Il fantasy si sta allontanando sempre più dai consueti cliché – elfi, draghi e quant'altro. In Dawnthief – in italiano, La compagnia del corvo, tu descrivi un "party". Ma, contrariamente ai giochi di ruolo, qui c'è gente anziana, problematica, stanca. O è solo la mia impressione?
R.: Hai assolutamente ragione. Il Corvo ha combattuto per dieci anni e per dieci anni sono stati i migliori mercenari di tutti i tempi. Ma dieci anni di combattimenti sono un lungo periodo e sì, i miei protagonisti stanno invecchiando e si stanno cominciando a chiedere cos'altro fare delle loro vite. Quando cominciarono a battersi, nessuno pensava che sarebbe sopravvissuto così a lungo, e perciò faticano a darsi una risposta.
Hirad è un barbaro, ma il suo personaggio è molto più profondo della tradizionale icona del guerriero.
Certo. Molti confondono il barbaro col "berserker", il combattente preso dalla frenesia del sangue. Un barbaro è visto come una persona non civilizzata, e Hirad di sicuro lo è. Non sa né leggere né scrivere, discende da nomadi, non ha riconoscimenti sociali, non bada alle ricchezze. Vive per combattere fianco a fianco di chi ama. Ciò lo rende quello che è: un uomo che si appassiona in ciò che crede e, man mano che il romanzo procede, vedremo quanto tiene al suo paese e al Corvo, che considera la sua famiglia. Alle volte mi criticano per averlo chiamato "barbaro", ma prima di aprire bocca su Hirad, bisognerebbe documentarsi su ciò che davvero significa "barbarie".
Mi è piaciuta molto la relazione simbiotica fra il mago Denser e il suo gatto/famiglio. Puoi descriverla meglio per noi?
In effetti non amo alla follia i gatti, ma preferisco i cani. I gatti però sono affascinanti, totalmente egoisti, eppure in apparenza dotati di una sorta di saggezza interiore che non vogliono dividere con noi. Sembrano essere sempre in grado di individuare il giusto cammino nella vita. A me pare che questi elementi andassero bene per il famiglio di Denser. Ricorda, il famiglio è un demone. In questo caso ha preso forma di gatto, probabilmente per sftuttarne la velocità e l'agilità.
Trovo intrigante il tuo modo di descrivere la magia, la concentrazione del mana e le forze interiori necessarie a fare tutto questo. Visto che stiamo parlando di fantasy, il tuo stile appare molto concreto, sanguigno e non certo etereo o favolistico.
Volevo che il mio sistema magico fosse più scientifico che mistico. Per me è una disciplina da imparare, che ha regole a governarla e parametri ben precisi, oltre i quali non funziona bene. Penso che, vista così, i lettori abbiano più facilità a capire la magia, e non si trovino in difficoltà nel procedere della storia. Cosa più importante, in questo modo la magia non può essere usata come trucco narrativo se la vicenda diventa confusa.
Altri scrittori britannici di fantasy come China Miéville e Alan Campbell sono riusciti a rinnovare il genere, mescolandolo con l'utopia e lo steampunk. Cosa pensi del loro stile?
Li rispetto e li ammiro per la creatività, l'immaginazione e la potenza visionaria. Penso che tutti gli scrittori trovino ambientazioni e luoghi adatti per raccontare le loro storie. Per me questo luogo è il fantasy classico di ambientazione eroica, come per loro sono altre aree contigue allo stesso genere. Tutto ciò dimostra come il fantasy sia ricco e vario e chi ne scrive abbia creatività e fantasia da vendere.
Nel tuo romanzo ci sono anche i draghi e c'è perfino un elfo, Ilkar, uno dei personaggi principali. Sei riuscito a farcelo vivere senza descrivercelo fisicamente. È stata una scelta consapevole?
Bè, volevo di certo evitare i cliché, ma non me la sentivo di cancellare dei classici del fantasy come gli elfi o i draghi. Tutte queste razze e creature hanno un loro posto, ma credo che uno scrittore oggi debba reinterpretarle. Così io ho costruito a mio modo la mia società dei draghi, e nella stessa maniera, spero originale, ho reso il loro modo di interagire con gli umani. C'è più spazio per questo tema nel secondo libro della serie del Corvo, Noonshade (non ancora uscito in Italia, n.d.t.). Quanto agli elfi, non ho ritenuto che ci fosse bisogno di descrivere in modo strano gente che vivesse insieme con gli esseri umani. Quello sarebbe stato un criterio da cliché e vecchio stile. Per parlarci chiaro: gli elfi che vivono nelle loro terre sono diversi (si capirà di più di questa mia filosofia nei romanzi successivi), mentre quelli che si sono integrati con gli umani ne hanno preso modi e caratteristiche. C'è una riflessione nei miei romanzi sulla vita umana nel mondo reale. Mettiamola così: Ilkar può avere un aspetto diverso rispetto agli umani, ma vive e ama in modo a noi familiare. Poi, che senso avrebbe stare a puntualizzare a ogni pié sospinto le sue peculiarità fisiche? Ci interessa di più il suo aspetto fisico o chi lui sia?
Bildungsroman, storia di un "party", grandi battaglie, amicizia. Senti di dovere molto a Tolkien?
Tolkien ha influenzato generazioni di scrittori, e non solo di fantasy. Penso che il genere gli debba moltissimo. Ho letto le sue opere molte volte, e non c'è dubbio che come autore io abbia attinto al suo enorme patrimonio. Nello stesso tempo, però, lo spettro della sua arte ci ammonisce a non camminare troppo nelle sue tracce. Quindi, se è vero che Tolkien echeggia nelle mie descrizioni di battaglie, amori, perdite e gioie, è anche vero che la similitudine finisce lì, nella scelta degli standard, che comunque non sono patrimonio unico del fantasy.
E parliamo allora di un sovvertimento di standard. Ne La compagnia del Corvo non esiti a far morire più d'uno dei tuoi protagonisti. In genere uno scrittore evita di sopprimere le sue creature.
Non è mai facile perdere un personaggio, ma alla fine è una questione di credibilità e realismo. Nel mondo del Corvo non sarebbe credibile che tutti i protagonisti attraversassero le tante vicende che li aspettano senza nemmeno un graffio. Spade e magie fanno del male in combattimento e quindi possono risultare anche letali. Per la gente comune come per gli eroi. Non nego di avere versato qualche lacrima descrivendo la morte di qualcuno dei miei personaggi favoriti. Nello stesso tempo, però, questo rende i miei romanzi più realistici, almeno così la penso io.
La compagnia del Corvo è stato il tuo primo romanzo ed è stato un successo mondiale. Cosa ha reso possibile il miracolo?
Bè, io non ho fatto molto, a parte… scrivere il romanzo e rispondere alle domande che la gente mi pone. La Compagnia del Corvo è il mio primo successo e penso che la sua riuscita in Europa abbia davvero contribuito a far conoscere la saga in tutto il mondo. Sono stato tradotto in otto lingue del Vecchio Continente e ora c'è anche un'edizione in USA. Penso di avere avuto molta fortuna: tanta gente ha letto La compagnia del Corvo e l'ha gradito. Non smetterò di parlarne finché non mi faranno più domande e spero che questo mi aiuti a farlo leggere ancora e ancora. Sono felicissimo che il romanzo sia stato tradotto anche in Italiano, questo non mi lascia più scuse per non visitare più spesso il vostro Paese.
Leggeremo il seguito de La Compagnia del Corvo anche in italiano?
Lo spero. Ci sono sette romanzi in questa saga. Il secondo si intitola Noonshade. L'azione si svolge subito dopo la conclusione de La Compagnia del Corvo. Come ti dicevo prima, qui si parla più in esteso del mondo dei draghi. Il terzo libro, quello che conclude la prima trilogia, è Nightchild. Qui ci troviamo a che fare con una forma antica di magia che si manifesta in una giovane donna… Devo andare avanti?…
3 commenti
Aggiungi un commentoSpero tanto che vengano tradotti anche gli altri volumi della saga! Sto leggendo La Compagnia del Corvo... stupendo!
Mi ispira molto questo libro, e quello che ho letto del sistema magico mi attira moltissimo...prossimo acquisto in vista!!!
Bravo Giampietro, bella intervista. Stimola gli appassionati a... mettersi in caccia!
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