Michele Giannone:
Sanctuary, citando l’introduzione di Alan D. Altieri, «un’opera sociale e magica, politica e gotica, temeraria e inaspettata», ha unito per la prima volta un gran numero di autori fantasy e fantastici italiani. Per quale motivo, secondo te, questo è avvenuto proprio ora? Un’evoluzione del genere? L’aprirsi di nuovi scenari fantasy e fantastici? E perché la spinta, sempre secondo te, non è partita da una delle case editrici storiche italiane?
C’è del fermento nel fantastico di casa nostra. Mai prima di adesso si era assistito a una tale fioritura di opere di questo genere prodotte da autori italiani, a un così marcato interesse dei lettori verso la produzione autoctona di fantasy (con tutte le conseguenze, positive e negative, che tale attenzione provoca, soprattutto nell’epoca di Internet).
Non so se si possa parlare di vero e proprio movimento. Discutere l’argomento ci porterebbe ad aprire digressioni troppo lunghe da affrontare in questa sede. Mi piace però pensare che l’idea di Sanctuary possa costituire un primo nucleo attorno a cui incominciare a costruire un terreno comune su cui gli autori e i lettori possano confrontarsi riguardo le prospettive e le linee guida del fantastico italiano. Da osservatore perciò piuttosto che da autore vedo questa raccolta come una sorta di paradigma: un nucleo centrale – la megalopoli che dà il nome alla raccolta – tante diverse prospettive, figlie di sensibilità artistiche e di concezioni del fantastico di ciascuno degli autori coinvolti.
Sotto tale profilo, il fatto che a promuovere l’iniziativa non sia stata una grande casa editrice ma piuttosto una emergente non può affatto stupire: le prime sono molto più delle seconde ancorate a tradizioni consolidate, a prodotti garantiti. L’idea che sta alla base di Sanctuary, oltre che la formula della raccolta di racconti, richiedeva una volontà di osare più consona a un editore desideroso di mettersi in gioco.
Che cosa hai pensato sul momento, appena ti è arrivata la proposta per questa antologia-romanzo? E come hai vissuto la stesura del tuo racconto per Sanctuary? Che aspettative? Che dubbi?
Mi ha fatto piacere innanzitutto che Luca, la mente dietro al progetto, abbia pensato anche a me nello stilare l’elenco degli autori chiamati a partecipare a Sanctuary.
Non ho accettato subito, però. Il racconto è una forma espressiva con cui mi sono cimentato di rado. Per quanto possa apparire paradossale, lo trovo molto più complesso da gestire rispetto a un romanzo. Va da sé che avessi dubbi sulle mie capacità di riuscire a produrre qualcosa di valido, che non sfigurasse accanto agli altri.
La spinta ad accettare la sfida è venuta soprattutto dall’intento benefico della raccolta. Avrei potuto fare qualcosa per gli altri, per di più divertendomi: cosa chiedere di più?
Col senno di poi, posso dire che l’esperienza di Sanctuary è stato costruttiva per l’autore Michele Giannone. Cimentarmi con testo dalla lunghezza definita e dal tema “imposto” mi ha fatto scoprire un modo nuovo di lavorare. Le mie opere future non potranno che trarne giovamento.
In Sanctuary, tematiche importanti si possono rintracciare in tutti i racconti contenuti nella raccolta. Messaggi di speranza o moniti inquietanti. Quanto la “fiction” della tua storia si avvicina alla realtà che possiamo toccare con mano? O meglio, quanti spunti reali ci sono in essa?
Ho concepito Sanctuary come una megalopoli vorace, in continua crescita, una sorta di
gigantesco parassita che, lento ma inesorabile, inghiotte il mondo all’interno di cui è sorta e che sarebbe destinata a inghiottire tutto se non fosse…no, questo non lo dico per non anticipare il racconto a chi ancora non l’ha letto.
In ogni caso, partendo da questo spunto, nel mio racconto risulta centrale il tema della contrapposizione tra natura e civiltà, il conflitto proprio del nostro mondo tra esigenze di una società sempre più industrializzata e il rispetto della natura.
Un altro tema che la struttura del racconto mi ha permesso di affrontare è stato quello dell’immigrazione clandestina. Nella mia Sanctuary, ogni Distretto che la compone (o per meglio dire ognuno di quelli più civilizzati) ha campi di prima accoglienza. Se considerate che io abito nell’estremo lembo sudorientale della Sicilia, in un paese in cui gli sbarchi dei clandestini sono all’ordine del giorno, capirete bene come la scena che ho ambientato in uno di questi posti ai miei occhi tanto “fantastica” non sia.
Sappiamo che tutto ciò che è “fantastico”, Urban Fantasy compreso, viene visto come un genere piuttosto leggero e sottostimato dall'elite culturale. Perché secondo te? Dipende dai lettori, dagli editori, dal retaggio culturale?
Il fantastico paga, a mio avviso, due enormi errori interpretativi di fondo. Il primo, di contenuto, secondo cui un genere che ha contatti tenui, talora nulli, con la realtà non sia capace di offrire una chiave di lettura del nostro mondo. Il secondo, di forma, secondo cui non ci sarebbe alcuna qualità artistica nei romanzi fantastici. Basterebbe però accostarsi a opere come I reietti dell’altro pianeta per i temi o a Il principe del mare e del fuoco per lo stile per comprendere come si tratti di ingiustificati pregiudizi.
Uscire dal ghetto, se mi si passa l’espressione, non è facile. Tuttavia a ben guardare col giallo ci si è riusciti: da genere di mero consumo si è passati al riconoscimento dello status di autori a gente Ellroy o, restando in casa nostra, a Camilleri.
Per tale ragione sono fiducioso. Un buon romanzo è tale, a prescindere dal genere. Io sono convinto che opere a tema fantastico scritte con uno stile degno di tal nome e capaci (anche) di far riflettere, oltre che intrattenere, siano il migliore viatico per sdoganare il fantastico, permettendogli di ricevere quella considerazione che merita.
In fin dei conti, nelle fiabe, l’esempio più diretto di fantastico che possa venire in mente anche a chi non bazzica il fantasy, non sono contenuti tutti i grandi temi che caratterizzano la nostra esistenza?
Ultima domanda, ringraziandoti per la chiacchierata e augurandoci possano essercene molte altre a seguire, a cosa stai lavorando attualmente? E, se ti venisse proposto di scrivere un nuovo racconto per Sanctuary, accetteresti?
È appena uscito La caduta di Krune, con cui porto a compimento le vicende raccontate nel mio romanzo d’esordio.
Ho già pronta la scaletta di un nuovo fantasy, completamente diverso dai due precedenti: ironico nei toni e anticonvenzionale nella trama. Non conto però di cominciarlo prima dell’inizio di Settembre. D’estate il mio lavoro mi porta via ogni stilla d’energia: alzarmi alle 5, come faccio ogni giorno quando sono impegnato nella stesura di un romanzo, mi risulterebbe impossibile.
In quanto a un altro eventuale racconto per Sanctuary, perché no? Ne “Il ditirambo di Samarat” ho appena iniziato a muovere i primi passi in questa affascinante città. Continuare a percorrerne i Distretti sarebbe un cammino interessante da percorrere. Perciò: Luca, se ci sei, batti un colpo!
Cecilia Randall:
Sanctuary, citando l’introduzione di Alan D. Altieri, «un’opera sociale e magica, politica e gotica, temeraria e inaspettata», ha unito per la prima volta un gran numero di autori fantasy e fantastici italiani. Per quale motivo, secondo te, questo è avvenuto proprio ora? Un’evoluzione del genere? L’aprirsi di nuovi scenari fantasy e fantastici? E perché la spinta, sempre secondo te, non è partita da una delle case editrici storiche italiane?
Io credo che fosse semplicemente arrivato il momento adatto. Una sorta di “congiunzione astrale” di elementi favorevoli (la voglia di sperimentare degli autori, l’interesse del pubblico, l’entusiasmo dell’editore e del curatore), che spero possa aprire davvero nuovi scenari. Le sperimentazioni si fanno per questo, per cercare (e sperabilmente trovare) nuovi territori. All’editore va il merito di aver saputo captare i segnali di questo momento propizio e di aver fatto da catalizzatore per riunire in un’opera finita le energie sparse. Forse, da appassionato lettore del genere fantastico, era proprio lui il primo a voler leggere un’antologia di questo tipo!
Che cosa hai pensato sul momento, appena ti è arrivata la proposta per questa antologia-romanzo? E come hai vissuto la stesura del tuo racconto per Sanctuary? Che aspettative? Che dubbi?
Ho pensato subito che fosse una bellissima sfida, intrigante, anche se poi ho vissuto tutto il progetto con un misto di timore ed entusiasmo. Non vedevo l’ora di cimentarmi in un genere per me insolito e allo stesso tempo temevo di non riuscire a interpretarlo nel modo giusto.
In questo progetto ho dovuto fare i conti non solo con le limitazioni (usuali per un racconto) relative alla lunghezza del testo, ma anche con quelle di uno scenario prestabilito che doveva dare coerenza all’insieme dei racconti. In più, come in ogni antologia, c’era l’emozione di lavorare accanto agli altri autori.
All’inizio ho avuto soggezione, poi mi sono sentita un po’ meglio quando ho visto nascere sulla carta i personaggi del mio racconto.
In Sanctuary, tematiche importanti si possono rintracciare in tutti i racconti contenuti nella raccolta. Messaggi di speranza o moniti inquietanti. Quanto la “fiction” della tua storia si avvicina alla realtà che possiamo toccare con mano? O meglio, quanti spunti reali ci sono in essa?
Quando scrivo non mi pongo un intento didascalico o moralistico. I miei personaggi riflettono solo le mie considerazioni personali. In questo caso, lo spunto di partenza del racconto è venuto dalla constatazione (amara) che razzismo, pregiudizio e senso di superiorità sono quasi sempre più forti del buonsenso, della pietà e della logica. Purtroppo lo vediamo tutti i giorni e non solo al telegiornale.
Sappiamo che tutto ciò che è “fantastico”, Urban Fantasy compreso, viene visto come un genere piuttosto leggero e sottostimato dall'elite culturale. Perché secondo te? Dipende dai lettori, dagli editori, dal retaggio culturale?
Forse da tutti questi elementi insieme (e io ci metterei in mezzo anche gli autori).
Da Benedetto Croce in poi questo dibattito è rimasto costantemente aperto e non credo di poter aggiungere molto a tutto ciò che è già stato detto o scritto. Mi ripeto citando la risposta alla domanda precedente, perché sono convinta che anche in questo caso il pregiudizio sia molto radicato. Ce lo inculcano fin da piccoli e noi siamo lettori prima di diventare autori o editori, quindi cresciamo in qualche modo con il pregiudizio già “incorporato”. Inoltre bisogna ammettere che ci sono fattori di varia natura che contribuiscono ad alimentarlo; responsabilità (condivise e non) che lo rafforzano. In queste condizioni, è difficile combatterlo.
Ultima domanda, ringraziandoti per la chiacchierata e augurandoci possano essercene molte altre a seguire, a cosa stai lavorando attualmente? E, se ti venisse proposto di scrivere un nuovo racconto per Sanctuary, accetteresti?
Per il momento la saga di Hyperversum è arrivata a un punto fermo e io mi sto dedicando a un altro progetto “fantastorico”, ancora tutto in bozze. Ho voglia di conoscere personaggi e luoghi nuovi, ma per ora sto facendo soprattutto le ricerche storiche necessarie alla nuova trama.
Per quanto riguarda un racconto per un ipotetico “Sanctuary 2”, sarei senz’altro onorata di poter partecipare di nuovo, pur sapendo che rivivrei da capo tutte le ansie e i dubbi della prima volta!
Fabiana Redivo:
Sanctuary, citando l’introduzione di Alan D. Altieri, «un’opera sociale e magica, politica e gotica, temeraria e inaspettata», ha unito per la prima volta un gran numero di autori fantasy e fantastici italiani. Per quale motivo, secondo te, questo è avvenuto proprio ora? Un’evoluzione del genere? L’aprirsi di nuovi scenari fantasy e fantastici? E perché la spinta, sempre secondo te, non è partita da una delle case editrici storiche italiane?
Come in tutte le cose, c’è sempre una prima volta. Basta pensarci. Diciamo che l’iniziativa può essere considerata come un colpo di genio. Il genere fantastico è in continua evoluzione, più di altri generi letterari, perché è quello che si presta di più. Caro Luca, non hai fatto altro che stare al passo coi tempi. Trovo naturale che un esperimento di questo tipo sia stato accolto da una casa editrice come la Asengard, perché ha ancora un sapore “artigianale” e può permettersi di tirare fuori dal cappello il Bianconiglio per il gusto di farlo. O meglio, perché può ancora semplicemente permettersi di fare ciò in cui crede. Le grandi case editrici affrontano il marketing in maniera decisamente diversa e hanno gli occhi di tutti puntati costantemente addosso. Non ci sono meriti né demeriti. Si tratta di due modi diversi di condurre gli affari. Per necessità.
Che cosa hai pensato sul momento, appena ti è arrivata la proposta per questa antologia-romanzo? E come hai vissuto la stesura del tuo racconto per Sanctuary? Che aspettative? Che dubbi?
Cos’ho pensato? “Bello! Facciamolo!” Mi piacciono le novità, mi divertono. E infatti mi sono divertita un mondo a catturare gli amici con cui gioco di ruolo per trasformarli in personaggi. Hanno letto il racconto prima ancora dell’editore. Ci tenevo alla loro opinione. Si sono riconosciuti e piaciuti. Superata la prova del fuoco, non ho più avuto dubbi.
In Sanctuary, tematiche importanti si possono rintracciare in tutti i racconti contenuti nella raccolta. Messaggi di speranza o moniti inquietanti. Quanto la “fiction” della tua storia si avvicina alla realtà che possiamo toccare con mano? O meglio, quanti spunti reali ci sono in essa?
Giusta osservazione. È la prima cosa che balza agli occhi leggendo. Credo sia dovuto al fatto che, in barba ai pregiudizi riguardo a questo genere letterario, abbiamo tutti i piedi ben piantati per terra. Personalmente lavorando nella cancelleria di un Tribunale ne vedo di tutti i colori. Le persone che finiscono in disgrazia (diciamo così senza entrare nel merito), mettono in gioco la propria esistenza senza pensare alle conseguenze. Cominciano spesso per stupidità, per noia o perché credono di non avere alternative. Preferiscono dare retta ai desideri repressi, alle esasperazioni. Poi il gioco prende loro la mano, diventa reale e si cacciano nei guai. Qualcuno riesce a mettere la testa a posto. Purtroppo molti si perdono per sempre. Potrei raccontare centinaia se non migliaia di storie vere, fedelmente. Ma nessuna di esse avrebbe lo stesso sapore di una trasposizione fantastica. La favola non è costretta a sottostare a compromessi. Dice quel che deve dire.
Sappiamo che tutto ciò che è “fantastico”, Urban Fantasy compreso, viene visto come un genere piuttosto leggero e sottostimato dall'elite culturale. Perché secondo te? Dipende dai lettori, dagli editori, dal retaggio culturale?
Dare una risposta sintetica a questa domanda risulta difficile. Di tutto un po’, direi. Ai fattori da te citati aggiungerei la categoria degli “sputasentenze”.
Ultima domanda, ringraziandoti per la chiacchierata e augurandoci possano essercene molte altre a seguire, a cosa stai lavorando attualmente? E, se ti venisse proposto di scrivere un nuovo racconto per Sanctuary, accetteresti?
In questo momento sto finendo un romanzo da sola e ne sto scrivendo uno in compagnia del mio amico Luigi Sorrentino. Siccome ho la tendenza a esagerare e non riesco a fare una cosa sola per volta, ho pensato bene di cominciare la stesura di un testo teatrale (che nulla ha a che vedere col fantasy). Se mi venisse proposto di scrivere ancora un racconto per Sanctuary, la risposta sarebbe “sì”. Ho avuto compagni d’avventura davvero eccezionali, oltre che simpatici. Troverei giusto però lasciare più spazio ad altri esordienti. Se sono tutti come Fabrizio, meglio spalancare le porte. Insomma ragazzi, se cominciamo ad aumentare di numero in maniera considerevole portando opere di valore, possiamo levare più forte la nostra voce. Sarebbe bello restituire al fantastico italiano la dignità che si merita.
Egle Rizzo:
Sanctuary, citando l’introduzione di Alan D. Altieri, «un’opera sociale e magica, politica e gotica, temeraria e inaspettata», ha unito per la prima volta un gran numero di autori fantasy e fantastici italiani. Per quale motivo, secondo te, questo è avvenuto proprio ora? Un’evoluzione del genere? L’aprirsi di nuovi scenari fantasy e fantastici? E perché la spinta, sempre secondo te, non è partita da una delle case editrici storiche italiane?
Ehi, io sono una persona con la testa tra le nuvole, credete davvero che conosca la risposta ad una domanda del genere? Per favore passiamo alla prossima…
Che cosa hai pensato sul momento, appena ti è arrivata la proposta per questa antologia-romanzo? E come hai vissuto la stesura del tuo racconto per Sanctuary? Che aspettative? Che dubbi?
La mia maggiore paura era quella di essere banale. L'idea mi ha attratto perché permetteva di spaziare maggiormente rispetto al mio solito stile, creando un corto circuito tra realtà e fantasia che trovo assai intrigante, ma anche più difficile da gestire. La stesura l'ho vissuta piuttosto bene, a parte il dettaglio che le 40 pagine circa datemi come lunghezza approssimativa, io le avevo interpretate come cartelle A4 e non di libro, con la necessità successiva di fare notevoli tagli… Ma alla fine è stato un esercizio divertente anche questo. Da qualche parte ho la versione integrale, e non so bene quale delle due sia venuta meglio, in tutta onestà.
In Sanctuary, tematiche importanti si possono rintracciare in tutti i racconti contenuti nella raccolta. Messaggi di speranza o moniti inquietanti. Quanto la “fiction” della tua storia si avvicina alla realtà che possiamo toccare con mano? O meglio, quanti spunti reali ci sono in essa?
Personalmente penso di avere scritto una storia abbastanza vicina alla nostra realtà, descrivo una quartiere fatto di alte torri che gravitano attorno ad un parco, e l'immagine di New York e Central Park le avevo abbastanza nitide in mente. Tutto era semplicemente estremizzato, come spesso accade nelle storie. Quello che mi premeva era analizzare il rapporto tra razionalità e magia, sino ad arrivare al punto in cui il confine tra le due si faceva tanto sottile da diventare pericoloso. Questo è qualcosa che si può trovare nel presente come nel futuro, ma che l'ossatura stessa di Sanctuary rappresentasse l'ambiente ideale per un tale contrasto mi ha affascinato sin dal primo istante.
6 commenti
Aggiungi un commentoCondivido il tuo pensiero e quello espresso dagli autori citati, specie quello di Dimitri: ha fatto un quadro molto preciso.
E' in lista tra i libri da acquistare, quindi prima o poi sarà mio
Vorrei fare una domanda che non c'entra moltissimo: io leggo fantasy da anni, ma le "sottocategorie" non sono mai riuscita a inquadrarle ops:
Sword&Sorceress OK
New weird?
Urban fantasy? (è fantasy ambientato nelle città?)
e tutte le altre mille connotazioni... ma a che servono? e che significano?
Virae, per quanto io non sia un esperto di 'etichette', provo a darti una semplice risposta, un po' per esperienza diretta e un po' con l'aiuto di wikipedia.
Il New Weird incoraggia la demolizione dei confini che separano i generi fantascienza, fantasy e horror, creando una miscela che li fonde tutti e ambientando le sue storie in un 'secondary world', un mondo alternativo, i cui protagonisti sono creature partorite dall'immaginazione dell'autore. Un riferimento del passato è Lovecraft, oggi China Miéville.
L'Urban Fantasy, invece, ambienta le sue storie nell'epoca contemporanea, nel mondo reale, urbano, niente paesaggi immaginari tipicamente fantasy. I protagonisti sono i più disparati, quindi umani, elfi, nani, vampiri, Dei, etc.
Alcuni riferimenti sono Nel Gaiman o Luk’janenko.
Una spegazione stiracchiata che tenta di fugare i primi dubbi.
Grazie per la risposta... e per l'indicazione: a wiki non ci penso mai
Ah Ah!
E qui vi voglio io.
E l'elf-punk dove lo mettiamo?
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