Il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici del Teatro Greco di Siracusa si aprirà giorno 11 maggio 2011 con Filottete di Sofocle, nella traduzione di Giovanni Cerri, per la regia di Gianpiero Borgia; seguirà, il 12 maggio, la rappresentazione di Andromaca di Euripide, nella traduzione di Davide Susanetti, per la regia di Luca De Fusco. Le scene e i costumi sono di Maurizio Balò. Gli spettacoli andranno in scena a giorni alterni fino al 19 giugno. A seguire, Le Nuvole di Aristofane, dal 24 al 26 giugno 2011, per la regia di Alessandro Maggi.
Il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici dà voce a due tragedie poco rappresentate ma di particolare intensità, per certi versi due drammi della crisi (composti, così come la commedia in cartellone quest’anno, nel periodo difficile della guerra peloponnesiaca), che portano in scena figure di grande dignità e nello stesso tempo relegate ai margini. Ostaggi di una umanità meschina, di un destino che appare senza via di uscita, intrappolate da regole anguste di convivenza sociale o dalla loro stessa inflessibilità.
Per il terzo anno consecutivo la Fondazione INDA compone in un dittico i drammi di Sofocle e Euripide approfondendo una indagine condotta su due filoni complementari. Con Andromaca torna in scena una tragedia del dopoguerra: qui non assistiamo alla deportazione delle “principesse schiave” – come in Ecuba e Troiane (INDA 2006) - condotte in Grecia come trofeo dai vincitori-padroni, ma a ciò che accadde “dopo” ad una di loro, alla contraddittoria integrazione nella nuova casa di una concubina malvoluta dalla moglie legittima. Dopo la guerra di Troia Andromaca è toccata in sorte a Neottolemo, da cui ha avuto un figlio, mentre la sposa greca Ermione, figlia di Elena e Menelao, unendo alla gelosia la preoccupazione per la propria sterilità, cova dentro le mura domestiche un odio tale da divenire minaccia, impulso omicida.
Euripide riprende qui il tema del doppio talamo, delle nozze legittime contrapposte all’unione con una donna “barbara” priva di riconoscimento sociale. Come Medea (INDA 2009), sebbene con esiti ed uno sviluppo del personaggio molto diversi, Andromaca incarna il fragile statuto della straniera, rispetto alla sposa greca condannata alla emarginazione. I personaggi femminili di questo dramma si fanno anche portatori di due diverse visioni del gamos. Andromaca donna del buonsenso, unisce alla fedeltà la sopportazione e la mitezza, ma è anche provata e temprata da un dolore che la sua antagonista non è in grado di comprendere. Ermione, giovane e impulsiva, volubile fragilissima creatura, rivendica una assolutezza nel gamos cui associa, malcelando la propria frustrazione, una forma di competizione con il marito. Ma emerge anche un secondo leitmotiv interno al dramma: la violenza dell’eros, il potere distruttivo insito nella passione incontrollata, compressa dentro le mura domestiche e nel contempo alimentata da questa stessa repressione. L’ombra lunga di Fedra (INDA 2010) sembra toccare anche la fragile Ermione. Questo rischio è sottolineato anche dal vecchio Peleo, che nell’agone con Menelao fa riferimento ad Elena di Sparta, la donna perversa per eccellenza, alludendo al rischio che Ermione ne abbia ereditato la natura sessualmente avida, l’impudica insaziabilità. Una indagine sulla femminilità, dunque, declinata da Euripide tra eros e gamos, nei suoi aspetti più complessi e censurati (inclusi i vincoli imposti dall’universo maschile…), che conferisce alla Andromaca, all’interno di una struttura drammaturgica fortemente dinamica, una sostanziale unità tematica.
Il conflitto tra individuo e società, ma soprattutto la natura dell’eroe tragico portatore di un destino misterioso e dato dagli dei, è al centro del Filottete, che l’INDA mette in scena seguendo il solco tracciato con Edipo a Colono e Aiace, rappresentati negli ultimi due Cicli al Teatro Greco di Siracusa. Come Edipo, Filottete vive un costante contrasto tra potere e fragilità, precipita nella sventura sino ad essere “nulla”, diviene per una volontà imperscrutabile fonte di salvezza.
Oggetto prima di emarginazione e poi della rapacità degli uomini, che ora cercano di manipolarlo avendone scoperto il “potere” (solo il suo arco potrà distruggere Troia), Filottete attraversa un conflitto interiore dilaniante, una collera tanto “giusta” quanto lacerante e selvaggia, che dovrà superare per accogliere e realizzare quel destino, quella missione che gli dei gli hanno affidato. Morto Aiace, Filottete rimane l’ultimo degli eroi, testimone e portatore di quel mondo di guerrieri-leoni sempre più lontano, costantemente minacciato dalle volpi come Ulisse, che anche qui (come in Aiace) quasi nulla mantiene del personaggio omerico ma diviene simbolo delle devastazioni prodotte dall’uso distorto della parola, sofista, politico corrotto, capro espiatorio di tutta una generazione tradita che assiste impotente al declino della polis ateniese. Vilipeso e abbandonato dai compagni, Filottete ha però una seconda possibilità: quaranta anni dopo la scrittura dell’Aiace, Sofocle torna in qualche modo sugli stessi passi, e “salva” il protagonista, accostandogli un amico umano (Neottolemo) ed un amico divino (Eracle). La philia salva Filottete dal destino di Aiace, lo riabilita dinanzi a se stesso (ma anche altrove: cosa sarebbe Edipo senza Teseo?) offrendogli una visione diversa, mostrandogli una responsabilità che va al di sopra delle sue inimicizie personali. E se ciò non risolve la contraddizione, il problema della giustizia, il fatto che esista un mondo dove gli Aiace e gli Achille sono morti e solo gli Ulisse e i Tersite prosperano, in qualche modo illumina, dà un senso al compito dell’uomo di riconoscere e partecipare al destino più grande al quale è legato il suo destino personale.
Come i buoni amici possono salvare gli eroi, i cattivi amici ed i cattivi insegnamenti possono portare distruzione. E’ ciò che accade nel terzo dramma in cartellone per il XLVII Ciclo di Spettacoli Classici, Le Nuvole di Aristofane. In scena, attraverso il vecchio Strepsiade, il figlio Fidippide ed un Socrate rivisitato provocatoriamente, la crisi di valori in cui versa Atene travolta dall’uso corrotto della conoscenza, dall’abuso della parola per sovvertire il diritto a proprio vantaggio, dai veleni seminati dal “Discorso Ingiusto”. Ma qui le “volpi” finiranno con il cadere vittime di se stesse, in un riso liberatorio che è denuncia e antidoto insieme per esorcizzare i mali, di un tempo che è anche nostro.
2 commenti
Aggiungi un commentoCi andrei molto volentieri, se solo potessi!
Anche Nisana! Ma con cucciolata al seguito temo non sarebbe molto pratico.
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