L’esperienza varia da persona a persona. E sicuramente possiamo dire che le idee, a differenza dei critici e degli addetti al marketing, non hanno bisogno di compartimenti, ma anzi traggono i loro bei vantaggi dalla massima diffusione possibile. Tra i generi fioriti sotto il segno del fantastico, questo scambio di sensibilità è sempre stato particolarmente significativo e ha portato di volta in volta all’attestazione di un genere sull’altro, ma solo per la durata di brevi periodi di tempo. È un’alternanza ciclica, fatta di corsi e ricorsi che tendono a sovrapporsi: mentre da noi il fantasy continua a farla da padrone, oltreoceano l’horror sembra godere di maggiore popolarità e il Regno Unito ci ricorda che la fantascienza non è affatto morta. Anzi…
Allora: di chi è il futuro? Di chi saprà far propria la sensibilità del momento e cavalcare lo spirito dei tempi. È sempre stato così. In tempi che cambiano velocemente, la capacità di adattamento delle idee e delle sensibilità viene messa duramente alla prova. La speranza è che non venga mai meno quella varietà che consente di soddisfare tutti i diversi palati. Quella sì che sarebbe la perdita peggiore. Per tutti.
Andrea Jarok (Bazaar del Fantastico)
La definizione stessa del termine “fantasy” può essere in parte fuorviante. In Italia quando si parla di fantasy si pensa per lo più a quella che in ambiente anglosassone è meglio definita come sword and sorcery, termine più appropriato come “traduzione” italiana dell’inglese fantasy sarebbe “fantastico” (non a caso FantasyMagazine si occupa del fantasy in quanto letteratura fantastica). Il fenomeno dell’Urban Fantasy ha riportato il fantastico all’interno delle mura di casa: la solitudine, il senso di estraneità rispetto a una società che non riesce a comunicare alcun valore, e il bisogno di accettazione, sono le linee guida di un fenomeno che si rivolge primariamente a un pubblico di adolescenti, e che poco a che fare con il futuro. Il fenomeno dello steampunk, soprattutto in Italia, non ha avuto un gran seguito, mentre il desiderio di avventura e mistero, si è riversato nei romanzi pseudo storici – in particolare sul Graal – a testimoniare un bisogno dell’elemento irrazionale. La fantascienza ha spesso sentito il “dovere” d’interrogarsi sul futuro, di rimanere forzatamente nel campo del razionale, e questo forse è stato, ed è tuttora, uno dei suoi limiti. Il fantasy in sé – sia che si tratti delle saghe howardiane, o dell’universo tolkeniano o delle epifanie delle divinità di Gaiman – così come la fantascienza, può interrogarsi sul futuro, provare a svelare le ingarbugliate trame che il progresso tecnologico e le scoperte scientifiche portano con sé. Che poi riesca a farlo o meno, questo poco importa all’industria dell’editoria.
Salvatore Proietti (Robot)
Davanti a una domanda evidentemente assurda, il primo istinto è di rispondere con uno sberleffo. È più forte Hulk o la Cosa?
Fra l’altro, qui in effetti si chiede se Hulk ha definitivamente ucciso la Cosa. E l’errore è quello di considerare fantascienza e fantastico come nemici, incompatibili fra loro, in lotta per il dominio sui lettori che, prima o poi, dovranno determinare la vittoria definitiva di uno sull’altro. E come si fa a rispondere a un quesito posto in termini assurdi, totalmente privi di senso e di rapporto con la realtà?
Allora ammettiamo un limite. Non potremo rispondere alla domanda perché la domanda è fuori dalla logica. Possiamo, però, refutarne le premesse.
Realismo, fantascienza e fantastico – ancora più che generi – sono tre modalità dello storytelling (tradizionalmente letterario, e da almeno un secolo non solo: cinema, fumetto, tv, giochi…) talmente fondamentali che ci accompagnano da sempre. Risalendo indietro nel tempo, troviamo ovunque le loro incarnazioni e trasformazioni. Ci sembra ragionevole che continueranno a farlo, con sempre nuove mutazioni. Più che di estetica e cultura, stiamo parlando di marketing, o di ideologia.
Senza disturbare antenati illustri come Morris, Poe e Hawthorne, per tutto il Novecento è la regola, piuttosto che l’eccezione, che un autore operi in entrambi gli ambiti. Facciamo i nomi. Limitandoci al mondo anglofono, fra gli scrittori emersi nell’era pulp Leigh Brackett, Henry Kuttner, C.L Moore, Fritz Leiber, Ray Bradbury, Robert A. Heinlein, L. Sprague De Camp, James Blish, Poul Anderson, Theodore Sturgeon, Clifford Simak lasciano il segno in entrambi. E poi Andre Norton, Avram Davidson, Robert Sheckley, Gordon Dickson, Marion Zimmer Bradley, Jack Vance, John Brunner, Ursula K. Le Guin, Joanna Russ, Michael Moorcock, Brian Aldiss, M. John Harrison, Brian Stableford, Tanith Lee, Elizabeth Lynn, Samuel R. Delany, Roger Zelazny, Gene Wolfe, George R.R. Martin, Stephen Donaldson, Stephen King. E quanti ne stiamo dimenticando?
12 commenti
Aggiungi un commentoIo sono il giudice supremo di ciò che è IT oppure OT.
Donne prostratevi tremanti e implorate la mia magnanimità.
Ok, io mi prostro e tu mi magnamigni?
Non sono così autoreferenziale da pensare che fosse diretto a me, è ovvio che vi riferivate alla conversazione in generale e a taluni commenti.
Ci mancherebbe che non si possano fare battute OT lamentandosi dell'OT, se la cosa diverte, ma ribadisco quando scritto sopra, secondo me la conversazione dell'altro 3d era tutt'altro che fuori tema.
Sei OT
Buon articolo, che mi ha spinto a fare alcune considerazioni, ma di carattere diverso.
C'è solo un aspetto della fantascienza su cui ho un dubbio concreto, vale a dire se il fascino narrativo di una storia, col tempo, si perda. La fantascienza si distingue perchè, in un modo o nell'altro, c'è sempre l'uomo che ha un rapporto con la tecnologia e scienza, ma questo rapporto col tempo muta: se in passato c'era entusiasmo nel progresso, oggi c'è pessimismo. Questo si riversa direttamente nella produzione, ma anche in un aspetto meno visibile: forse oggigiorno non riusciamo più a cogliere certi aspetti espressivi ed emotivi che invece si provavano al tempo in cui sono state scritte certe storie, e quello che provavano gli autori al loro tempo (che poi riflette la sensibilità del loro tempo). Abbiamo un modo diverso di percepire la tecnologia rispetto già a qualche decennio fa, e di conseguenza possiamo provare emozioni diverse di fronte a una storia di un certo tipo che tratta la tecnologia secondo un'ottica del passato: ci potrebbe suscitare emozioni diverse, o potremmo non provarne più alcune che invece si provavano in quel periodo.
In questo il "fantasy" è un po' diverso: si crea un mondo *su misura* in cui incastrare una trama; la fantascienza invece sfrutta, per esprimersi, un rapporto che appartiene alla nostra realtà. In questo senso perciò la fantascienza ha un relativo svantaggio di "invecchiare" rispetto al fantasy a livello tecnico, perché nel tempo rischia di perdere il connotato fantastico (o persino quello realistico) che invece l'autore in origine voleva tenere.
Ne ho parlato meglio in un lungo articolo nel mio blog, tra le tante cose:
http://www.teriografia.org/blog/condoglianze-signora-fantascienza.html
Solamente oggi, a distanza di giorni, sono riuscito a laggere questo articolo. Mi astengo dal commentare poichè, purtroppo,ancora non ho maturato una mia tesi sulla questione. Ma ci terrei a sottolineare una piccola perla che l'autore Emanuele Manco ci ha fornito:"il concetto è che alla fine sono le buone storie che vincono, di qualsiasi "genere" esse siano"
Credo che in una riga abbia detto molto più di un centinaio di commenti....complimenti
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