Fabrizio Corselli, classe 1973, palermitano di nascita ma da qualche tempo residente a Milano dove lavora come Educatore di Sostegno, si definisce scrittore di poesia epico-mitologica e saggista.
Per le Edizioni Laboratorio Giovanile ha pubblicato nel 2001 I Giardini di Orfeo, raccolta di poesie sui miti greci, ed è redattore della rivista InArte. Si occupa da tempo di promuovere la diffusione della poesia, in particolare di poesia attinente alla cultura classica.
Continuativa è la sua collaborazione con l’Associazione Internazionale di cultura ellenica MondoGreco, che ha pubblicato sul proprio sito, in forma di e-book, alcuni scritti dell’autore (All’Ombra di una Guerra, rievocazione della battaglia delle Termopili del 480 a.C., Satyros – Viaggio arcadico di un satiro danzante, opera epico-mitologica in due libri) di cui l’ultimo è questo Promachos e il Tamburo da Guerra che è possibile scaricare gratuitamente da questo link.
Introduce l’ultima fatica letteraria di Corselli una sorta di guida alla lettura in forma di intervista, curata da Simona Iovino (disponibile per il free download a questo indirizzo).
Per l’esattezza è solo la forma del testo a dare l’idea dell’intervista perché le risposte di Corselli, estese e molto strutturate, rendono, si, un’introduzione all’opera, ma dal tono che assumono danno la netta impressione di farlo in maniera altisonante e autocelebrativa.
Il fatto che Corselli ami in maniera smisurata il ricorrere a grecismi che molto spesso non traduce né tantomeno spiega (non si tratta solo di semplici parole ma anche di concetti che riguardano la mentalità e la cultura di un mondo a noi ‘altro’ come quello della Grecia antica) così l’utilizzo da parte sua di termini tecnico-letterari a volte sinceramente evitabili, ostacolano nella maniera più assoluta il lettore che non abbia una almeno buona cultura classica e umanistica.
Questo atteggiamento sembrerebbe contrastare con quanto enunciato dallo stesso autore nell’intervista rilasciata a Luca Azzolini per Fantasy Magazine nell’aprile scorso. Cito testualmente: “[…] il mio intento è quello di diffondere la cultura, con un occhio di riguardo a quella classica.”
Ci si chiede a questo punto se questo sia l’atteggiamento giusto per poter diffondere la cultura classica.
Promachos e il Tamburo da Guerra è un’opera ibrida, che consta di parti narrate e parti poetiche. Il motivo di questa doppia veste formale sta nell’interessante idea di base di Corselli, quella di seguire le gesta di un circolo di individui dediti all’arte del combattimento e al canto lirico (nell’accezione antica di “declamazione di versi accompagnati dal suono della lira”). Il gruppo di personaggi, approdati sulla costa della città di Troia, ne inizia l’esplorazione cogliendo i segni della feroce guerra che vi si è combattuta e imbattendosi in un potente artefatto.
L’idea di un circolo di poeti-guerrieri che Corselli chiama Polemadontes (“Cantaguerra”) è molto affascinante. Ma quella del cantore-combattente non è una figura che il nostro ha creato dal nulla, cosa che egli non afferma esplicitamente ma che neanche si adopera a negare, per onestà intellettuale, nell’intervista che introduce il testo: “Nella sua poetica [di Tirteo, poeta spartano vissuto nell’VIII secolo a.C. circa e della cui opera non rimangono che frammenti] viene abbandonata la gloria degli eroi per approdare invece alla miseria dei vinti; del resto, egli viene considerato ‘il poeta della guerra’. Da qui, ho ben pensato di creare questo manipolo di guerrieri-cantori; […]”.
A prescindere dal fatto che l’affermazione sulla poetica di Tirteo non è del tutto esatta, bisogna ricordare che la figura del poeta-guerriero è antica, nascosta a volte, ma pertinente a diversi ambiti culturali. Mi viene da citare, su tutte, la figura di Odino (Othinn, Wotan, Woden) che è dio della guerra, padre dei caduti, ma anche conoscitore delle formule poetiche (kenningar) e ispiratore di poesia nell’Alto Medioevo germanico-scandinavo. Mi viene in mente Oisìn del ciclo eroico irlandese dei Fianna o Ciclo Ossianico.
Nel mondo greco antico (e qui si parla di personaggi storici) certamente va ricordato Tirteo, ma come tralasciare lo splendido frammento in cui il poeta Archiloco (VII secolo a.C.) afferma di essere “armigero del dio delle battaglie” e di conoscere, altresì, “il dolce dono delle Muse”? In gran parte della Grecia, almeno fino all’età ellenistica (IV secolo a.C.) ogni cittadino era un soldato. Un vasaio, un piccolo proprietario terriero, un aristocratico. Anche un poeta, anche uno storico (Erodoto, Tucidide e Senofonte, lo erano tutti).
Andando ad analizzare l’ambientazione e la trama, va detto che l’intreccio, pur ambientato nell’antica Grecia, appare decontestualizzato da un punto di vista storico. Certo, si tratta di “un’opera a carattere epico-mitologico” come Corselli stesso la definisce, ma l’autore evita accuratamente ogni descrizione che dia effettivamente il ‘sapore’ dell’ambientazione scelta, oltre che particolarmente amata: in altre parole, le rovine della città di Troia potrebbero benissimo essere le rovine di qualsiasi città, i guerrieri-cantori greci potrebbero essere immaginati, mentre si procede con la lettura, equipaggiati anche con armature medievali, tanto è inesistente l’attenzione per i dettagli, ad eccezione dell’uso di termini greci che a volte, anche per chi il greco antico lo conosce, risulta fastidiosamente presuntuoso e fuori luogo.
L’intreccio vero e proprio è pressochè inesistente. Corselli insiste nell’affermare che l’anima del suo testo è l’Eikos, vale a dire il circolo poetico che i guerrieri protagonisti formano quando, a turno, cantano episodi bellici per rendere omaggio a vincitori e vinti della guerra troiana. Ebbene, anche in una trama ridotta all’osso per precisa volontà dell’autore, esistono delle situazioni al limite del ridicolo: nel vagare tra le rovine di Troia, i cantori-guerrieri si imbattono, all’inizio, in una “statua di sabbia” che li lascia immobili ed esterrefatti. All’azione risolutiva di Melesigenes che intona un canto per tentare di sbloccare l’impasse dei compagni, la sabbia si alza rivelando nientemeno che il famoso cavallo di Troia (dòlos, “inganno”, lo chiama Omero, ma questo grecismo è di chi scrive, non di Corselli).
Qualsiasi lettore abbastanza attento può rendersi conto di quanto sia forzata, irreale e assolutamente fuori luogo questa situazione.
A parte la genuina, ammirevole passione per il mito greco e una sufficiente conoscenza dello stesso, Corselli ha uno stile pedante, mai snello e avvincente, e terribilmente noioso. Alcuni passaggi mostrano gravi ingenuità nella costruzione sintattica, ripetizioni, scelte lessicali assai discutibili e non basta un pugno di termini ricercati per elevare uno stile che vuole solo essere tale a tutti i costi.
Veniamo alle parti poetiche, quelle che dovrebbero essere l’anima dell’opera. Corselli scrive le sezioni liriche della sua opera in versi liberi. Nulla da eccepire se non una constatazione da fare. Questa rievocazione della poetica antica, che per sua definizione rientrava in precisi schemi formali, inizia quindi con una forte differenza con il modello di riferimento.
Si ha l’impressione, procedendo nella lettura dei versi, che le parti poetiche siano identiche a quelle in prosa (o il contrario): scarsa musicalità, ritmo monotono, la scelta dei termini lessicali è ugualmente spesso volta a una ricercatezza fine a se stessa. L’unica differenza con le parti narrative sembra essere la divisione in versi.
Genuina passione per il mito classico, interessante idea di fondo e fruibilità dei propri scritti grazie alla distribuzione gratuita (cosa assai rara anche per gli autori esordienti) sono indiscutibili pregi di Corselli.
Ma non bastano certo a rendere minimamente piacevole la lettura di Promachos e il Tamburo da Guerra, opera dagli alti intenti letterari (cosa che si evince anche dai toni dell’intervista introduttiva) non corrisposti dalla reale abilità tecnico-narrativa, poetica e stilistica del suo autore.
19 commenti
Aggiungi un commentoHo seguito in silenzio la discussione. Dal momento che ho letto l’opera di Corselli mi permetto a questo punto di intervenire.
Premetto che la mia conoscenza del greco antico (poesia , prosa, metrica e quant’altro) è limitata agli studi liceali corredati da approfondimenti personali, tuttavia posso dire di conoscere gli autori (greci e non) citati da Matteo, nonché Bach, piuttosto bene.
Per quanto riguarda le affermazioni di Matteo, noto una discriminante molto accentuata tra letteratura “alta” (arte) e letteratura “bassa” (non arte), posizione che ritengo assai anacronistica e legata ad un concetto obsoleto di cultura. Esistono, è vero, delle differenze di livello tra le varie espressioni artistiche, ma non legate al concetto che la forma possa essere sostituibile alla sostanza.
"Tutto vive, tutto perisce per la forma”: mi vengono in mente (per Matteo l’esempio sarà molto terra-terra) Mozart e Salieri: la loro differenza è solo nella forma? Non credo proprio.
Nello specifico, un lettore definisce “pallosa” un’opera che lo annoia, non un’opera poco divertente. Ovvero, qualcosa che non gli comunica niente. Dante, Euripide e gli altri che hai citato, sono dei grandi perché capaci di trasmettere sensazioni , belle o brutte che siano. (Tra parentesi la Commedia di Dante veniva letta nelle taverne, e probabilmente era considerata paraletteratura dall’Intellighenzia di quel tempo). A questa loro capacità ovviamente si aggiunge una forma capace di amplificare i contenuti: da qui il capolavoro. Tuttavia, se ancora oggi apprezziamo Omero è per quello che ci racconta, così universale da portarci a superare le difficoltà di un linguaggio ormai lontano. Nel poema di Corselli avviene il contrario: la forma (il linguaggio) sarà anche perfetta, frutto di un lungo studio, ma la sostanza è praticamente assente. Non vi ho trovato né storia né emozioni, come quegli interminabili esercizi al pianoforte per sciogliere le dita: tecnici, perfetti magari, ma di una noia mortale. Per questo motivo, credo, difficilmente “Promachos” potrà essere apprezzato al di là di un circolo ristretto di persone.
P.S. Tutto si può dire di Bach tranne che non sia travolgente (secondo la mia opinione, naturalmente)
E psichedelico
"Quest'uomo non è un ruscello (Bach = Ruscello), quest'uomo è un fiume in piena!"
Ottimo intervento Cris! Lo sostengo in toto!
Mah. Bach è travolgente se eseguito da Glenn Gould. Da Rosalyn Turek, al clavicembalo, un po' meno. L'esecuzione di quest'ultima era meno geniale, ma più filologica. Chi lo definisce un fiume in piena temo l'abbia scambiato per Beethoven.
Dante considerato paraletteratura?! Assolutamente no. Mai. Anzi, da "poeta theologus" qual era, veniva guardato con sospetto e fastidio proprio per il suo eccesso di erudizione. I cronisti dell'epoca lo dipingono come un intellettuale distante e sdegnoso. Insomma il Dante di Benigni può apparire simpatico, ma è piuttosto lontano da quello storico (per il quale, semmai, è meglio rifarsi alla dimenticata "Vita di Dante" di Vittorio Cottavafi, con un grande Albertazzi).
Voltaire diceva che la grandezza di Dante (poeta del buio Medioevo) non veniva mai messa in discussione per il semplice fatto che nessuno lo leggeva. Ecco a cosa porta un razionalismo dogmatico (nel caso di Voltaire, poi, anche ad aberrazioni ben peggiori, come l'antisemitismo).
Quello che veniva letto, o meglio recitato a memoria, nelle taverne era Cecco Angiolieri (unitamente ai sonetti burleschi di Dante, non certo alla "Commedia").
Purtroppo lo stereotipo di Dante "popolare" (come quello, ottocentesco, del genio ispirato) è duro a morire. "O voi, che siete in piccioletta barca .... tornate e riveder li vostri liti.....", direbbe lui.
OT/
Ah beh, io non ho paura di smarrirmi nel pelago.
Non continuo su questo argomento perchè siamo già OT.
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