Siamo arrivati alla fine. Il lungo percorso di Lothar Basler trova in questo tomo di 766 pagine la sua conclusione.
E' un percorso che non riguarda solo i personaggi, che nel cuore della Gehenna troveranno tutti il loro destino, ma anche il loro autore, che è cresciuto con loro nel tempo.
Tra i tre romanzi questo è il più compiuto, non solo perché tutti i nodi vengono al pettine e i filoni narrativi trovano il loro naturale sbocco, ma anche perché l'autore ha compiuto altri significativi passi verso la definizione di un proprio stile.
Lo stile di Marco Davide può non piacere, ma è coerente con i suoi scopi narrativi. Certamente questo peregrinare della compagnia di Lothar, Mutio, Simone, Rugni, Thorval e Moonz e il felino Unghialunga ha momenti avvincenti, di grande tensione drammatica. Deserti, creature orribili, villaggi dannati, scontri mortali. Niente sarà risparmiato alla compagnia fino allo scontro finale con Kurt Darheim.
E' un romanzo ibrido. Le atmosfere fantasy si condiscono di horror, pur mantenendo tutti gli elementi del fantasy, dalla ricerca alla compagnia, alla presenza di antichi manufatti, fino allo scontro finale con l'antagonista. Ma le classificazioni di genere non mi sono mai piaciute. E' certo che Marco Davide ha raccontato la storia che gli interessava, non curandosi della classificazione.
La sua trama e le sue idee si sono distese per ben 766 pagine. E' difficile non desistere, specialmente provenendo dalla lettura dei volumi precedenti, che constavano di 735 e 768 pagine. Se non si rinuncia è perché nonostante ridondanze stilistiche e l'eccesso di didascalismo, i suoi personaggi sembrano vivere di luce propria. Non semplici figure di carta, ma compagni di viaggio, nei quali Davide ha messo tutto sé stesso e tutta la volontà di raccontarci nei minimi particolari il loro percorso emotivo.
E' per affetto che perdoniamo anche in questo caso l'eccesso di sottolineature di quanto detto pochi paragrafi prima e l'uso diffuso di metafore arzigogolate, comunque minore rispetto ai primi due romanzi.
Sarà questione di gusti, ma si poteva sfrondare parecchio senza perdere efficacia.
Lo dico con crudezza, il duello finale di più di centocinquanta pagine è troppo. Soprattutto se si considera che è risolto con il vecchio trucco del "monologo" nel quale il cattivo, ormai vincitore, si ferma giusto un attimo prima del colpo di grazia per "spiegare" i suoi motivi. Non era scopo dell'autore usare innovative tecniche letterarie e non è facile uscire da certi "cul de sac" narrativi, specialmente quando si è creato un personaggio quasi onnipotente.
Ma quando la polvere si posa e dopo lo scontro finale si legge 'epilogo, nonostante la fatica, nonostante la volontà di scrivere all'autore e raccomandargli ampi tagli in futuro, non appena si posa il volume nello scaffale accanto ai suoi "fratelli", ecco che una certa tristezza fa capolino. Realizzi che si è concluso un lungo ciclo e ti devi separare da un gruppo di personaggi che alla fine hai cominciato a considerare come degli amici in carne e ossa.
A quel punto verso l'autore hai comunque un moto di gratitudine, perché ti ha dato anche tante belle emozioni.
4 commenti
Aggiungi un commentoSto leggendo Figli di tenebra proprio in questi giorni e....Mio DIO! Marco calmati con i paroloni, magari una semplice descrizione può dare una paronamica altrettanto esatta sul paesaggio. La frondosità è deleteria!
Poi giuro sulla mia mano destra che se leggo ancora un'altra spiegazione arzigogolata sugli effetti dell'Entropia chiudo il libro, scendo dal divano, esco prendo la macchina, guido fino a casa tua, caro Marco Davide, suono al campanello e ti urlo in faccia "SI ERA CAPITO! BASTA DI RIBADIRLO!"
Per il resto tutto ok bella storia e magnifici personaggi
@leggenda: se suoni il campanello e mi trovi, appena finito di urlare sali su che ti offro volentieri un caffè. E non farmi sentire in colpa per la tua destra!
Ringrazio Emanuele della recensione. Schietta e diretta, ché ho sempre ribadito (e, mi si consenta, dimostrato) di farmene poco dei pareri compiacenti e dei giudizi di aprioristico favore.
Di solito non entro nel merito, visto che un giudizio appartiene di diritto a chi lo redige. Mi fa piacere che si sia ravvisata una maturazione all'interno della saga. Ricordo sempre che la Trilogia di Lothar Basler risale, come prima stesura, al periodo che va dalla fine del 1997 all'inizio del 2001. Un'eternità, per uno scrittore che impari un minimo da quello che fa. Per quanto mi riguarda, il primo volume è quello che paga qua e là maggior scotto all'esordio, pur incubando e in parte già sviluppando tutti i semi del mio scrivere.
Dello stile si può dire poco o molto: io ho maturato il mio, cerco di affinarlo ogni pagina in più che scrivo, al lettore resta da decidere quanto sia in linea con i suoi gusti. Descrittivo (ho imparato a porre gli argini rispetto ai primissimi tempi), a volte ricercato, con tutti i rischi che s'immaginano di sconfinare nel barocco. Mai, però, dico mai mirato all'esercizio fine a se stesso. Attraverso la penna io provo a emozionare: paura, suggestione, allegria, commozione. Provo a prendere il lettore per mano e condurlo lungo la via, non sto lì a dimostrare le mie presunte doti di narratore.
Sul finale della trilogia: la sua lunghezza deriva da troppe conclusioni liquidate in fretta che, da lettore, m'hanno lasciato l'amaro in bocca. Non avevo nessuna intenzione di tradire il mio, di lettore, dopo avere goduto della sua fiducia per più di duemila pagine. E' stato poco, è stato troppo, è stato invece il giusto? Ancora una volta, non sta a me dirlo: ascolto tuttavia con attenzione il parere di ciascuno.
Non so se scriverò più un romanzo lungo quanto questo. Amo prendermi i miei spazi, ma nel decennio intercorso da questa trilogia voglio pensare di avere imparato anche come 'cesoiare' il surplus non dico poco funzionale alla storia (ci sarebbe da aprire una bella discussione in merito, non voglio andare OT) ma poco utile al suo spirito. Chi vorrà leggermi in futurò potrà avallare o confutare questa mia speranza.
I personaggi: lì c'è il cuore di tutto, lì ho infuso la parte maggiore dell'impulso che m'ha spinto a scrivere. Sono molto contento che questo sia stato percepito. I libri che ho amato di più sono quelli che m'hanno suscitato solitudine all'atto di riporli sullo scaffale. Se e quando riesco a ottenere qualcosa di simile, so di essere riuscito nel mio intento.
Il resto, tutto il resto, sul fantasy, sull'horror, sulla trama, sull'intreccio, etc. lo ritengo assolutamente interessante da trattare (e son qui pronto a farlo con chi ne avesse voglia) ma marginale rispetto a questo.
Grazie ancora per la lettura e per la recensione.
touché...solo un grande generale scende in campo per combattere le sue guerre complimenti
@leggenda: il punto probabilmente è che non la vedo come una battaglia. A esser franco, non capisco proprio chi si picca per questo o quel commento. Purché sia in buona fede (requisito ahimè non sempre garantito), chi legge ha tutto il diritto di esprimere il parere che vuole. Chi scrive ha il diritto complementare di farne tesoro se lo ritiene pertinente oppure no. Non è questione d'essere ipocrita sostenendo che fa piacere ricevere un appunto (cosa che non è): è piuttosto rispettare la voce genuina di chi ha pagato (nella maggior parte dei casi in denaro e sempre - sottolineo sempre - in tempo) il diritto di cui sopra attraverso la lettura.
Arisalut!
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