Tra i molti commenti originati dalla mia intervista sui problemi della traduzione, alcuni erano interessanti, altri offensivi o disinformati. Quella che balza agli occhi è la disinformazione riguardo a un lavoro di cui in genere si sa poco, e che si può imparare davvero solo dopo anni di esperienza, di studio e di sofferenze sui propri errori.
Cercherò quindi di ignorare i commenti più ingiuriosi e risponderò a coloro che hanno espresso educatamente, e con chiarezza, la propria perplessità sulle cose che ho detto, per cercare di dissipare i malintesi che si possono essere creati anche per colpa mia.
Innanzitutto nell'intervista mi ero imposta di non dilungarmi troppo perché questa non mi sembrava la sede giusta per le disquisizioni tecniche, ma magari ho esagerato nel senso opposto e in qualche punto sono stata fin troppo concisa, per non dire lapidaria. Forse anche l'introduzione del giornalista può avere involontariamente influenzato il lettore distratto, estrapolando dal mio discorso – all'interno del quale potevano avere un senso diverso – due concetti come la questione del "tradimento dell'originale" e del suo rimaneggiamento da parte del traduttore. Infatti il principale rimprovero dei commentatori è stato di prendere troppo alla leggera quello che ha scritto l'autore, mentre io avevo dichiarato testualmente nell'intervista: "La sfida della fedeltà all'originale è qualcosa che il traduttore deve continuamente tenere presente".
Non ho assolutamente l'abitudine, ad esempio, di fare una prima stesura tipo "babelfish", per poi correggerla solo in fase di revisione. Il mio metodo è di dedicare grande attenzione alla prima stesura proprio per scostarmi il meno possibile dal testo di partenza. Ho solo affermato che la fedeltà letterale è spesso impossibile, anche nei libri scritti benissimo, a meno che non ci si voglia ritrovare a leggere in "italiese": così è stata definita, nel corso di un incontro dallo spiritoso titolo Qual è il tuo nome, bambola? (Salone del Libro di Torino 2008, ciclo dedicato all'Autore Invisibile) quella lingua ibrida, inesistente nella realtà e impervia per il lettore, di certe brutte traduzioni dall'inglese.
Ho appreso di recente che nei forum dedicati al fantasy hanno spesso luogo accesi dibattiti sulla traduzione dei singoli termini. Purtroppo però tradurre un romanzo non è solo questo, e cioè trasporre vocaboli da una lingua all'altra come una macchina, è una questione di più ampio respiro, oggetto di innumerevoli studi, corsi e master universitari, convegni. È un dovere e un piacere confrontarmi con i colleghi, partecipare alle situazioni dove se ne parla, poi credo che ogni traduttore sviluppi un suo metodo di lavoro, arrivi alle proprie conclusioni. Io ho cercato di spiegarvi il mio.
Non sarebbe giusto pretendere che voi lettori foste al corrente di tutto ciò che riguarda gli "addetti ai lavori", ma almeno potreste tentare di liberarvi dai pregiudizi verso chi "interferisce" con la voce dell'autore, e cominciare a considerarlo un amico che vuole aiutarvi ad accedere con maggior immediatezza a un testo, presentandovelo nella vostra madrelingua. Quelli che conoscono le lingue straniere potrebbero magari leggersi lo stesso libro anche in originale, riflettere sulle varie scelte del traduttore, ricordare il suo nome, cercare di stabilire quanto merito (o demerito) abbia la traduzione nel loro giudizio globale sul libro.
Ho visto che tra voi c'è chi lo fa già, e infatti mi sembra che quei commenti siano i più azzeccati. Come chi racconta di aver letto lo stesso romanzo in ben tre lingue diverse: l'originale inglese, la traduzione italiana (che gli è piaciuta) e quella tedesca, che invece non ha affatto gradito, al punto da dichiarare che, se avesse conosciuto l'autrice solo tramite quella traduzione, l'avrebbe odiata. Ma leggiamo le sue stesse parole: "Forse, azzardo, al traduttore non piaceva il testo e ha fatto qualche passo di troppo nel 'migliorarlo'? sono d'accordo che si tenga lo spirito del libro e si spostino le cose se necessario, ma la domanda scomoda che voglio fare a chi passa di qui è, in sostanza: come decide un traduttore chi scrive bene e chi male? non si scivola un po' troppo sul gusto personale, così?"
8 commenti
Aggiungi un commentoGià, il beneficio di queste iniziative, a mio avviso, è quello di tentare di eliminare la miopia che spesso porta un lettore a considerarsi l'unico depositario della verità in quanto a idee e scelte (ah, no, io avrei tagliato lì; io avrei usato una frase diversa; io... bla bla bla), di avvicinare le due realtà di uno stesso mondo per farle comunicare: chi scrive traducendo e chi legge il risultato.
Sono sempre scettico quando sento giudizi trancianti, soprattutto se arrivano da persone che neanche sanno cosa vuol dire 'faticare', che non si sono mai immedesimati, ma magari per protagonismo devono dire la loro accompagnata da un atteggiamento da piraña.
Questa è un'occasione per poter 'bazzicare' gli umori di una realtà poco conosciuta, almeno ai più (e mi ci infilo)... per poter capire.
Ma capire richiede lo sforzo di annullare i pregiudizi, attività che spesso si ha paura ad affrontare, per non ritrovarsi a dover fare i conti con se stessi... ma che soddisfazione poi!
Molto più facile dire la propria, anche senza cognizione di causa. :
Più punti di vista si hanno, oltretutto di protagonisti in prima linea, mica 'teorici' della traduzione, maggiore comprensione si guadagna.
Allroa io faccio la voce fuori dal coro, ma a me sembra che questa precisazione non aggiunga nulla se non cambiare le carte in tavola cercando di ammorbidire a posteriori la frase infelice.
In più non trovo corretto suggerire che l'intervistatore abbia tratto in inganno con un quote, visto che il quote non se l'è inventato, e questo lo vede chiunque sappia leggere (dunque chiunque con un livello di scolarità superiore alla prima elementare).
Quanto poi al ribadire che non si può capire se non si è traduttori professionisti è quanto di più mentalmente chiuso uno possa fare nel corso di un discorso perché toglie ogni diritto di replica ("è così perché lo so io". Se si scodella un 'assioma', si spiega anche il perché.
Se non si è disposti a dsicutere le proprie posizioni, inutile allora comunicare con l'esterno, meglio r estare nella propria torre. Invece la torre viene ulteriormente cementata perché, anziché confrontarsi nel forum dopo al prima intervista, si chiede una replica da dietro il vetro antiproiettile.
In sostanza, a me questo secondo intervento sembra una tremenda arrampicata sugli specchi che, se possibile, peggiora quanto sostenuto nell'intervista. E non era impresa facile...
Certo, se Valeria riuscisse a commentare direttamente nel forum, la discussione ne guadagnerebbe.
Resta il fatto che è il suo approccio alla traduzione, non quello di tutti i traduttori.
L'unica perplessità, che poi avevo già espresso nella discussione sulla prima intervista, è:
Quando il testo non è ben scritto come si affronta la cosa?
Anche se in perfetta buona fede e nell'intenzione di 'migliorare' un testo, si muta forma all'originale?
Interessante. Avevo mancato di leggere la precedente intervista, che viene qui citata, ma questo articolo non mi è sfuggito perché subito mi è saltato agli occhi il titolo "il mestiere del traduttore". Esattamente quello che vorrei fare io, dopo anni di studio sulle lingue orientali e occidentali, dopo aver faticato per acquisire competenza e fluidità in lingue fra loro diversissime come l'inglese ed il giapponese.
Va detto che la traduzione è un'arma potente - come è stato sottolineato, una traduzione malfatta può rovinare del tutto un testo altrimenti molto promettente. Uno dei miei autori moderni preferiti, Terry Pratchett, soffre di traduzioni italiane così incredibilmente mediocri da riuscire a trasformare quello che è un sagace, colto testo di profonda satira inglese e leggero intrattenimento, in un noioso libercolo che pare scritto da un bambino alle prime armi con la stesura di testi scritti....
Un'ultima considerazione: la cosa più interessante per me sarebbe sapere il "come" diventare traduttore. La mia università ha sempre portato l'accento sul settore commerciale e delle relazioni estere, ma mai ha accennato alla trafila necessaria per diventare invece un traduttore di manuali, libri, documenti o riviste. Proverò a cercare la sopracitata intervista per vedere se si tocchi l'argomento.
La puoi trovare qui:
http://www.fantasymagazine.it/interviste/10346?_CACHE=CREATE
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