espresso bene da Giuseppe sull’essere fedele al testo o fedele al lettore.
"L'essere o non essere" del traduttore
Nell’esempio degli Eterni, personalmente tendo a preferire la nota a piè di pagina mantenendo la coerenza – sottolineo coerenza, non parlo di fedeltà al testo in questo caso - con l’ambientazione e la nazionalità del fumetto, ma più o meno vale la stessa cosa anche con l’esempio che ho riportato da Train Man, cosa c’entra il romanesco? :
In generale questi riferimenti non sono mai tantissimi in un fumetto e una o due note in più non mi disturbano più di tanto, in effetti sono più disturbata da questo tipo di traduzioni (altrimenti non mi sarebbero rimaste in mente )
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