Andrej, Olga, volete raccontarci come siete diventati illustratori?
Olga: La storia più interessante è quella di Andrei, lascio parlare lui.
Andrej: In realtà è una storia piuttosto triste: come sai in Unione Sovietica non era possibile semplicemente scegliere che lavoro fare, e se anche riuscivi a fare qualcosa a cui tenevi era molto difficile guadagnarci. L’unico campo in cui era abbastanza facile entrare era l’editoria, in particolare quella per bambini, così ho provato a propormi nel settore, e in contemporanea mi sono dato all’insegnamento, lavorando in un istituto d’arte e all’accademia di belle arti. E’ stato lì che – grazie all’interesse di un professore – ho iniziato a pubblicare i miei primi libri per l’infanzia.
In seguito ho conosciuto Olga e – beh, non solo per pigrizia – ma anche perché in contemporanea lavoravo come insegnante e non avevo abbastanza tempo, le ho chiesto di collaborare con me. Ha iniziato con le cose più semplici, poi è passata a personaggi completi e a cose via via più complicate, e ora è un’illustratrice che non ha più bisogno dei miei consigli o del mio aiuto -
Olga: – Non è vero, non posso lavorare senza di te!
Andrej: (sorride) Grazie. (A me) Vuole essere gentile, sa che per i prossimi venti, venticinque – o anche quarantacinque, chissà – anni saremo insieme, quindi vuole essere cortese.
Olga: O scaltra. Ho sempre voluto diventare illustratrice, sin da bambina. All’epoca – avrò avuto dieci anni – avevo una compagna di scuola la cui madre era illustratrice, e da allora ho sempre desiderato solo lavorare in questo settore.
E poi hai conosciuto Andrej.
Olga: Sì, esattamente! L’ho conosciuto a un corso di illustrazione per l’infanzia: io ero lì come studentessa, lui era uno degli insegnanti. Fu tutto molto semplice. E incredibile, un po’ come nei film hollywoodiani.
Andrej: (ride) Beh, può essere un ottimo esempio per gli studenti: qui al Mi-Master (l'intervista è stata realizzata durante il loro workshop al Mi-Master di Illustrazione di Milano, n.d.r.) qualche insegnante single c’è, sì?
A un certo punto avete lasciato la Russia e vi siete trasferiti in Germania.
Andrej: Arrivai in Germania grazie al mio editore, Mr. Schreiber (della casa editrice Schreiber-Bogen, n.d.r.). Lui aveva iniziato a occuparsi della casa editrice di famiglia dopo la Seconda Guerra Mondiale, durante la quale aveva passato un periodo di prigionia proprio qui in Italia, prima di riparare in un convento francese. Suo fratello maggiore, invece, era stato catturato dai russi e ha passato anni in una prigione in Siberia. Mr. Schreiber era estremamente versato nelle lingue straniere; parlava italiano, francese e, quando il fratello tornò dalla prigionia e iniziò a raccontargli delle bellezze naturali della Russia – non ho idea di cosa abbia visto di così bello in Siberia – Schreiber volle imparare anche il russo. All’epoca in cui io l’ho conosciuto collaborava già con altri artisti russi ed era in cerca di forze giovani da pubblicare. Aveva visto le illustrazioni che avevo fatto per le storie di Gogol, e mi propose di andare in Germania.
Olga: Ma tu hai rifiutato l’invito, ovviamente.
Andrej: Oh, sì. Pensavo che fosse uno “squalo capitalista”, che mi avrebbe sfruttato e soffocato… Quel genere di cose. Sinceramente, ero pieno di propaganda anti-occidentale, ero pazzo. Lui non rinunciò, però. Era l’epoca della Perestroika, i negozi erano vuoti ed era difficile trovare lavoro, e proprio in quel periodo ricevetti una telefonata dal mio editore russo, che conosceva e collaborava con Schreiber, che mi chiedeva se “non mi dispiaceva” andare a Stoccarda (dove ha sede la Schreiber-Bogen, n.d.r.) per lavorare a una certa serie di libri. Dissi che ci avrei pensato e chiesi consiglio a mia madre. La sua risposta fu: “Stupido! Vai immediatamente, cosa aspetti!?”. Anche Olga concordava, così andai. Quando l’editore vide quanto lavoravo lentamente senza di lei la invitò a raggiungermi, e così iniziammo a fare gli zingari avanti indietro tra Mosca e la Germania.
Olga: Era una scelta obbligata: il premesso di lavoro all’estero scadeva ogni tre mesi, quindi dovevamo tornare in Russia e cercare di farcene dare un altro.
Andrej: Ci è capitato di dover comprare una radio, per esempio, per poi rivenderla in Russia per avere i soldi per i biglietti per tornare in Germania. Per avere i visti c’erano code lunghissime… Non è stato facile. Alla fine decidemmo che ne avevamo abbastanza e che volevamo restare.
E’ incredibile pensare alla strada che avete fatto. Cosa ha significato il trasferimento in Germania per la vostra carriera?
Olga: Sinceramente non abbiamo mai pensato in termini di carriera quanto di commissioni interessanti, libri su cui ci interessava lavorare. Quello che intendo dire è che non abbiamo scelto un paese conveniente per la nostra carriera: è semplicemente capitato.
Andrej: Potremmo dire che è il paese ad aver scelto noi. Siamo capitati in Germania per caso. E poi all’epoca eravamo più giovani! Viaggiare avanti e indietro non era nulla se il premio era poter fare quello che amavamo.
Il vostro lavoro vi appassiona ancora?
Andrej: (ride) Lo odiamo! Sai il mal di schiena che mi viene a disegnare? Ma non ho tempo di fare altro, e ad Olga piace, quindi…
Parliamo di tecnica. Il livello di accuratezza e dettaglio nelle vostre illustrazioni è pazzesco, lo stile personalissimo: come siete arrivati a lavorare così?
Olga: Ricordo ancora che quando abbiamo iniziato Il Sartorello Coraggioso Andrej mi ha detto: “Voglio fare qualcosa che stupisca il mondo”. E’ interamente fatto ad acquarello, con pennelli finissimi, in punta di penna… Diglielo tu.
Andrej: Perché abbiamo sviluppato uno stile così meticoloso e accurato? Per paura. Avevamo paura che se non fossimo stati migliori degli altri non saremmo stati accettati, che l’unico modo per poter lavorare fosse superare la concorrenza. Non abbiamo mai avuto un agente, quindi non avevamo nessuno che potesse promuovere il nostro lavoro: doveva parlare da solo. Così ho pensato di dover tentare di fare qualcosa di spettacolare… In un certo senso era un modo per proteggersi. Non è mai stato amore per il dettaglio in sé, è che avevamo paura.
5 commenti
Aggiungi un commentoBellissima intervista.
In effeti Amleto per bambini non ce lo vedo proprio...ma se realizza una versione illustrata per "adulti" potrebbe anche diventare mia.
Edit: sul sito ci sono già le illustrazioni http://duginart.com/Bildgalerie/Andrej%20Dugin%20Hamlet/index.htm
Grazie Melian. Sono una coppia notevole.
In effetti ci vorrebbe la penna di un Roald Dahl per farne una versione per ragazzi degna - e cupa abbastanza. Sono comunque molto curiosa di vedere il lavoro finito.
Chiara
Una maestria rara, non c'è che dire. Complimenti al sito per l'interessamento che ha permesso questa scoperta meravigliosa .
Adesso spenderò il resto delle ore del giorno nella più sofferente delle contemplazioni, fissando ardentemente le tavole fino alle lacrime mentre annuisco alla mia destra alle rimostranze querule del mostriciattolo dagli occhi verdi, dissezionando con sguardo obliquo la materia fino a inferirne mestamente un grado di abilità tanto singolare quanto irraggiungibile. Completo il soliloquio abbracciando le ginocchia e consumando i pensieri fino a concludere che sono avvantaggiati coloro che forgiano la propria arte nel fuoco lento della pratica tradizionale...E pensare che da pargolo insofferente mi dedicavo al perfezionismo maniacale. Poi la fascinazione per la stilizzazione e l'avvento delle tecnologie digitali hanno corrotto il mio spirito fino all'abbandono totale di qualsivoglia metodo di riproduzione che comportasse molta più fatica di quanto non fosse necessario grazie all'efficienza dei mezzi, da cui si deduce l'origine 'decadente' di ogni forma di minimalismo.
Concordo con Melian e Woland... anche se non sono dotato della loro sensibilità intellettuale mi compiaccio nel vedere la passione e i risultati di questa coppia di autore, usando ancora la tecnica dell'acquerello in un mondo in cui il freddo digitale la fa da padrone.
Bravi ad entrambi e a Chiara per l'ottimo articolo/intervista.
Amleto per ragazzi? Perchè no!
Io mi ricordo certi fumetti (sbaglio ad attriburli a Sergio Toppi ?) pubblicati sul Corriere dei Piccoli negli anni '70. Erano tratti dai libretti delle opere liriche e dai grandi poemi epici. La storia di Sigfrido l'ho imparata a 6 anni... e anche quella del "Trovatore". Roba fosca, contorta e molto "culta".
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