Kerris oservò la pergamena che stava in cima al mucchio, mentre Josen la srotolava. In alcuni punti luccicava, perché alcune delle lettere erano dipinte in oro e brillavano attraverso la polvere.

I vecchi caratteri runici settentrionali (che in realtà derivavano dalle rune meridionali, così diceva Josen) balzavano all’occhio. Kerris non sapeva leggerli: Josen gli aveva insegnato solo la scrittura che usavano tutti. I vecchi documenti delle Rocche costituivano gli unici esempi di scrittura settentrionale e, quando fossero stati trascritti con la grafia meridionale, nessuno avrebbe più ricordato l’esistenza di un modo diverso di scrivere, a eccezione di pochi Scolari come Josen.

La pergamena che Josen stava srotolando era talmente ragile che a un certo punto si lacerò. Allora Kerris cercò un sistema per ripararla, ma Josen, fingendo che nulla fosse accaduto, estrasse i pennelli dalla scatola di legno, foderata di feltro.

– Josen?

– Hmmm?

– Che storia copi oggi?

Il vecchio parve compiaciuto. Gli piaceva parlare di storia. – La storia dell’undicesimo Signore di Tornor.

– Chi fu?

– Si chiamava Kerwin – disse Josen, – come tuo padre. – Chiuse la scatola dei pennelli e la mise da parte. – Molta della documentazione è raccolta in base alle date delle battaglie con l’Anhard. Kerwin fu ucciso in una di esse. Fu una morte normale per quei tempi. La Tregua non fu firmata fino al regno di Athor, nipote di Kerwin.

– C’è stato un tempo in cui non vi furono battaglie? – chiese Kerris.

Josen aggrottò le sopracciglia.

– Non posso dirlo. Tornor fu costruita per essere una Fortezza. Ma dal Regno di Kerwin fino a quello di Lady Sorren, c’è una lacuna nelle pergamene.

– Fu Lady Sorren che portò i ceari a Tornor?

– C’è stata una sola Sorren di Tornor – disse Josen.

Kerris annuì: ricordava. Josen gli aveva letto la sua storia scritta sulla pergamena. Sorren di Tornor aveva nominato un ceari Maestro della Piazza, e durante il suo Regno (e ancora dopo, durante il Regno di sua figlia Norres), Tornor era stato un punto di raduno dei ceari.

– Da dove venivano? – chiese.

Lo sguardo di Josen si incupì. – Conosci la leggenda. I ceari giunsero da occidente, da Vanima, la terra dell’eterna estate.

– E Lady Sorren come li portò a Tornor?

– Non è registrato nei documenti – disse Josen. – Tutti gli storici concordano nell’affermare che i primi ceari fossero meridionali. Tuttavia la leggenda di Vanima persiste. Ancora oggi i ceari ne parlano come se fosse un luogo realmente esistente. – Raccolse il pennello e lo puntò contro Kerris come un pugnale. – È avvilente.

– Cosa?

– Che i documenti siano incompleti.

Kerris prese un pezzo di carta dal suo mazzo. I fogli erano pesanti e ruvidi, fatti con avanzi di lino pressati e canne di fiume. La loro sfumatura grigiastra gli faceva pensare a Paula. Stava diventando vecchia. Sperava che l’incidente in cucina non l’avesse turbata molto. Si preoccupava per lui... Lo aveva portato a nord dopo la morte di sua madre e, nonostante non lo avesse mai detto, lui sapeva che lei era rimasta a Tornor per occuparsi di lui.

– Chi fu il primo ceari? – chiese.

Josen si grattò il naso con l’estremità di legno del suo pennello.

– Non si sa – disse. – I ceari forse lo sanno, ma non ne parlano con gli Scolari. – Divenne severo. – Non si deve aver fiducia nei documenti non scritti. È troppo facile distorcere in mito e leggenda le storie trasmesse oralmente.

Kerris sorrise. Aveva già sentito questa lezione altre volte.

– Per esempio – disse Josen, – c’è un brano nella storia del regno di Lady Sorren che suggerisce che lei stessa fosse una ceari. E poi più avanti, afferma che fosse un Messaggero, un membro del Clan Verde.

– Non poteva essere entrambi? – disse Kerris.

– È molto improbabile. – Josen era rigoroso. – Perché un’erede di Tornor avrebbe dovuto unirsi al Clan dei Messaggeri? Per l’incuria di uno Scriba non sapremo mai la verità.

Kerris sogghignò.

– La storia è importante – concluse il vecchio.

– Sì – convenne Kerris. Dentro di sé si domandava cosa si sarebbe riusciti a fare se il mondo avesse funzionato come voleva Josen.

Non sarai mai alla sua altezza, gli diceva una voce interiore, d’altro canto sapeva benissimo che lui sarebbe diventato uno Scriba, non uno Scolaro, e si sarebbe occupato dei documenti quando Josen non fosse stato più in grado di farlo. Guardò la pergamena: vi erano tracciati gli antichi simboli: una falce per il grano, un corno per le capre, una tripla tacca (simbolo dei tre rametti di una spiga) per l’orzo.

Prese un foglio e una penna e volle provare a copiare l’antica pergamena. Il lavoro lo assorbì totalmente facendogli dimenticare l’inquietudine per quello che era successo la mattina e il dolore che il freddo gli procurava al moncherino.