La gelosia di Ishtar
Gilgamesh torna a Uruk da trionfatore, indossa i suoi ornamenti più belli e si pone in capo la corona. La dea Ishtar lo vede, se ne invaghisce e gli propone di sposarla.
Gli scribi assiri amano collegare fra loro i vari episodi con scene consequenziali. Così, invece di iniziare di punto in bianco il racconto del corteggiamento di Ishtar, lo fanno discendere, coerentemente, dalla bellezza che Gilgamesh assume togliendosi di dosso la sporcizia del viaggio e del combattimento e riassumendo il ruolo e le vesti regali.
La dea Ishtar è l’unica figura femminile autonoma nel pantheon mesopotamico. Le altre figurano solo come spose o emanazione di altri dei. Le caratteristiche di Ishtar sono onnicomprensive e, spesso, contraddittorie. E’ sia dea benefica (amore, vegetazione, maternità) che furia guerriera distruttrice (guerra e tempeste). I suoi simboli sono la stella a otto punte, rappresentante il pianeta Venere, la leonessa e l’albero Ascera. E’ la madre di tutti e, come tale, probabilmente non è altro che la neolitica Dea Madre. E’ regina dal cielo e della terra, ma anche degli inferi, dove si reca ogni anno. Quando è via, negli inferi, sulla terra nulla può essere concepito, si spegne perfino il desiderio di accoppiamento, sia negli uomini che negli animali. Nonostante gli innumerevoli amanti e i parti rimane perennemente vergine (anche questa caratteristica mi ricorda qualcosa di ancor oggi venerato).
Nonostante la seduzione delle offerte Gilgamesh la respinge, rinfacciandole la brutta fine fatta fare a tutti i suoi amanti. Ishtar, infuriata, chiede al padre An di liberare su Uruk il toro celeste, distruttore di raccolti. Al suo rifiuto la dea minaccia di aprire le porte degli inferi e far risorgere tutti i morti. La terra sovrappopolata non riuscirà a sfamare tutti e gli uomini si uccideranno l’uno con l’altro in una carneficina generale. Fra i due mali An sceglie il minore e libera il toro celeste che calpesta i raccolti e inaridisce i fiumi. Gilgamesh e Enkidu affrontano il toro, uno per le corna, l’altro per la coda e alla fine Gilgamesh lo trafigge con la spada fra le scapole, esattamente come fa il matador nelle corride. La gloria di Gilgamesh raggiunge l’apoteosi e mentre tutto il popolo lo acclama, Ishtar piange il Toro con le sue ancelle.
8 commenti
Aggiungi un commentoA me servirebbe che la gente contasse fino a dieci prima di postare..
bel lavoro.
Questi poemi sono le storie più antiche giunte fino a noi, rileggerle è davvero affascinante
Quando lessi il poema il rapporto tra Gilgamesh ed Enkidu mi sembro ambiguo... e non riuscii a godermi il resto del testo.
Un poema leggendario...E sono peraltro molto contento che preceda la Bibbia .
Per quanto riguarda l'edizione Fanucci, ho visto che volendo si può trovare online e non costa nemmeno tanto:
http://cgi.ebay.it/FANTASY-SILVERBERG-ROBERT-GILGAMESH-/360236382352
Io sono molto contento che sia pervenuto a noi, che preceda la bibbia è un fatto e basta. Però dal Gilgamesh abbiamo una "regionalizzazione" del diluvio "universale" (semmai ci fossero stati dubbi prima... )
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