Ci sono degli autori che considerate di riferimento nel vostro percorso professionale?
Silvia: Come scrittori o come traduttori? Tra gli autori italiani del fantastico direi senz’altro Dino Buzzati e Italo Calvino, in particolare le Cosmicomiche e Ti con zero.
Marco: Come traduttori, i nostri numi ispiratori sono Italo Calvino e Umberto Eco: le loro traduzioni rispettivamente di I Fiori Blu ed Esercizi di Stile (ambedue di Raymond Queneau) sono due esempi magnifici di come si traduce in italiano un testo quasi intraducibile conservandone tutte le sfumature. Credo che ogni aspirante traduttore dovrebbe studiarsele attentamente. Ma abbiamo avuto anche la fortuna di conoscere di persona fior di professionisti della traduzione, da Vittorio Curtoni a Riccardo Valla a Stefano Massaron, dai quali abbiamo imparato molto anche in semplici chiacchierate.
Quali sono le fasi del vostro lavoro? Dall'accettazione del romanzo alla sua versione tradotta, lo affrontate nella prospettiva dello scrittore o del lettore?
Silvia: La prima cosa che faccio con il romanzo da tradurre è leggerlo tutto, in modo da aver ben chiare le idee sulla trama, lo stile, l’ambientazione. Mente leggo cerco di mettermi dal punto di vista del lettore, ma anche di concentrarmi su possibili difficoltà della traduzione: la resa di un termine, l’utilizzo di slang o dialetti, i giochi di parole e i riferimenti culturali a fatti, luoghi, oggetti poco noti alla cultura italiana. Quando traduco mi sforzo invece di adottare il punto di vista dell’autore, ovvero di scegliere di volta in volta la parola, la costruzione sintattica o la punteggiatura che meglio si adattino a rendere il tono e il contenuto di quello che l’autore vuole comunicare.
Marco: Condivido l’opinione che il romanzo vada affrontato nella prospettiva dello scrittore. Può darsi che questo dipenda dal fatto che ambedue amiamo anche scrivere narrativa. In ogni caso a noi sembra che sia questa la prospettiva corretta: è lo scrittore a conoscere tutti i segreti del romanzo, che invece il lettore spesso ignora.
Per il resto, una volta letto e tradotto il libro, a noi resta poco da fare. L’ultima fase è quella di leggere e controllare le bozze. Alcune case editrici tendono a saltare questo passaggio, che invece è fondamentale: non sempre i redattori hanno il tempo necessario per “entrare” in un romanzo e coglierne tutte le sfumature, e un’ultima lettura da parte del traduttore serve spesso a evitare fraintendimenti.
Vi documentate sugli altri lavori dello scrittore?
Silvia: Quando è possibile sì. Leggere altre opere dell’autore è utile sia per entrare meglio nel suo mondo e per farsi l’orecchio rispetto al suo stile, sia, nel caso altri abbiano già tradotto le sue opere, per verificare quali soluzioni abbiano adottato i colleghi e mantenere quando è necessario un’uniformità nella traduzione.
Marco: Per esempio, prima di tradurre Ultima corsa ci siamo letti il romanzo precedente della serie, cui era direttamente collegato, e poi altri tre romanzi che avevano Parker come protagonista: affrontando un personaggio così conosciuto, ci sembrava opportuno conoscerlo bene per non “deviare” dalla tradizione. Bisogna dire, per, che in quel caso l’editore ci aveva dato diversi mesi di tempo. Spesso i tempi ristretti non consentono di documentarsi così bene.
La domanda delle cento pistole: secondo voi “tradurre è un po’ come tradire”?
Marco: Assolutamente sì. Bisogna rendersi conto che la traduzione perfetta è un ideale irraggiungibile. Ogni lingua è un meccanismo a sé, e la corrispondenza tra una lingua e l’altra è necessariamente un’approssimazione. Il traduttore ovviamente non può limitarsi a fare una traduzione letterale del testo, occorre tenere conto di tante cose, del ritmo, del suono, del senso, e anche della coerenza con ciò che viene prima e dopo. Si tratta di scelte in cui entra inevitabilmente in gioco anche il gusto personale. Alcuni lettori non sembrano rendersene conto, e talvolta crocifiggono il traduttore su questioni del tutto opinabili. Con questo non voglio negare che spesso in Italia circolino traduzioni pessime, e la responsabilità è in primo luogo degli editori, che in molti casi per risparmiare un euro a cartella preferiscono trascurare la qualità.
Silvia: Una traduzione è sempre e comunque un adattamento del testo originale. La fedeltà assoluta non esiste, così come non esiste la traduzione “giusta”, unica e perfetta. Dovere di ogni traduttore è quello di riportare nella propria lingua madre sia il contenuto sia lo stile e il tono dell’opera tradotta, ma quando si tratta di individuare le soluzioni linguistiche che meglio si adattino a quello stile e a quel tono non c’è altra scelta se non fare appello alla propria personale sensibilità.
2 commenti
Aggiungi un commentoMolto interessante questa intervista, conoscere il lavoro del traduttore è sempre un'ottima medicina alle facili critiche rivolte a questo non facile mestiere.
Che fortuna avete: dev'essere molto stimolante tradurre a quattro mani, scambiarsi punti di vista sul testo vivendolo così da vicino! Inoltre mi ha colpito particolarmente l'immagine del traduttore che si sdoppia, calandosi sia nei panni dell'autore sia del lettore. Da traduttrice, istintivamente lo faccio anch'io, ma non avevo mai identificato in maniera così precisa questa procedura un po' "schizofrenica"... Infine, concordo che Attilio Veraldi era anche un traduttore straordinario. Mi è rimasta impressa una sua traduzione di un romanzo di Fay Weldon, tanti anni fa. Leggendolo pensavo che anch'io avrei voluto imparare a tradurre così, un giorno...
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