Il profilo della casa editrice
La casa editrice I Sognatori nasce burocraticamente nel febbraio 2006, pubblica libri cartacei e li vende esclusivamente tramite internet, in Italia e all’estero.
Ha adottato fin dall’inizio una politica dei prezzi volta a facilitare l’acquisto, imponendo prezzi di copertina concorrenziali pur editando romanzi e antologie mai apparsi in precedenza sul mercato. Dedica grande attenzione al versante tecnico e all’aspetto estetico dei suoi libri, promuove nel lungo periodo gli autori (in rete e in qualunque luogo “fisico”) e rigetta/combatte la svilente pratica del 'contributo editoriale'.
Il titolare della casa editrice è Aldo Moscatelli, che al pari del poeta Ferlinghetti e della narratrice R. Kalechofsky ha creato dal nulla una sua casa editrice, per poter diffondere i propri manoscritti e quelli di altri autori, ignorati o comunque esclusi dalle logiche di mercato.
In quest’ottica, spera un giorno di poter sottoscrivere un’affermazione di Italo Calvino: "il massimo della mia vita l’ho dedicata ai libri degli altri, non ai miei".
Indicazioni per l'invio dei testi
Qui di seguito riepiloghiamo le indicazioni per il corretto invio degli elaborati a questa casa editrice.
La lettera di presentazione e la sinossi non sono richieste, così come estratti dell'opera. Si richiede infatti in visione l'intero elaborato, inviato esclusivamente via mail.
Le tempistiche di riscontro dipendono dalle tre opzioni scelte dall'autore e indicate sul sito dell'editore (25 giorni, 50 giorni, 6 mesi).
La comunicazione di eventuale accettazione dell'elaborato avviene via mail.
Non sono richiesti particolari criteri di formattazione, è sufficiente che il documento sia in file word, pdf oppure odt e senza immagini.
La casa editrice ha recentissimamente aperto anche alla poesia.
L'intervista
Fare gli editori oggi è una grossa sfida: come mai avete deciso di intraprendere questa strada e, soprattutto, come mai la scelta di pubblicare nel Fantastico?
Ho intrapreso questa strada coi vestiti laceri dello scrittore esordiente, uno di quelli che è passato attraverso richieste di contributo, concorsi letterari fraudolenti, segretarie maleducate, promesse disattese e sorrisi scintillanti (con le carie ben otturate, per nascondere il marcio).Il giorno in cui mi sono chiesto “chissà quanta gente è nella mia stessa condizione”, ho deciso di aprire una casa editrice.
Cinque anni dopo… eccomi qua. Scrittore-editore, come Ferlinghetti e R. Kalechosfky prima di me.
Ho accumulato mezzo secolo di ritardo rispetto al poeta americano, ma non importa.
Ad ogni modo, ritengo che fare l’editore oggi non sia una sfida per tutti. Se decidi di spillare soldi agli scrittori attraverso la richiesta di contributo, la sfida è vinta in partenza. Il guadagno (diciamo duemila euro) che un collega ottiene con la firma di un singolo contratto, in pratica senza alcuno sforzo se non quello dettato dall’arte “affabulatoria”, a me invece costa un mucchio di lavoro, visto che per ottenere la stessa cifra devo vendere cataste di libri.
La sfida, insomma, è tale soltanto per gli editori non a pagamento. Tutti gli altri vincono a mani basse.
Per quanto riguarda il Fantastico, in verità è uno dei generi che trattiamo, ma ce ne sono altri.
Delle volte l’abbiamo cercato, altre volte ci è venuto incontro. Diciamo che le nostre strade si sono incrociate più volte. Forse perché parliamo di un genere spurio, facilmente contaminabile. Inoltre ho avuto la fortuna di imbattermi in manoscritti per i quali il termine “fantastico” fa riferimento, oltre al genere trattato, anche alla sconfinata creatività dei loro autori. Penso a gente come Flavio Pagani, Lucilla Galanti, Silvia Obici.
Personalmente apprezzo il genere, ma va da sé che i gusti personali del lettore-Moscatelli incidono poco sulle scelte compiute dall’editore-Moscatelli.
Nel vostro cammino, avete raccolto qualche aneddoto meritevole di essere raccontato in questa sede?
Centinaia. Alcuni li ho assemblati in un e-book, si può scaricare dal sito della casa editrice.
Quali sono le difficoltà più frequenti in cui vi imbattete quotidianamente?
I problemi principali, per un piccolo editore, sono fondamentalmente due: l’indifferenza e – nel migliore dei due casi – la diffidenza. In linea generale i lettori nutrono forti preconcetti verso i libri meno conosciuti. Purtroppo tanta gente pensa che un romanzo pubblicato da un editore poco noto debba essere per forza di cose un romanzo di serie B, e il romanzo di un colosso editoriale… un lavoro che ha raggiunto quel traguardo per via delle sue oggettive qualità. Mi pare che non sempre le cose funzionino in questo modo, anzi. L’etichetta “editore di nicchia”, in tal senso, fa male: le nicchie le scavano quei lettori che acquistano sempre e soltanto i libri sulla bocca di tutti. Un editore farebbe volentieri a meno di vegetare in un buco, se non altro perché si sta strettini: l’80-90% dell’editoria
italiana può essere considerata di “nicchia”, è un ambiente sovraffollato. Prima o poi qualcuno cede per mancanza d’ossigeno.
E le soddisfazioni più grosse?
Vedere un lettore che acquista un singolo libro, lo legge e poi si rifà vivo dopo un mese, per comprare altre copie dello stesso volume. O magari tutto il catalogo. Vedere i nostri libri abbandonare il suolo italico e approdare in Svizzera, in Spagna, in Inghilterra,
in Africa, negli Stati Uniti, ricevere mail d’incoraggiamento dalla Francia e dal Brasile… terre lontane che il web rende vicine, a portata di un click.
Conoscere i nostri scrittori durante le presentazioni e scoprire che sono persone eccezionali, oltre che autori di talento.
Sapere di lettori che hanno attraversato mezza Italia per venire alla presentazione di un tuo libro.
Poter definire molti lettori “amici”, e non “clienti”.
Nel vostro mondo ideale, che volto avrebbe l'editoria?
Un volto senza make up e ritocchi vari. Al massimo qualche brufolo. Difetti umani, naturali. L’editoria contemporanea invece è zeppa di plastica. E la plastica tira.
Con quali criteri scegliete un libro di genere Fantastico?
Coi criteri di sempre: qualità globale al primo posto. Equilibrio ideale fra le parti: stile, trama,
originalità. Vengono esclusi fattori extraletterari quali l’appetibilità commerciale e i riferimenti a un qualche evento inutile che però i furbetti definiscono “di forte attualità”.
Che caratteristiche avrebbe il libro che sognate di scoprire?
I libri che sogniamo di scoprire devono avvicinare (e magari superare, ma non è affatto semplice) quelli attualmente in catalogo, sul piano qualitativo. Gente come – per citare altri due autori – Valeria Zangrandi o Gian-Andrea Rolla non la trovi agli angoli delle strade, certo, ma io sono già fortunato ad averli in catalogo, autori di quel calibro.
Accettate elaborati da chiunque o solo tramite agenti?
Da chiunque, e aggiungo una cosa: gli agenti letterari mi fanno perdere un mucchio di tempo, sono i primi a non leggere il sito della casa editrice, e a infischiarsene delle precise disposizioni che tutti devono rispettare. Gli agenti non scavalcano la fila, a casa mia.
12 commenti
Aggiungi un commentoma resta il problema della grossa fetta che non si fida a comrpar su Internet. E, almeno per il breve termine, temo che non se ne esca.
In internet ormai si vende-compra di tutto, dai rasoi alle auto. Secondo me dipende dalla serietà mostrata dal venditore: la mia esperienza dice che il lettore trattato con rispetto è un lettore che poi torna a farsi vivo. La quota di diffidenti esiste eccome, ma va assottigliandosi. Magari si comincia acquistando (che so) un CD o un videogame, poi ci si abitua ai meccanismi e si passa oltre.
Non prevedo assolutamente la fine delle librerie classiche, credo però che pian piano stia emergendo la grande verità, e cioè che alle librerie interessa spingere soprattutto (soltanto?) i soliti nomi. Non escludo che alla fine possano rimanere appannaggio delle sole major, cosa che peraltro già succede, anche se alcuni miei colleghi fingono che non sia vero per poter ostentare il pedigree della distribuzione in libreria. Ritengo che i "piccoli" editori farebbero bene a cercarsi altri spazi, giocare al medesimo gioco dei Big è molto, molto pericoloso.
Aldo, stiamo facendo due discorsi diversi, però: non discuto che si possa fidelizzare una parte di pubblico, ma questo non influisce su tipologie quali ad esempio:
1. il ragazzino che su Internet non può comprare perché non ha nemmeno la Postapay
2. l'adulto nato e vissuto senza l'e-commerce e geneticamente diffidente verso lo stesso
3. il 'feticista' del tocco-annuso- sfoglio-confornto prima di comprare
Non so, probabilmente la percezione dipende dalla prevalenza che ti circonda: attorno a me ho moooooolti più esempi delle 3 tipologie di cui sopra che di quella cui tu fai riferimento.
Io stessa, nata e cresciuta senza e-commerce ma ciononostante e-compratrice all'occorenza, vi ricorro solo quando so che non troverei il libro in altro modo e quel libro lo voglio assolutamente, o che in quella data settimana non avrei cmq il tempo di passare da una libreria e quindi so che fa prima ad arrivarmi via Internet. Ma se posso scegliere, prediligo sempre la libreria. Sarà l'abitudine, una turba psichica, una fissa, non ne ho idea, fatto sta che è così.
Sei fortunata, io sono circondato da gente che non legge
Capisco il tuo discorso, mi ritrovo nella tua stessa condizione.
Certo è che talune realtà avrebbero bisogno di maggiore visibilità per rendere più vario e quindi più vivo il mercato, perché solo nella diversità il mercato può sopravvivere e prosperare, altrimenti rischia d'impantanarsi.
Per Marina: suppongo che il fattore "percezione" giochi un ruolo preponderante, io sono cinque anni che mi imbatto in persone disposte a "rischiare" con l'e-commerce, quindi il mio punto di vista è necessariamente "viziato" da tale fattore. Si tratta di una percezione soggettiva, vero, ma fino a un certo punto: i dati forniti dall'AIE (oggettivi) manifestano il crescente interesse nei riguardi di soluzioni di compravendita slegate dai canonici percorsi, e non è possibile ignorarli.
Per M.T.: più che altro, talune realtà hanno bisogno di lettori in grado di abbandonare una determinata forma mentis, che identifica nel libro della Big di turno, nel classico o nell'instant-book gli unici volumi degni di considerazione. Occorre un approccio eterodosso, onnivoro e nuovo. Non si possono pretendere progetti freschi e originali dalle case editrici, se poi il pubblico resta ancorato ai vecchi modus operandi. La visibilità ce l'hanno già, molte case editrici, ricordo un collega che una volta mi scrisse: "ci conoscono tutti ma nessuno compra i nostri libri, grandi pacche sulle spalle ma di aprire il portafogli non se ne parla".
Confermo e sottoscrivo: sull'argomento c'è un'ipocrisia dilagante, tanta filantropia che poi in concreto si traduce nell'immobilità, nella stagnazione. Chiaro che poi molti editori preferiscono giocare sul sicuro, rifilando libercoli a un pubblico che in definitiva non chiede altro.
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