Valar morghulis sussurra fra sé e sé Arya Stark, senza conoscere il significato di quelle parole. Ma, anche se non lo conosce, le parole hanno un suono evocativo, magico e potente al tempo stesso. Perché spesso sono le parole a definire il significato di ciò che facciamo, o a mutare completamente un’atmosfera. Di fatto, grazie a quelle due parole la vita della giovane ribelle muterà completamente.
Le parole che George R.R. Martin mette in bocca alla sua giovane protagonista senza spiegarle il significato, e che i lettori ben conoscono, sono nella lingua della città libera di Braavos.
Dell’importanza delle parole e della lingua sono ben consci anche i responsabili di HBO, che hanno deciso di creare la lingua Dothraki appositamente per la miniserie A Game of Thrones, tratta dal primo volume delle Cronache dei ghiaccio e del fuoco.
Martin, per sua stessa ammissione, non è un linguista. Lui odia le lingue straniere, e le ha sempre odiate, cosa che, per qualcuno che scrive seguendo le tracce di J.R.R. Tolkien, può essere un problema.
Tolkien aveva un talento straordinario come linguista, tanto è vero che ha inventato la lingua dei nani, quella dei Numenoreani, quella di Mordor e ben due linguaggi elfici. Lui no.
Alcuni anni fa un lettore gli aveva scritto per chiedergli qualche informazione sul vocabolario e la sintassi dell’Alto Valyriano, e lui si era ritrovato a rispondergli che di quella lingua conosceva solo le sette parole presenti nei romanzi. Quando glie ne sarebbe servita un’ottava, scriveva, l’avrebbe inventata.
La stessa cosa si è verificata per il linguaggio Dothraki. Alcune parole, come khal e arakh, compaiono nei romanzi, ma nella maggior parte dei casi Martin si è limitato a scrivere che i personaggi parlavano quella lingia, limitandosi a giocare un po’ con sintassi e ritmo delle frasi per dare l’atmosfera giusta.
Ma quello che funziona in un romanzo non funziona necessariamente anche per la televisione, in cui si sentono realmente i protagonisti parlare. Non bisogna dimenticare poi che all’inizio Daenerys non conosce la lingua, e quindi i suoi rapporti con Drogo e il clan da lui guidato sono fortemente limitati da questa circostanza.
Così HBO ha deciso d’ingaggiare un esperto che creasse una vera e propria lingua decisamente più articolata dei suoi khaleesi e khalasar.
La procedura non è certo una novità, visto che è già stata seguita per creare il linguaggio Klingon nella saga di Star Trek e da James Cameron per il Na’vi usato in Avatar.
La persona prescelta per quest’incarico è David J. Peterson, della Language Creation Society. Peterson si è basato sulla descrizione della lingua fornitagli da Martin e da lingue quali il russo, il turco, l’estone, l’inuktitut degli eschimesi Inuit e lo swahili. Il risultato è una vera e propria lingua nuova dotata di un vocabolario di oltre 1800 parole e di una complessa struttura grammaticale, e non un semplice pout-pourri di parole assemblate in modo casuale.
“Anche se non c’era molto materiale” ha affermato Peterson “ho cercato di rimanere il più possibile fedele a quanto presente nella serie di George Martin”. Il che ha significato mantenere l’ordine dominante delle parole soggetto-verbo-complemento, inserire gli aggettivi posti dopo i sostantivi e tralasciare la copula to be.
Rimanendo fedele a questi elementi, ha creato un insieme di suoni familiari ai lettori dal piacevole effetto estetico e capaci di trasmettere la profondità e l’autenticità del linguaggio.
D.B. Weiss, uno dei produttori, si è dichiarato entusiasta di questa collaborazione, e ha definito il linguaggio “fenomenale. Esso cattura l’essenza dei Dothraki, e porta un altro livello di ricchezza nel loro mondo.”
Il nome del popolo Dothraki e il loro linguaggio deriva dal verbo dothralat (cavalcare). Nella lingua esistono quattro differenti vocaboli per portare, tre per spingere, tre per trascinare e almeno otto per cavallo, ma nessuna per per favore o per seguire.
Non è sorprendente notare come parecchie parole quali disputa, giuramento, prova, presagio e pira funeraria contengano l’elemento qoy, il termine che in lingua Dothraki indica il sangue. Orgoglio, invece, è tradotto con athjahakar, ed è collegato alla tradizionale treccia (jahak) caratteristica dell’acconciatura dei guerrieri Dothraki, treccia che viene tagliata per mostrare il proprio disonore dal guerriero sconfitto in duello.
Ora martin auspica scherzosamente la traduzione delle opere di Shakespeare nella lingua del suo popolo di guerrieri nomadi. Del resto, c’è già stata una traduzione in Klingon e probabilmente anche una in elfico, quindi perché non dovrebbe esserci in Dothraki?
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