A Peter,
il mio Mel e il mio Con in un solo pacchetto
(un po’ disordinato).
Ehi, non sono fortunata?
Era una cosa stupida da fare, ma non così stupida. Da anni non c’erano problemi al lago. E questo lo rendeva molto, molto diverso dal resto della mia vita.
Il lunedì sera a casa nostra è la serata cinema, perché festeggiamo il fatto di essere riusciti a vivere insieme un’altra settimana. Il sabato sera chiudiamo alle undici o a mezzanotte e arranchiamo moribondi verso casa, e il lunedì (a parte qualche festa nazionale) è il nostro giorno libero. Quello stesso giorno Ruby va alla caffetteria con la sua squadra di guerrieri e la attacca con un equipaggiamento high-tech talmente potente che potrebbe addomesticare
perfino Godzilla, dimostrando che quelle teste monodirezionali dei militari farebbero meglio a chiedere aiuto alle imprese di pulizia quando hanno a che fare con enormi e letali predatori. Grazie a Ruby, il Charlie’s è forse l’unico bar di tutta Old Town in cui si possono evitare gli scarafaggi locali, che hanno più o meno le dimensioni di scoiattoli. Quando corrono sull’acciottolato delle strade, si sentono distintamente i loro passetti.
Abbiamo dato il via alla tradizione del film del lunedì sera sette anni fa, quando ho iniziato a trascinarmi fuori dal letto alle quattro di mattina per andare a preparare il pane. I nostri primi
clienti arrivano alle sei e mezza, e vogliono i nostri famosi ‘rotolini alla cannella grandi quanto la vostra testa’, e io sono la persona che li prepara. Metto l’impasto a lievitare la sera prima, e quando arrivo alle quattro e mezza è gonfio e soffice. Per le sei, l’ora in cui arriva Charlie per preparare il caffè e aprire la cassa (e, per la maggior parte dell’anno, cominciare a spostare i tavoli all’aperto lungo il vicolo e davanti al negozio), si sente già il profumo della cottura. Verso le cinque arriva uno dei piccoli sguatteri di Ruby per lavare il pavimento come ogni giorno, a parte il martedì, quando il caffè è già tirato a lucido e io a quell’ora mi sto provocando una tendinite nel tentativo di convincere l’impasto, reso duro e inflessibile da trenta ore di congelatore, che è il momento di sciogliersi.
Charlie è per me una delle persone migliori dell’universo.
Mi ha dato un buon aumento quando ho finito la scuola (diploma di scuola superiore ottenuto per il rotto della cuffia e l’intercessione del mio ribelle insegnante di inglese) e ho cominciato a lavorare per lui a tempo pieno, tanto che mi sono potuta permettere l’affitto di un appartamento e, cosa ancora più importante, ha convinto mia madre a lasciarmi fare.
Ma alzarsi alle quattro del mattino sei giorni alla settimana pone un serio blocco alla vita sociale, anche se, come mamma puntualizzava ogni volta che era di cattivo umore, se fossi vissuta ancora a casa mi sarei potuta alzare alle quattro e venti.
All’inizio il lunedì sera eravamo solo noi, mamma, Charlie, Billy, Kenny e io e, qualche volta, uno o due dei clienti abituali. Ma nel corso degli anni le serate del lunedì si erano evolute, e ormai c’erano quasi tutti i membri dello staff del caffè, più alcuni clienti che nel tempo erano diventati amici. Via via che Billy e Kenny crescevano, anche lo standard dei film migliorava. La prima volta in cui venne proiettato un film che non era etichettato come ‘per tutte le età’ aprimmo una bottiglia di champagne.
Charlie, che non sa stare fermo e ama dedicarsi al fai da te nel suo giorno libero, aveva gradualmente abbattuto la maggior parte delle pareti al piano terra, in modo che la folla sempre più numerosa potesse muoversi più comodamente. Ma era tutto lì.
La mia vita ruotava intorno al caffè. I miei unici amici erano il personale e i clienti fissi. Avevo cominciato a uscire con Mel perché era single, non era brutto e faceva l’assistente cuoco al caffè; in più aveva un’interessante aura da cattivo ragazzo perché guidava una moto e aveva fin troppi tatuaggi, ma nessuna controindicazione nota (anche Baz era single e non brutto, ma qualcosa in lui non mi aveva mai convinta: qualcosa che divenne chiaro quando Charlie lo beccò con le mani nella cassa). Io ero felice nella panetteria del caffè. Solo a volte mi capitava, quando ne uscivo, di pensare che avrei voluto andare un po’ più ‘lontano’.
Quella settimana, in particolare, mamma aveva avuto uno dei suoi momenti di cattivo umore, ed era stata tagliente e di poche parole con tutti tranne che con i clienti. Non che li vedesse
molto, comunque, dato che stava nell’ufficio a sbrigare le pratiche burocratiche e a mandare all’inferno ogni fornitore che non si comportava bene. Io avevo avuto un problema con la macchina e approfittavo di chiunque mi stesse a sentire per lamentarmi del conto del meccanico. Senza dubbio lei aveva sentito la mia storia più di una volta, ma anche a me era capitato di sentirle ripetere ogni settimana le storie sulla sua parrucchiera (lei, Mary e Liz andavano tutte da Lina, e credo che poi uscissero insieme per discuterne la vita amorosa, che era piuttosto affascinante). Ma domenica sera mi sorprese a parlarne con Kyoko, che era stata in malattia e stava recuperando dopo cinque giorni di assenza, e perse le staffe.
Gridò che se fossi rimasta a vivere con lei non avrei avuto bisogno della macchina, e che era preoccupata per me perché sembravo sempre stanca, poi cominciò a chiedere quando avrei
smesso di perdere tempo dietro ai sogni e mi sarei decisa a sposare Mel e avere qualche figlio, tra l’altro dando per scontato che Mel e io volessimo sposarci, cosa che non era nemmeno mai stata discussa. Mi chiedevo come avrebbe reagito all’apparizione, al matrimonio, di ciò che rimaneva della vecchia gang di motociclisti di Mel, vale a dire quelli che erano ancora vivi, con i loro capelli, le loro Roc e le loro Griffin (persino Mel aveva ancora una vecchia Griffin per le occasioni speciali, anche se soffriva di vere e proprie emorragie d’olio) e il loro non facilissimo modo di fare. Non si sono mai presentati tutti insieme al caffè, ma li avrebbe notati in occasione del genere di matrimonio che si aspettava che avrei avuto.
Alla richiesta di nipoti le domandai, naturalmente, chi si sarebbe occupato poi dei miei figli quando dovevo alzarmi alle quattro del mattino per preparare i rotolini alla cannella. Mel aveva i turni di lavoro in orari assurdi come i miei, specialmente il giorno in cui era stato promosso capo cuoco, quando Charlie era stato costretto, a causa di un ammutinamento generale, ad accettare il fatto di dover delegare qualcosa per non morire per esaurimento delle forze. Quindi mio marito non poteva certo fare il casalingo. In realtà sapevo che la mia famiglia mi avrebbe aiutata. Quando una delle nostre cameriere era rimasta incinta, il ragazzo aveva lasciato la città e la famiglia di lei l’aveva cacciata di casa, mia madre e Charlie l’avevano accolta da loro, e noi tutti eravamo diventati baby-sitter, dentro e fuori il caffè (ci eravamo appena sbarazzati di Evie, la sorella di mia madre, e dei suoi quattro figli, che erano rimasti per quasi due anni: una mamma e un bambino sembravano un sogno, al confronto, specialmente dopo Evie, che dal punto di vista lavorativo è completamente inutile). Barry andava in seconda elementare, ora, ed Emmy si era sposata con Henry, uno dei nostri clienti abituali, e lavorava ancora per noi come cameriera. La nostra caffetteria era così.
Mi piaceva vivere da sola. Mi piaceva il silenzio... e il fatto che non ci fosse nient’altro in casa che si muovesse a parte me.
Vivevo in una piuttosto grande, vecchia ex fattoria che sorgeva ai margini di un parco pubblico; la mia padrona di casa abitava al piano terra. Quando ero andata a dare un’occhiata al posto, l’anziana signora, molto alta, molto snella e dotata di uno sguardo talmente acuto da trapassare, mi aveva fissata e mi aveva informato che non le piaceva dare la casa in affitto a ‘gente giovane’ (lo disse come avrebbe detto ‘vomito di cane’)
perché avevano orari terribili e facevano rumore. Mi piacque subito. Le spiegai umilmente che in effetti avevo dei pessimi orari, perché mi dovevo alzare alle quattro del mattino per
andare a preparare i rotolini alla cannella per il Charlie’s, al che perdette la sua incredibile espressione accigliata e mi invitò a entrare.
C’erano voluti tre mesi, dopo il diploma, perché mia madre prendesse in considerazione l’idea che me ne andassi di casa, nonostante l’opera di convincimento che Charlie stava attuando su di lei. Leggevo ancora di nascosto gli annunci di case in affitto sul giornale e facevo le telefonate quando lei era fuori portata d’orecchio. La maggior parte di quelle che potevo permettermi erano terribili. Questo appartamento, al terzo piano dal lato del fienile della casa rustica, era perfetto, e la vecchia signora dovette capire che ci credevo davvero quando glielo dissi. Sentii la mia espressione che si illuminava quando aprì la porta in cima alla seconda rampa di scale e il sole sembrò riversarsi nell’ambiente da ogni direzione. Al balcone del soggiorno, ricavato dalla piattaforma del vecchio fienile e che ora si affacciava
sul giardino, non ho mai messo le tende.
Quando firmammo il contratto d’affitto, la mia futura padronadi casa e io stavamo già diventando amiche. Sempre che per me fosse possibile diventare così in fretta amica di qualcuno il cui semplice modo di muoversi mi faceva sentire come se avessi la grazia di un troll. Forse ero solo curiosa: era evidente che quella donna era avvolta dal mistero; perfino il suo nome era strano. Intestai l’assegno a Miss Yolande. Nessun cognome, come Smith o Jones o Fitzalan-Howard o qualunque altra cosa.
Solo ‘Miss Yolande’. Ma lei era sempre gentile con me e non era del tutto priva di debolezze umane: le portavo qualcosa dal caffè e lei mangiava. Ho un gene dominante che mi spinge a
nutrire le persone, e che penso sia necessario per sopravvivere nel business dei piccoli ristoranti. Certamente non dipende dal tempo. All’inizio lo facevo ogni tanto: non volevo che notasse che stavo cercando di farla ingrassare. Ma lei era sempre così contenta che divenne una pratica regolare. In seguito mi abbassò l’affitto, cosa che, devo ammetterlo, fu una vera benedizione dato che avevo scoperto che possedere una macchina aveva il suo costo, e mi disse di non chiamarla più ‘Miss’.
Ben presto dopo che mi ero trasferita Yolande mi aveva detto che potevo andare in giardino ogni volta che lo volevo, tanto c’eravamo solo noi due (e la trappola elettrica con l’esca al burro di arachidi per i cervi) e, qualche volta, sua nipote e le sue tre bambine. Le bambine e io andavamo d’accordo perché loro erano delle buone forchette e ritenevano che la cosa più emozionante al mondo fosse venire al caffè e poter stare dietro il bancone. In fondo anch’io provavo la stessa sensazione quando mamma cominciò a lavorare per Charlie. Ma anche questo è l’effetto della caffetteria: tende a diffondersi all’esterno e fagocitare le persone. Yolande mi sembrava la sola immune a quella forza irresistibile, ma poi le portavo due borse bianche della panetteria quasi ogni giorno.
Di solito mi lascio scivolare addosso i malumori di mia madre. Ma ultimamente stava esagerando. I problemi alla caffetteria si ripercuotono spesso duramente su di lei, perché si
occupa del denaro e dell’amministrazione e, per esempio, verifica le referenze delle persone che si presentano da noi in cerca di lavoro, il che di solito non disturba Charlie, solo che lei non è il tipo da affrontare le cose in modo tranquillo. In primavera c’erano state delle riparazioni costose quando era venuto fuori che il tetto aveva gocciolato per mesi finché, un pomeriggio, un intero angolo del soffitto della cucina principale era crollato;
inoltre uno dei nostri fornitori di alimenti era fallito e non ne avevamo trovato un altro altrettanto valido, e due membri del personale di servizio ai tavoli e uno della cucina si erano licenziati senza preavviso. Oltretutto Kenny aveva cominciato il liceo l’autunno precedente, e invece di studiare perdeva tempo e fumava erba. Non perdeva tempo né fumava più di quanto non avessi fatto io alla sua età, ma lui non era capace di mantenere un basso profilo. Era anche molto intelligente (entrambi i miei fratellastri lo erano) e mamma e Charlie avevano grandi speranze per lui. Ho sempre sospettato che Charlie mi avesse tolta dal servizio ai tavoli, che mi annoiava a morte, e mi avesse assegnato un compito concreto in cucina per darmi una raddrizzata.
Avevo solo sedici anni, ed ero molto giovane per quel lavoro, ma di tanto in tanto mi aveva già permesso di aiutarlo sul retro, quindi sapeva che potevo farlo: il problema era sapere se l’avrei fatto. All’improvviso una paurosa responsabilità lavorava con me. Ma Kenny non avrebbe preso una laurea in legge imparando a preparare i rotolini alla cannella e non sentiva il bisogno di nutrire la gente come succedeva a Charlie e me.
In ogni caso Kenny era tornato a casa all’alba di quella domenica mattina (aveva il coprifuoco a mezzanotte, il sabato), e l’aveva pagata cara. L’avevamo pagata cara tutti, per tutto il giorno, e la sera ero tornata a casa sofferente e incapace di reggermi in piedi e neppure la mia sola notte a settimana di dodici ore di sonno produsse il solito effetto riabilitante. Presi il mio solito tè, un toast e Morte immortale (uno dei miei romanzi preferiti fin da quando reggevo sotto le coperte con la torcia elettrica all’età di undici o dodici anni) e tornai al letto, dal quale ero riuscita ad alzarmi intorno a mezzogiorno. Nemmeno l’eroica scena in cui la protagonista sfugge all’Altro Oscuro che la perseguita da trecento pagine invocando finalmente) la sua eredità demoniaca e trasformandosi in una cascata mi fece sorridere.
Dedicai la maggior parte del pomeriggio alle pulizie, che sono la mia seconda risposta standard al cattivo umore, e neppure questo funzionò. Forse ero anche preoccupata per Kenny.
Io ero stata fortunata durante il mio breve periodo di follia; a lui poteva non andare altrettanto bene. Inoltre prendo molto sul serio la qualità della farina che devo usare, e non avevo una grande opinione dei nostri ultimi fornitori.
Quando quella sera arrivai a casa di Charlie e mia madre per il film del lunedì, la tensione era talmente palpabile che sembrava di camminare su una coperta. Charlie stava preparando popcorn e cercava di far finta che andasse tutto bene. Kenny teneva il broncio, cosa che probabilmente significava che stava ancora smaltendo i postumi, perché non è affatto il tipo da mettere il broncio, mentre Billy in compenso era iperattivo, il che non era da lui. C’erano anche Mary, Danny, Liz e Mel e Consuela, l’ultima assistente di mamma, che cominciava ad apparirci come il miglior colpo di fortuna che avevamo avuto quell’anno, più una mezza dozzina di clienti abituali. C’erano anche Emmy e Barry, come capitava spesso quando Henry era via, e Mel stava giocando con Barry, cosa che forniva a mamma l’occasione di lanciarmi
delle occhiate e comunicarmi con il suo sguardo truce, che io conoscevo bene: ‘Guarda quanto è bravo con i bambini. È ora che ne abbia uno suo.’ Certo. Per non parlare del fatto che nel giro di altri quattordici anni quel figlio ipotetico avrebbe cominciato il liceo e imparato modi migliori e più avanzati in cui un adolescente può irritare e far impazzire gli adulti.
Amavo tutte quelle persone. Ma non potevo sopportare un altro minuto della loro compagnia. Pop-corn e film ci avrebbero fatto sentire meglio, e il giorno dopo sarebbe stato un altro giorno lavorativo, e resta ben poco cervello per preoccuparsi a chi lavora in un ristorante a conduzione familiare. Le crisi di Kenny sarebbero passate come era successo con qualsiasi altra crisi che avevamo mai vissuto, morte ed eventualmente sepolte sotto un cumulo di ordinazioni, scontrini e storie divertenti sui nostri avventori che ci raccontavamo.
Ma il pensiero di stare seduta per due ore, perfino stretta nell’abbraccio di Mel, con una scorta infinita di eccellente pop-corn (Charlie non smetteva di dar da mangiare alla gente solo perché era il suo giorno libero) non mi bastava, quel particolare lunedì.
Quindi dissi che avevo avuto mal di testa tutto il giorno (cosa che era vera), che ci avevo ripensato e che volevo andare a casa e mettermi a letto, e che mi dispiaceva. Uscii dalla porta meno di cinque minuti dopo che ero entrata.
Mel mi seguì. Una delle caratteristiche che avevamo fin quasi dall’inizio era la capacità di non parlare di tutto. Quelli che vogliono parlare in continuazione di ciò che provano, e vogliono che gli parli di ciò che provi tu, mi fanno diventare matta. Per di più Mel conosce mia madre. Non c’è nulla di cui discutere. Se mia madre è il fulmine, io sono l’albero più alto
della pianura. È così che vanno le cose.
Ci sono due lati ben distinti, in Mel. C’è il lato ragazzo selvaggio, il rude motociclista. Ha ripulito molto i suoi modi, ma una parte di lui è ancora così. E poi c’è questa strana, grande
serenità che sembra derivare dal fatto che non si sente in dovere di dimostrare nulla. La miscela del suo essere un teppista anarchico e il suo tranquillo autocontrollo gli conferiscono la curiosa capacità di tranquillizzare il prossimo, come se lui fosse la prova vivente che olio e acqua si possono miscelare. È fantastico anche nei giorni in cui tutti gli altri alla caffetteria sono in preda a crisi isteriche. Era lunedì, quindi Mel odorava di benzina e vernice invece che di aglio e cipolla. Si strofinava distrattamente il tatuaggio a forma di quercia che aveva su una spalla.
Faceva sempre il gesto di sfregare qualche tatuaggio quando pensava, il che significava che qualunque cosa stesse cucinando o su cui stesse lavorando, nei giorni in cui era particolarmente riflessivo, avrebbe potuto disperdersi sulla sua persona con una certa tranquillità.
«Cambierà idea, un giorno o l’altro» disse. «Stavo pensando che forse parlerò con Kenny.»
«Fallo» risposi. «Sarebbe bello se vivesse abbastanza da scoprire di non voler diventare un avvocato.» Kenny voleva entrare nel ramo della legge sugli Altri, che è la branca della giurisprudenza che vive costantemente nell’incertezza, ma un avvocato è pur sempre un avvocato.
Mel grugnì. Probabilmente aveva più motivi di me per vedere gli avvocati come dei grossi batteri del botulismo in abiti a tre pezzi.
«Goditi il film» lo salutai.
«So il vero motivo per cui stai scappando, tesoro» mi disse Mel.
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