La rocca Tiepolo di Porto San Giorgio (Fermo)
La rocca Tiepolo di Porto San Giorgio (Fermo)

Se si osservano i legami innumerevoli che intercorrono tra queste opere letterarie di recupero della tradizione popolare e il genere fantastico, si comprende quale ruolo decisivo il bagaglio folklorico della fiaba debba assumere all'interno del fantasy. 

Non è un caso che in Italia una operazione di questa natura venisse svolta (seppur in un modo peculiare rispetto ai recuperi "romantici", come l'autore tenne a precisare), proprio da Italo Calvino, uno dei rarissimi esempi di scrittori classici italiani ascrivibili al genere del fantastico.

Nell'ottimo lavoro di Calvino, tuttavia (forse proprio in ragione della sua volontà di mantenersi distaccato da ogni accento "romantico"?), rimase inesplicato, nel vasto panorama da lui offerto, un bagaglio di cultura folklorica fiabesca preziosissimo, forse uno dei più ricchi dell'intera penisola. Mi riferisco alle innumerevoli e straordinarie leggende e fiabe provenienti dalla cultura dei Monti Sibillini, nelle Marche, tra le province di Ascoli Piceno, Fermo e Macerata. Vi è, nella tradizione peculiare di questa terra e del suo popolo, uno straordinario tesoro di cultura fiabesca e popolare, che costituisce un bagaglio eccezionale di cultura fantastica, su vari livelli. 

Sebbene il lavoro di Calvino concedesse, al suo interno, quattro fiabe al territorio delle Marche, tali fiabe non provenivano dal bacino culturale dei Monti della Sibilla; e con ciò quel bacino rimase (sino a studi assai recenti di carattere soprattutto antropologico e mitologico) un tesoro quasi del tutto inesplorato. 

È sufficiente uno sguardo molto rapido sulla cultura Sibillina e sull'importanza che essa rivestì tra Medioevo e Rinascimento, per comprendere la portata di quanto sto dicendo.

Nello sviluppo del genere fantastico, oggi in Italia, il quale prospetta numerose produzioni di grande interesse e valore, un ruolo non secondario spetta alla riscoperta, valorizzazione e utilizzo letterario delle fiabe e delle leggende tradizionali locali; e ciò in conformità a quello che poco fa abbiamo chiarito essere un genuino tratto "strutturale"  del fantasy. 

In tale quadro, risulta estremamente significativa la grande cultura popolare dei Monti della Sibilla, nella Marca del sud, le cui numerose leggende popolari, vive ancora oggi, presentano tratti di estremo valore, protagonisti della cultura europea tra XIII e XVI secolo. 

Anzitutto, è il nome stesso di questa terra a risultare importante: i Monti della Sibilla sono così chiamati per la montagna omonima in esso presente, il Monte Sibilla, così denominato per la presenza della grotta incantata in cui una "Sibilla" – donna mitica in cui si assommano simbologie stratificate pagane e cristiane di secoli differenti – avrebbe dimora. Alla Sibilla, si accompagna uno stuolo di fate che, come dicono antichi racconti che le descrivono puntigliosamente negli abiti e nell'aspetto semizoomorfo, non di rado amano abbandonare il rifugio incantato della grotta, per abbandonarsi a danze con i ragazzi del luogo. 

Le leggende legate alla profetessa, a un tempo ieratica sacerdotessa custode della sapienza e maledetta incantatrice erotica foriera di infinte sventure, sono innumerevoli e straordinarie. Esse sono narrate anche da testimoni dello spessore di Andrea da Barberino, che sui Monti della Sibilla ambientò il fulcro del suo Guerin Meschino, o del famoso cavaliere e pedagogo quattrocentesco Antoine de La Sale.

Monte Vettore, la più alta vetta dell'appennino umbro-marchigiano, visto dalla piana di Castelluccio (Foto di Silvio Sorcini).
Monte Vettore, la più alta vetta dell'appennino umbro-marchigiano, visto dalla piana di Castelluccio (Foto di Silvio Sorcini).

L'altro grande cespite delle leggende Sibilline è connesso con la montagna che fronteggia il Monte Sibilla, dalla forma maschile così come femminile è quella del Sibilla: il Monte Vettore, il più altro della catena. Qui, a 1941 metri sul livello del mare, c'è uno specchio d'acqua noto come "lago di Pilato". Il nome nasce dalla leggenda che vuole queste acque come il luogo in cui venne a morire l'assassino di Cristo, Ponzio Pilato. 

Dal XIII secolo e fino a tutto il XVI, tanto la grotta che il lago furono motivo di sviluppo di numerosissime leggende fiabesche popolari, alimentati dall'arrivo incessante di cavalieri, negromanti, pellegrini, santi, eretici a questi luoghi, da ogni parte d'Europa: come testimonia il documento di un processo della Inquisizione intentato contro gli abitanti della città di Montemonaco per aver aiutato "pellegrini e negromanti provenienti da ogni dove" a raggiungere, per scopi più  o meno oscuri, le impervie cime di questi monti. 

Tra le tante leggende fiabesche connesse con questi luoghi, vi è quella secondo cui, in una notte di mezzaluna, alcune fanciulle di straordinaria bellezza, dai capelli rossi e biondi, mai vedute prima, accorsero a danzare con i giovani pastori del borgo chiamato Foce, alle pendici del Vettore. Percependo uno strano rumore durante il loro ballo, uno di quei giovani fu così ardito da sollevare la gonna a una delle fanciulle, e si accorse che, dal polpaccio in giù, esse avevano forma di capre e zoccoli caprini. Subito le fanciulle scapparono tra i monti, correndo velocissime; nella loro corsa, lasciavano la scia di un sentiero creato dalle zolle sollevate, le pietre spaccate e i rami spezzati dai loro zoccoli. Un sentiero che conduce proprio alla grotta dove ha dimora la Sibilla, regina delle Fate.