Quando, nel 1949, Anthony Boucher (anche lui fa parte della lista) e Francis McComas fondanoThe Magazine of Fantasy & Science Fiction, la cosa non appare per niente come un’audacia. Pubblico e autori hanno un terreno comune sufficientemente ampio da rendere normalissimo il successo della rivista, tuttora presente in edicole e librerie nordamericane. Ennesima conferma se guardiamo gli elenchi dei finalisti dei vari premi letterari specializzati, Hugo e Nebula da un lato, Stoker e WFA dall’altro. Storie di science fiction e fantasy/horror, in una certa misura, sono sempre presenti in partibus infidelium. Nel mondo degli autori fantastici gli eretici, che non si considerano monopolizzati da un modo di scrivere, sono in numero maggiore degli ortodossi.
E l’invasione degli eretici non si è mai fermata. Fantascienza e fantastico sono entrambi parte della bibliografia di John Crowley, Bruce Sterling, Vonda N. McIntyre, C.J. Cherryh, Michael Bishop, Lucius Shepard, Michael Swanwick, Tim Powers, Nancy Kress, Pat Cadigan, Lois McMaster Bujold, Harry Turtledove, Kim Newman, Gwyneth Jones, Iain Banks, Charles Stross, Richard K. Morgan, Jo Walton… E mi devo fermare per non fare un appello quasi generale..
Lo stesso vale per l’Italia. Dai precursori Bontempelli, Landolfi, Buzzati e Calvino; alle figure fondanti (la silver age del fantastico letterario italiano?) come Aldani, Briatore, Cersosimo, Cerrino, Pandolfi, Passaro, Zuddas, e ora a Debenedetti, Cola, Evangelisti, Fazio, Piras, Tonani. E, ancora una volta, sto facendo una selezione arbitraria.
Molto semplicemente, gli autori hanno storie diverse da raccontare, e le raccontano in generi diversi. Continueranno a farlo.
Passiamo alle questioni di mercato. Il mercato specializzato della fantasy nasce (grazie al lavoro di De Camp, Lin Carter e altri) durante gli anni Sessanta. A quel punto, abbiamo modelli diversi: l’orrore post-lovecraftiano, il gotico di Shirley Jackson e John Collier, la sword & sorcerynata con Howard, la fantasia dark di Mervyn Peake, l’oscillazione fra mondi al limite dell’utopia nata col ciclo di Oz e proseguita da Silverlock di John Myers Myers, le varie versioni dei mondi medievali (che da Dunsany raggiunge Eddison e Tolkien), la fantasy urbana inaugurata da Merritt, Leiber e altri. Il successo mondiale di Tolkien, naturalmente, è un punto di svolta, ma per qualche anno tutti questi filoni convivono nelle collane di maggior diffusione.
Ma intorno al 1980, un format acquisisce il dominio nel mercato. Terry Brooks e le fantasie arturiane di Marion Zimmer Bradley presentano alla grande editoria un packaging che promette di essere perfettamente controllabile, le saghe potenzialmente infinite su cui le strategie commerciali di fidelizzazione possono operare con sicurezza: su queste gli editori investono. Non ne facciamo una questione di qualità: consideriamo Tolkien un autore indispensabile, e nella fantasy di questi anni esistono autori che abbiamo apprezzato moltissimo (da Lloyd Alexander a tante scrittrici: Hambly, Lackey, McKillip…). Semplicemente, per almeno una decina d’anni, questa è la fantasy dominante, quella che finisce (per il pubblico non specializzato) per essere identificata col genere stesso. E un po’ di ideologia, nella nostalgia per il passato che informa alcune di quelle storie, non manca.
Ma come in ogni processo evolutivo, i geni latenti possono riemergere, e filoni che apparivano marginali tornano. King, Martin e Peter Straub dimostrano che il tema della quest ha tante sfaccettature. C’è il filone dark e urbano: Neil Gaiman, China Miéville. C’è il gotico e l’ambientazione vittoriana di Susanna Clarke e dello stesso Gaiman. Sempre in Inghilterra, abbiamo complesse sintesi di tanti filoni in Storm Constantine, Mary Gentle, Terry Pratchett, Philip Pullman, J.K. Rowlings. In America, abbiamo il new weird di Jeff VanderMeer, il neogotico di Thomas Ligotti, le favole perverse di Kelly Link, autori indefinibili come Jonathan Carroll, laghost story di Alice Sebold. I vampiri di Chelsea Quinn Yarbro, Charlaine Harris, Laurell K. Hamilton. Il fantastico sta mutando, o meglio sta tornando a dispiegare quella varietà di tendenze che per un breve periodo era stata invisibile.
Verissimo, la fantasy è tornata a occuparsi in pianta stabile del presente. Probabile che questo fantastico rinnovato abbia molto da dire anche del futuro. Talvolta lo farà in modo diverso dalla fantascienza, talvolta i due generi convergeranno. Come hanno sempre fatto. Insieme, ci aiuteranno a immaginare mondi.
A parte i vampiri, Rowlings e forse Gaiman, ed escludendo le figure emerse dal mainstream, in realtà il vero centro del mercato ora sembrano essere i juvenile, da Christopher Paolini a Stephenie Meyer. Per il resto, le collane specializzate (fantascienza, fantasy, horror) continuano a darsi la mano, operando di conserva. E per gli sviluppi letterari più innovativi continua ad agire un underground fatto di piccoli editori e riviste di bassa circolazione.
12 commenti
Aggiungi un commentoIo sono il giudice supremo di ciò che è IT oppure OT.
Donne prostratevi tremanti e implorate la mia magnanimità.
Ok, io mi prostro e tu mi magnamigni?
Non sono così autoreferenziale da pensare che fosse diretto a me, è ovvio che vi riferivate alla conversazione in generale e a taluni commenti.
Ci mancherebbe che non si possano fare battute OT lamentandosi dell'OT, se la cosa diverte, ma ribadisco quando scritto sopra, secondo me la conversazione dell'altro 3d era tutt'altro che fuori tema.
Sei OT
Buon articolo, che mi ha spinto a fare alcune considerazioni, ma di carattere diverso.
C'è solo un aspetto della fantascienza su cui ho un dubbio concreto, vale a dire se il fascino narrativo di una storia, col tempo, si perda. La fantascienza si distingue perchè, in un modo o nell'altro, c'è sempre l'uomo che ha un rapporto con la tecnologia e scienza, ma questo rapporto col tempo muta: se in passato c'era entusiasmo nel progresso, oggi c'è pessimismo. Questo si riversa direttamente nella produzione, ma anche in un aspetto meno visibile: forse oggigiorno non riusciamo più a cogliere certi aspetti espressivi ed emotivi che invece si provavano al tempo in cui sono state scritte certe storie, e quello che provavano gli autori al loro tempo (che poi riflette la sensibilità del loro tempo). Abbiamo un modo diverso di percepire la tecnologia rispetto già a qualche decennio fa, e di conseguenza possiamo provare emozioni diverse di fronte a una storia di un certo tipo che tratta la tecnologia secondo un'ottica del passato: ci potrebbe suscitare emozioni diverse, o potremmo non provarne più alcune che invece si provavano in quel periodo.
In questo il "fantasy" è un po' diverso: si crea un mondo *su misura* in cui incastrare una trama; la fantascienza invece sfrutta, per esprimersi, un rapporto che appartiene alla nostra realtà. In questo senso perciò la fantascienza ha un relativo svantaggio di "invecchiare" rispetto al fantasy a livello tecnico, perché nel tempo rischia di perdere il connotato fantastico (o persino quello realistico) che invece l'autore in origine voleva tenere.
Ne ho parlato meglio in un lungo articolo nel mio blog, tra le tante cose:
http://www.teriografia.org/blog/condoglianze-signora-fantascienza.html
Solamente oggi, a distanza di giorni, sono riuscito a laggere questo articolo. Mi astengo dal commentare poichè, purtroppo,ancora non ho maturato una mia tesi sulla questione. Ma ci terrei a sottolineare una piccola perla che l'autore Emanuele Manco ci ha fornito:"il concetto è che alla fine sono le buone storie che vincono, di qualsiasi "genere" esse siano"
Credo che in una riga abbia detto molto più di un centinaio di commenti....complimenti
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID