I sogni aiutano a vivere, dopo Marzullo, lo sottoscrive la Pixar!
Non si può negare la grandezza a cui è arrivata la Pixar. Dal punto di visto tecnico lascia sbalorditi la perfezione, caratteristica per altro di tutti i vecchi cartoni animati della Disney, che univano naturalezza dei movimenti a elaborazione delle animazioni e delle immagini.
Essere seduti in una sala indossando quegli strani occhiali, voltarsi distrattamente a guardare il proprio vicino, scoprendo quanto sia comico il suo viso paffuto di cinquantenne con le lenti polarizzate, accanto a quella piccoletta del figlio adolescente, suscita uno stato d'animo di allegria e complicità, come fossimo tutti lì per giocare insieme.
Inizia l'avventura con il solito corto che spesso vale quanto il film, se non di più. Stavolta le nuvole creano, nel vero senso del termine, i piccoli pargoletti di uomo, di cane, di gatto, di uccellino. C'è una nuvola, un po' goffa, che riesce a creare piccoli, diciamo, pericolosi: coccodrilli, arieti, murene. Chi fa le spese è la povera cicogna, a cui è affidato il viaggio di consegna. Non potendone più la cicogna vola su un'altra nuvola. L'abbandonata si innervosisce, si sente tradita e abbandonata, piange e si dispera. Ma è un semplice banale e comunissimo malinteso, come si vedrà nel finale.
Con questo iniziale cartone si entra nel mood del film, i cuori degli spettatori sono solleticati.
Inizia il film vero e proprio. Il protagonista, ormai 72enne, Carl Fredricksen era un bambino con dei tratti nerd, molto timido e un po' impacciato, appassionato fan di un esploratore indomito, Charles F. Muntz, sparito dalle scene perché ritenuto imbroglione.
Carl, durante una passeggiata, incontra una strana bambina, anch'ella fan dell'intrepido viaggiatore. Da allora non si lasciano più. Trascorrono la vita insieme, superando difficoltà dolorose, come la perdita di un figlio, quotidiane complicazioni, principalmente economiche, che non permetteranno ai due coniugi di realizzare il sogno più grande che condvidevano: andare negli splendidi Tepui dell'Amazzonia.
Sorprende il realismo delle situazioni. Vita vissuta, come nei migliori film con attori in carne e ossa.
Purtroppo Ellie, questo il nome della moglie, muore, la società muta e Carl si ritrova solo, vecchio, circondato da grigi condomini, in balia di un costruttore inamidato e indifferente, che vuole sfrattarlo per far posto ai suoi grattacieli. Situazioni presentate in fiction, film, serial, situazioni che vediamo ogni giorno girando per le strade.
Ovviamente deve esserci una chiave di volta che faccia proseguire la storia: ecco arrivare Russell, un bimbo di otto anni, a metà fra una Giovane Marmotta e un boy-scout, che offre il suo aiuto all'anziano signore, per conquistare l'ultima onorificenza che completerà la sua sciarpa.
Anche Russell ha i suoi scheletri: genitori divorziati e un padre assente. Come spesso accade i bisogni dell'uno vengono colmati dalle esigenze dell'altro. Se in un primo momento Carl, ovviamente, rifiuta questa presenza, poi assumerà le veci di una presenza maschile assente nella vita del piccolo.
Si susseguono le avventure fantastiche, che un po' stonano con l'inizio più che realistico. Nonostante ciò, si parte appesi ai palloncini in dirittura Amazzonia. Chiaro che il viaggio prevede una serie di avversità che complicano il raggiungimento dell'obiettivo. Incontri, che sembrano dei freni, si rivelano, invece, dei validi aiuti, soprattutto per una maturazione interiore. Uno di questi è quello con l'uccello preistorico mangiacioccolato, obiettivo di caccia dell'ambizioso Muntz, o quello con il goffo Dug, cane tontolone fornito di collare traduttore.
Come ogni fiaba che si rispetti tutto finisce bene, con tanto di lacrimuccia, soffiata di naso e atmosfera moraleggiante, alla Gran Torino, il magnifico film di Eastwood.
Se la tecnica è davvero sbalorditiva, la storia è un po' melensa, un po' pedagogica. Nessun dubbio sulla poeticità, ma c'era bisogno di far morire la moglie nel momento in cui Carl compra i biglietti per i Tepui? C'era bisogno di mostrare la perdita di un figlio? E se avessero fatto nascere il figlio, questi avrebbe avuto qualche malformazione rarissima? Non bastavano i problemi quotidiani della vecchiaia, delle difficoltà economiche, della solitudine a tratteggiare una situazione difficile? Perché dobbiamo pascerci nel dramma stile, e lo dico consapevole del paragone eccessivo, “dolori in piazza”?
Nonostante ciò resta un film da vedere, certe trovate come il collare della vergogna, il collare traduttore e i cani camerieri, sono geniali e di grande ironia.
Bellissime le musiche di Michael Giacchino, autore delle colonne sonore de Gli Incredibili e di Ratatouille.
Insomma per una serata familiare, per sentirsi più vicini al proprio compagno (o alla propria compagna), per sperare in un'unione che duri una vita, per credere ancora nei sogni, questo è un film imperdibile.
2 commenti
Aggiungi un commentoGuarda Letizia che il film non mostra la perdita di un figlio, solo il fatto che Ellie non può averne...
E poi non concordo con la tua conclusione. Nonostante un po' di tristezza, trovo che il trattare (delicatamente) la tematica della vecchiaia e della solitudine aggiunga molto significato al film e alla storia.
Quoto il messer Scoiattolo, per quanto, la trama, può anche essere letta come:
SPOILER IN BIANCO
Ellie potrebbe aver perso il bambino in fase di gravidanza... la chiave di lettura verte su -sono futuri genitori previdenti che preparano la stanza prima dell' effettivo concepimento? Oppure esaltati da un test positivo, hanno preparato la stanza prima che lo stato interessante della donna fosse troppo "ingombrante" per dei lavori di decorazione?"-
Putroppo il concetto è che l' essere genitori è un' avventura che è stata privata alla coppia...
Quanto alla storia melensa, non credo di essere daccordo:
SPOILER SEMPRE IN BIANCO
Carl non rimane vedovo quando sta per donare i biglietti alla moglie; Ellie accusa il primo malore determinante per la sua ultima degenza in ospedale, e solo in seguito mancherà.
Non manca di essere -in qualsiasi caso- una disgraziata coincidenza, che -ahinoi- troppo spesso si presenta anche a noi nella vita reale, nella forma che noi reputiamo più tragica.
Come ogni lavoro Disney che valga la pena, ho potuto vederlo il giorno della prima, ben seduta al centro della sala -evviva l' acquisto dei biglietti 5 ore prima- in uno squisito 2D.
Non so come mai, sarà che ho già i miei di occhiali e vorrei evitare di metterne altri in concomitanza, ma al 3D attendo...
Un incipit malinconico e molto presente, un piccolo magone che accompagna per tutto il film, per non lasciare mai. E' un film più maturo, più "da grandi". Non è mai capitato che l' arco sberlucciacante sul castello mi lasciasse una consapevolezza così seria che la vita può essere dura, anche per un "cartone animato".
Certo, c' era lo struzzo in tecnicolor a tirar sù gli animi, ma alla fine si è rivelato ben più di un cervello di gallina su di un corpo troppo cresciuto, stupendo tutti con grande dolcezza, che solo una genitrice può dare.
E così come il paffuto co-protagonista, che va al di là dello standard del bambino straviziato e coccolato già visto in Toy Story con Andy (ma quanti giochi aveva in quella stanza? : ) fin con l' orfano Louis/Cornelio -ok, è solo Disney e non Pixar, ma voi mi capite - che, dopotutto una donna che lo aveva raccolto ed amato incondizionatamente ce l' aveva.
Alla Disney Pixar sono cresciuti, persino gli anziani vanno nei guai per motivi piuttosto seri -una bastonata non è da poco- e pare che qualcuno dalle alte sfere abbia perso quella cristallina innocenza che ha permesso di farci sorridere quando una massa di umani flaccidi ha ricolonizzato la Terra dopo anni di vacanze forzate.
Mia personalissima e discutibilissima opinione, ma credo di aver assistito ad un notevole salto di qualità.
Senza perdere, però, quel tocco d' innocenza, che resta sempre legata ad un fluttuante palloncino colorato e che speriamo fortemente, non esca mai dal nostro campo visivo
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