Utopia e incantesimo è un romanzo uscito qualche mese fa per Flaccovio, la casa editrice palermitana che, dopo essersi aperta anche al fantasy, ha pubblicato Egle Rizzo, Michele Giannone e l’accoppiata Gabriele Marcone/Errico Passaro.
L’autrice del romanzo è Maria Cristina Sirchia, al suo esordio nella narrativa dopo aver scritto opere saggistiche quali Il Liberty a Palermo, Sicilia Liberty e Liberty. Album del nuovo stile. La Sirchia è infatti esperta di storia dell’arte, soprattutto del periodo Liberty.
Fedeli al nostro impegno di fornire un quadro ampio e aggiornato delle varie espressioni del fantasy “made in Italy”, l’abbiamo intervistata.
Cara Maria Cristina Sirchia, benvenuta su FantasyMagazine…
In primo luogo voglio farvi i complimenti per il lavoro che svolgete e poi vi ringrazio per avermi dato l'opportunità di parlare al vostro pubblico.
Innanzi tutto, vuoi parlare un po’ di te?
Che amo l'arte e la pittura in particolare è già noto; avrei voluto mettere in copertina un mio quadro come è avvenuto per “Ethilinn la dea nascosta”, il primo romanzo di mia figlia Egle Rizzo. L'editore però ha scelto diversamente e in compenso mi ha lasciato inserire nel volume dei disegni. Non tutti sanno invece che sono laureata in Farmacia e che per qualche tempo ho svolto ricerca con una borsa di studio presso l'Università di Palermo. Le erbe di cui parlo nel mio romanzo sono in parte reali ed in parte fantastiche, ma anche nell'invenzione la mia esperienza di laboratorio ha avuto il suo peso.
Cosa ci racconti invece del tuo rapporto con la narrativa fantastica in genere, e con il fantasy in particolare?
Il mio rapporto con la letteratura fantastica inizia dai classici, da Omero al ciclo carolingio, a quello bretone ed ai miti celtici… e nelle opere di questo genere non mancano maghi, guaritori ed alchimisti che io vedo come i precursori della scienza. Isaac Asimov l'ho conosciuto inizialmente attraverso gli scritti scientifici come Evoluzione e genetica pubblicato a Milano nel 1962; solo dopo Eugenio Rizzo, mio marito, mi ha fatto conoscere le opere di fantascienza e io ne sono rimasta affascinata.
Sei stata dunque una lettrice di opere fantastiche. Quali sono stati gli autori che più hai amato?
A un certo punto della mia vita cominciai ad interrogarmi sul significato dei miti e trovai alcune risposte nelle opere di James Frazer che commentava la Biblioteca di Apollodoro, svelando il significato delle antiche leggende. Per questa via mi avvicinai anche a Robert Graves, romanziere e mitografo: La Dea Bianca, Il vello d'oro, I Miti Ebraici etc. furono letture davvero illuminanti. A livello fantasy tematiche analoghe si ritrovano nei romanzi di Marion Zimmer Bradley come ad esempio Le nebbie di Avalon.
Segui ancora il fantasy? Tra le proposte degli ultimi anni, c’è qualche autore che trovi particolarmente interessante?
Attualmente non dedico molto tempo al fantasy, l'avventura fine a se stessa non mi interessa e gli intrecci a carattere sociologico non si trovano facilmente. Preferisco orientarmi verso la storia dell'arte.
E tra gli autori italiani di narrativa fantastica, chi conosci e apprezzi di più?
A parte mia figlia, non conosco molto gli autori italiani, ho letto qualcosa di Roberto Vacca, qualcosa di Licia Troisi, ma non si può dire che io sia un'esperta del genere.
In un’intervista hai dichiarato che le possibilità del fantasy sono innumerevoli, e poi che “l’Utopia di Tommaso Moro in fin dei conti è nell’area del fantastico, perché non c’è luogo della terra in cui si sia realizzata come non si è realizzata La Città del Sole di Campanella, eppure questi libri hanno avuto grande influenza sul pensiero occidentale.”
Mi farebbe piacere riprendere anche qui questa tua affermazione (che peraltro è aderente ai contenuti del tuo Utopia e Incantesimo), stimolandoti ad approfondire il concetto con i nostri lettori.
È noto che gli utopisti francesi (Saint Simon, Fourier, Proudhon) furono chiamati così in relazione all'opera di Tommaso Moro ed a me sembra che il loro messaggio sociale sia ancora interessante; l'utopia, se non altro, è uno stimolo a lottare per un mondo più giusto. Anche mia figlia Egle ha fatto riferimento a Fourier nella saga della duplice luna.
Veniamo finalmente al tuo romanzo: Utopia e incantesimo. Cosa deve aspettarsi il lettore da questo tuo lavoro?
Il romanzo al pari di una tela dipinta, rappresenta per me un varco che conduce agli spazi inesplorati dell'immaginario. Non si tratta comunque di una fuga dalla realtà perché i problemi quotidiani sono sempre presenti, ma trasformati, reinventati come nella trama di un sogno.
Utopia e incantesimo è un titolo accattivante. Il romanzo è nato con questo titolo, oppure la scelta è successiva e meditata?
Il romanzo ha cambiato titolo diverse volte, ma la parola Utopia è stata quasi sempre presente. Io per la verità volevo chiamarlo “Incantesimo e Utopia” per evidenziare l'aspetto fantastico, ma l'editore Dario Flaccovio ha preferito invertire i termini e credo che abbia visto giusto.
Ho letto che la prima stesura di Utopia e incantesimo risale a parecchi anni fa…
L'idea di questo romanzo è nata nel 1968, in seguito ad una discussione con Lidia Ardagna, una mia amica che stava decisamente più a sinistra di me. La narrazione doveva dare risposta ai problemi emersi in quel dialogo, indicando una alternativa pacifista.
Il romanzo parla di ideali per i quali si ritiene valga la pena lottare. In tal senso, quanto conta l’essere stato ideato in età giovanile e anche in un momento storico (e quindi sociale) differente?
Conta parecchio, ma in fin dei conti non si può dire che io abbia cambiato idea.
“Ogni popolo ha il governo che merita”, sono le parole di Alchemia, uno dei tanti personaggi del libro, prima di finire arsa sul rogo…
Eilar, il protagonista, non condivide però questa opinione e fa di tutto per indurre la maga a cambiare il suo atteggiamento.
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