L'ascesa di Brandon Sanderson verso l'Olimpo degli autori di narrativa fantasy, avvenuta negli ultimi anni, è stata rapida e del tutto meritata.
Originario di Lincoln, in Nebraska, lo scrittore trentacinquenne ha legato il suo nome a un esordio sfolgorante (Elantris, 2005) e a una trilogia, quella di Mistborn (dal 2006 al 2008) in cui ha dato piena conferma di essere un vero e proprio talento narrativo, qualità che accompagna la sua altrettanto eccellente capacità creativa. Eccellente e prolifica: i suoi progetti sono infatti innumerevoli, includendo anche diversi romanzi scaricabili gratuitamente dal suo sito ufficiale e, non ultimo se non in ordine di tempo, la conclusione della celebre saga fantasy de La Ruota del Tempo su incarico di Harriet Rigney, vedova dell'autore della serie, Robert Jordan, tragicamente scomparso nel 2007.
The Way of Kings, che sarà pubblicato in Italia a fine anno da Fanucci (già editore nel nostro paese della trilogia Mistborn) con il titolo La via dei re, rappresenta forse per Sanderson il primo dei gradini che potrebbero costituire il suo ingresso in quell'Olimpo. E se i restanti nove volumi della saga saranno all'altezza del primo, il condizionale della frase precedente sarà da sostituire con il modo verbale della certezza.
Il primo volume di quella che, nelle intenzioni dell'autore, sarà una decalogia si apre sulle immediate conseguenze di una battaglia combattuta millenni prima rispetto al corso degli eventi narrati nel libro e rende subito l'idea dell'impressionante ricchezza dell'ambientazione creata da Sanderson. Roshar è un mondo arido, flagellato da potentissime tempeste che, nel corso delle ere, hanno fortemente condizionato l'evoluzione di flora e fauna, così come delle specie intelligenti che lo popolano, le quali hanno edificato le proprie strutture soltanto in luoghi e con tecniche costruttive che garantissero loro riparo da quelle tempeste.
Gli Heralds dopo aver ciclicamente difeso l'umanità, nel corso della storia, dalle terrificanti e ostili creature che sembrano giungere proprio con le tempeste, i Voidbringers, decidono infine di abbandonarla lasciandole, tuttavia, i potenti artefatti con i quali hanno condotto la guerra contro quella minaccia. Si tratta di armature e lame intessute di magia e dai poteri incredibili, chiamate rispettivamente Shardplates e Shardblades, il cui possesso genera divisioni e guerre mentre interi eserciti si radunano intorno ai portatori di questi artefatti.
Guerre come quella, interminabile, condotta da uno dei reami più potenti di Roshar, Alethkar, contro la cultura tribale e guerriera dei Parshendi, perchè proprio questi ultimi vengono ritenuti responsabili dell'assassinio del re alethi.
La narrazione segue i punti di vista di tre personaggi, ognuno appartenente a uno dei netti strati in cui sono strutturate le società di alcune delle principali nazioni di Roshar. Kaladin, figlio e apprendista di un medico, diviene un abile soldato ma cade poi in disgrazia. Shallan, giovane erede di una famiglia aristocratica della nazione di Jah Keved, tenta disperatamente di essere accettata come allieva della studiosa Jasnah Kholin, sorella del re di Alethkar, ma non solo per il prestigio che la sua casata, ormai in decadenza, potrebbe trarne. Dalinar Kholin, nobile generale alethi, è ossessionato dalle parole a lui rivolte in punto di morte da suo fratello, il defunto re di Alethkar, e comincia a mettere seriamente in discussione l'utilità di una guerra, quella contro i Parshendi, che rischia di dividere ancora di più l'aristocrazia della propria nazione.
L'imponenza di questo tomo non deve spaventare il lettore, perchè è esattamente proporzionale a una visione, quella di Sanderson, che già si preannuncia immensamente vasta e piena di dettagli. La storia, che andrà comunque giudicata nell'arco complessivo costituito dalla saga, è estremamente coinvolgente così come lo sono i personaggi principali e i loro drammi interiori, oltre a quelli minori.
La loro funzione è anche quella di guidare il lettore nella graduale scoperta del mondo di Roshar attraverso ciò che di esso i personaggi conoscono.
Proprio l'ambientazione è essa stessa un personaggio e si articola in un intero ecosistema ricco di dettagli e neologismi che a molti ricorderà quello ideato da Frank Herbert nella saga di Dune. Dunque un mondo vivo, coerente e straordinariamente affascinante, arricchito da un sistema magico che appare piuttosto simile a quello sviluppato dall'autore nella trilogia Mistborn ma legato stavolta a una fonte contenuta nelle gemme dell'arido Roshar. Se dunque, in alcuni passaggi, la narrazione può sembrare rallentare, indugiare nell'esplorazione dei pensieri, dei sentimenti e nel passato dei singoli personaggi, ciò non ne compromette la fluidità e la fruibilità. Oltretutto le scene d'azione, tratteggiate dall'abilità descrittiva di Sanderson e in diversi casi arricchite dalla magia e dagli artefatti da essa permeati, sono tra le più vivide che si possano trovare in un romanzo di genere, e mostrano un taglio narrativo dal sapore cinematografico.
Ad arricchire il tutto, le splendide illustrazioni interne di Isaac Stewart, Ben McSweeney e Greg Call che hanno il merito di immergere ancora di più, durante la lettura, nel sense of wonder che Sanderson sa evocare.
Capacità narrativa, abilità nel costruire nuovi mondi, originalità nelle idee sono, a parere di chi scrive, tra le caratteristiche fondamentali per definire uno scrittore fantasy: Brandon Sanderson dimostra con questo libro di possederle tutte, e ai massimi livelli.
NdR: questo libro è stato recensito prima della sua traduzione in italiano con il titolo La via dei re.
33 commenti
Aggiungi un commentoFinora sono riuscito a leggere (purtroppo) le prime cento pagine e non posso fare un paragone vero e proprio, ma a mio avviso Sanderson ed Erikson sono distanti: stili e modi differenti. Erikson con i Giardini della Luna ha lasciato spaesati per duecento pagine senza capire cosa stesse succedendo e in che mondo si fosse finiti, dando poche spiegazioni e svelandole molto lentamente. Sanderson nel prologo del primo libro spiega già diverse cose sui poteri presenti nel mondo di La Via dei Re e, cosa cui gli muovo una critica, lo fa in un modo non all'altezza di quanto mostrato finora: poteva fare diversamente e la resa sarebbe stata migliore.
Una pubblicità a mio avviso poco producente, cui spesso non faccio caso.
Mi ricordo sempre quella di Paolini su Brooks: "Chi non ha letto Brooks, non ha letto fantasy". Mi ha dato fastidio. Ho aprrezzato le opere scritte da Terry (non le le ultime purtroppo) e non ha bisogno di simili commenti per vendere.
devo dire che che dopo un paio di centinaia di pagine ho l'impressione che la via dei re per stile si avvicini di più a jordan che a erikson. Il primo aspetto è la connotazione della magia, che ha quasi connotazioni fisiche, con regole che sembrano nette. Da erikson mutua, forse, un certo modo di non descrivere il senso di quello che succede ma si limita ai fatti, compensando però con i pensieri dei personaggi che spiegano molte cose. Nel complesso comunque, è di alto livello.
A margine, sanderson conferma alcune sue caratteristiche, ossia alternare i personaggi nei vari capitoli e la capacità di descrivere i combattimenti in maniera molto spettacolare e soprattutto originale, senza tralasciare accadimenti estremamente epici ed eroici
Diversità rispetto a Mistborn? In quella trilogia l'ho trovato a tratti un pelino prevedibile e frettoloso nel chiudere alcune pratiche.
L'uso dei poteri di questo mondo magari non ti sorprenderà, dato che il loro utilizzo è similare (ma l'origine differente) a quello della saga Mistborn. Viene spiegato il funzionamento delle Stratolame e delle Stratopiastre, ma c'è ancora molto da scoprire, così come lo è per quanto riguarda le Animutanti.
Il mondo è molto più ampio, caratterizzato e vivo di quello della trilogia che hai letto.
Come In Presagi di Tempesta alterna le vicende dei tre personaggi di cui sta narrando le vicende, svelando un passo alla volta i loro fini.
Direi che rispetto alle letture precedenti, il romanzo è molto più complesso e approfondito.
se non altro, anche vista la lunghezza, non risulta sbrigativo, anzi.
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