In un angolo stava un alto vaso di olio di choba. Il resto della Rocca, persino gli appartamenti del Signore, era illuminato da candele di altro genere. I mercanti non si disturbavano certo a portare quell’olio pesante dal sud, ma Josen aveva ordinato e comprato per conto suo quell’unico vaso. Nelle cupe giornate invernali versava l’olio in alcuni recipienti, e confezionava degli stoppini con del filo di lana. Lui sosteneva che la luce prodotta da quell’olio fosse più chiara e meno fumosa di quella delle candele fatte con grasso animale.

Qualche volta Kerris lo prendeva in giro.

– Con le lampade accese puoi fingere come Paula di non essere realmente qui.

In quel momento Josen era alla finestra a osservare il paesaggio. Kerris lo raggiunse.

La Torre di Guardia era stata costruita trecento anni prima da Torrel, quarto Signore della Rocca di Tornor, “in modo da scorgere gli Incursori di Anhard prima ancora che i loro Re dessero l’ordine di attaccar”. A quel fine le uniche finestre della Torre si affacciavano verso nord. Poi la torre non era stata più utilizzata a fini militari, perché da un centinaio di anni era stata decretata la pace tra l’Arun e l’Anhard. La massa di montagne grigie dominava il paesaggio. Le terrazze sottostanti alle vette erano punteggiate di verde. Kerris aveva sentito dire (dai mercanti che andavano dappertutto) che a occidente vi fossero delle montagne più alte, non grigie ma di colore rosso. Dubitava che le avrebbe mai viste. La massima distanza che aveva percorso attraverso la steppa non era mai andata oltre la metà del tragitto per la Rocca delle Nuvole.

Era nato nel meridione, in un piccolo villaggio a sud del confine di Galbareth. Paula glielo aveva raccontato parecchie volte, ma lui non ricordava né il viaggio verso settentrione, né l’assalto alla carovana nel quale sua madre era rimasta uccisa. Era stato durante quella scorreria che una lama curva degli Asech gli aveva reciso il braccio destro, proprio sotto la spalla.

La voce di Josen interruppe le sue fantasticherie.

– L’estate sta arrivando.

Kerris allontanò i suoi pensieri dal passato. – Paula non è d’accordo – obiettò.

– Lei è una meridionale – rispose Josen. – Per loro qui non fa mai abbastanza caldo.

Josen, che ra un settentrionale, ma conosceva bene il meridione, essendovi vissuto per molti anni, era alto, ma le sue spalle cominciavano a incurvarsi per l’età. Gli occhi pallidi erano incavati e penetranti. Indossava gli abiti del suo Clan: una tunica nera di lana soffice, con un cappuccio che gli cadeva sulla schiena. All’anulare sinistro portava un anello d’oro con una pietra di ebano. Solo gli Scolari e i Signori delle Grandi Famiglie portavano anelli: i Signori per indicare il loro dominio, e gli Scolari per mostrare che non recavano armi. Josen era un membro della Corporazione degli Scolari. Era stato mandato a studiare a Kendra-sul-Delta da Athor, padre di Morven, ed era ritornato alla Rocca venticinque anni prima.

– Suppongo che i mercanti non siano ancora arrivati.

– No.

Josen borbottò qualcosa nella lingua meridionale.

– Che significa? – domandò Kerris. Era stato apprendista di Josen per cinque anni, ma conosceva poco della vecchia lingua meridionale.

– Possano soffrire di emorroidi per sette anni – fece il vecchio. – Mi occorre l’inchiostro!

Kerris sogghignò. Lui e Josen dividevano il lavoro e il sonno nella torre, ed entro i limiti consentiti dalla differenza di età erano amici.

– Possano soffrire di emorroidi dopo che saranno arrivati qui – suggerì.

– Sì – convenne Josen, – è meglio. – Tossì, e si strinse la fascia attorno alla vita, poi disse: – Non ti ho sentito rientrare ieri sera.

Il moncherino di Kerris palpitò.

– Ho dormito nella caserma – spiegò.

– Nel caso fossero giunti gli Incursori? – disse Josen, con una punta di bonaria derisione nella voce. – Anche se dovesse accadere, Morven non ti lascerebbe combattere. Saresti mandato nei magazzini assieme ai vecchi, ai malati e ai bambini. Perché disturbarti?

– Ne ho bisogno – disse Kerris. – Non mi importa cosa pensa Morven. – Si diresse al tavolo da lavoro su cui Josen aveva già disposto il lavoro del giorno: un mucchio di antiche pergamene che puzzavano i muffa.

– Ci mettiamo al lavoro?

Josen alzò le spalle. – Come vuoi – rispose.

Kerris provò una fitta di rimorso; non intendeva liquidare il vecchio così bruscamente. Scostò la sedia imbottita per Josen.

Una volta, prima che Kerris venisse ad aiutarlo, Josen si occupava quotidianamente delle registrazioni contabili e della conservazione dei documenti. Ora lo faceva Kerris, perciò, libero da quelle mansioni, il vecchio Scolaro si era dedicato a un lavoro più interessante: copiare le storie di Tornor dalle antiche pergamene.

Morven non aveva avuto nulla da obiettare. Era anzi ben lieto di pagare i sottili pennelli di pelo e l’inchiostro costoso che Josen richiedeva.