“Non date retta a chiunque vi gabelli per veritiero un racconto delle guerre daciche” dichiara perentoriamente Andrea Frediani nella nota che apre il suo ultimo romanzo, Un eroe per l’impero romano. “Con quel che abbiamo a disposizione,” aggiunge, “ci sono ben pochi elementi cui appigliarsi per imbastire qualcosa di più di una storia piena di supposizioni e invenzioni.”
Ambientare un romanzo storico in un periodo per il quale “siamo pressoché sprovvisti di fonti” può apparire un controsenso, anche se già un secolo fa lo scrittore statunitense Henry James definiva impossibile e di conseguenza scadente la narrativa storica perché inevitabilmente lo scrittore guarda il passato con gli occhi del suo tempo. E questo indipendentemente da quante informazioni ci siano pervenute sul periodo preso in esame.
Un’opera impossibile quindi? Forse, perché se da un lato è impossibile ricatturare perfettamente lo spirito di un’epoca perché siamo condizionati dalla nostra cultura, dall’altro Frediani, molto onestamente, ammette che “di fronte alla mancanza di fonti” che narrino le varie fasi delle guerre “ogni racconto è per lo più invenzione.”
La sua scelta allora diviene la stessa dello scrittore e sofista greco Luciano di Samosata, vissuto nel II secolo d.C. All’inizio della sua Storia vera, che narra di un viaggio sulla luna, egli ammetteva subito che si trattava di una menzogna. Nessun inganno, nessuna maschera era più necessaria, e lo scrittore poteva in questo modo procedere tranquillo con il racconto delle sue mirabolanti avventure.
“Così”, spiega Frediani, “mi sono concesso molte libertà”. Libertà che ovviamente riguardano i suoi protagonisti, Marco, Lucio e Fannia, ma anche l’andamento delle varie campagne con le relative marce e battaglie che hanno segnato l’esito del conflitto. Il tutto però raccontato con piglio storico.
Una sola la concessione al fantastico che, per parte del volume, incombe come una minaccia sull’esercito romano e viene svelata nella sua concretezza solo nel finale.
Per il resto l’approccio, pur con l’enorme margine di manovra lasciato all’autore dalla scarsità d’informazioni fornite dalle fonti antiche, rimane quello dello storico che in fondo Frediani è. E quindi viene dato spazio all’addestramento, oltre che alle azioni belliche vere e proprie, con un rigore a volte quasi saggistico e una moltitudine di note a piè di pagina che appesantiscono un po’ la lettura del romanzo. Analogamente, il ripetuto elenco delle legioni presenti tende a divenire nulla più che un accumulo di nomi, utile in un saggio ma poco adatto a una storia avventurosa il cui ritmo finisce per esserne rallentato.
Scontata la “pecca” dovuta probabilmente alla maggiore dimestichezza dell’autore con la forma saggistica rispetto a quella narrativa, si entra nel cuore del volume. E si scopre con sorpresa che forse l’eroismo non è solo dove appare in piena vista.
Chi è il vero eroe che dona il titolo al romanzo? Tiberio, validissimo guerriero disposto però ad accettare alcuni compromessi che fanno storcere il naso al fratello Marco, o quest’ultimo, pauroso e mai troppo pronto a gettarsi nella mischia, ma capace anche di atti sorprendenti? È sul confronto fra i due che si gioca il libro, con le vicende del conflitto che emergono prepotentemente nelle fasi di guerra per poi divenire più sfumate e passare in secondo piano, attenuate dai dubbi e dalle speranze dei due fratelli.
La loro evoluzione, graduale al punto da essere a volte quasi impercettibile, finirà per sfociare in un finale ben preparato ma comunque sorprendente, e capace di donare nuova luce all’intere vicenda.
Gli altri personaggi sono più abbozzati. Fannia, che riveste un ruolo determinante nella vicenda, viene quasi sempre vista dall’esterno. Lucio, l’amico di Marco, scompare troppo presto per poter essere approfondito davvero, anche se il suo spirito è comunque determinante nell’evoluzione di Marco. Analogamente Pompeo Longino e Decebalo, caratterizzati con pochi, brevissimi tratti e presenti solo in una manciata di scene, contribuiscono a creare il “tipo” ideale, quel genere di uomo che, nel bene o nel male, spinge chi gli è vicino a decidere come schierarsi.
Un romanzo concreto quindi, che riduce al minimo gli elementi superflui e si concentra su pochi personaggi. Anche lo stile è scarno, asciutto, le immagini e le descrizioni sono efficaci, mostrano la scena in maniera vivida pur senza soffermarsi troppo su dettagli di colore. Solo il già citato elenco delle legioni, e l’insistenza su alcuni dettagli militari come le insegne tradiscono quest’impostazione. Per essere una storia, come dichiarato dallo stesso Frediani, piena di supposizioni e invenzioni, è lievemente sorprendente leggere di avvenimenti tanto verosimili che si potrebbe quasi immaginare che siano accaduti davvero.
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