Londra, 1887. Peter vive con la madre alcolizzata in condizioni di estrema miseria. La donna, sempre più pazza, usa il figlioletto come un servo senza fare mistero di non amarlo. Suo unico sollievo nella vita condotta tra vicoli sordidi, ciniche prostitute e poveracci abbrutiti, sembra essere la sua capacità di sognare. Storie fantastiche che condivide ogni giorno con un gruppo di piccoli orfani stipati in un edificio cadente, simile a una lurida stalla. L’avvenire di Peter pare segnato, per lui non si prospetta che la strada e un precoce decadimento fisico. Ma altrove, un mondo in pericolo ha bisogno di lui, e l’arrivo di una minuscola fata volante potrebbe cambiare il suo destino per sempre...
Oliver Twist se la passava di lusso. Sono poche le descrizioni della Londra vittoriana capaci di rendere una tale sensazione di degrado e irredimibile sporcizia morale oltre che materiale. Regis Loisel inizia a parlarci di Peter (non ancora Pan) con toni spietati, che sin dalle prime pagine suscitano un forte disagio. Ma l’affascinante epopea che precede le imprese più note del “ragazzo che non voleva crescere”, ambientata tra una cupissima Londra ottocentesca e lo scenario fantastico dell’Isola-che-non-c’è, è molto più di un semplice prologo alla celeberrima opera teatrale di James Matthew Barrie, in seguito adattata in forma di romanzo e quindi consegnata al mito dal cinema e altri media. Le rivelazioni di Loisel sul passato del futuro ragazzo volante è tutto fuorché una fiaba consolatoria. Non lo era neppure l’opera di Barrie, presto sottratta al controllo del suo autore ed edulcorata da tutti gli aspetti più anarchici e provocatori per essere trasformata in una più convenzionale avventura elogiativa del mondo dell’infanzia. Loisel recupera gli aspetti più forti e meno rassicuranti della poetica di Barrie, e a suo modo li estremizza ulteriormente, smascherando il retrogusto amaro della storia.
In principio c’è solo Peter, con la sua piccola vita sudicia e disperata. Niente Wendy né i suoi imbranati fratelli, destinati a incontrare il protagonista molto più avanti. Tuttavia molte delle icone più importanti create da James M. Barrie sono presenti, raffigurate da Loisel in modo tenero e nello stesso tempo cinico, incatenate – a dispetto della sfrenata fantasia – a una realtà che non perdona. La mitologia di Barrie è minuziosamente smontata e analizzata. Episodi noti che dovrebbero avvenire solo successivamente, sono in qualche modo anticipati, a volte con esiti ben più tragici, suggerendo che l’Isola-che-non-c’è e quanti ci abitano sono intrappolati in un ciclico meccanismo di cause ed effetti, animato da relazioni che si ripetono in un loop interminabile. Il vero nucleo del racconto è il concetto stesso di fantasia, con tutte le sue estreme, a volte drammatiche conseguenze. Sublime arma dell’intelletto per sfuggire all’opprimente miseria della vita, ma anche amante gelosa, invisibile prigione e forse anticamera della follia più profonda.
Non è un caso se in ambito medico il nome di Peter Pan è associato a una patologia psicotica che induce i soggetti a chiudersi in un mondo infantile. Con il suo approccio esistenzialista, dove l’ottimismo non trova molto spazio, Loisel disserta sull’ambiguità dell’immaginazione umana, sull’importanza di saperla gestire e sulle conseguenze di una progressiva negazione della realtà. Non crescere, in fondo, comporta il totale rifiuto delle responsabilità, e l’essere disposti a dimenticare interi frammenti di vita per vivere un eterno presente illusoriamente felice. Un’esistenza vaga e senza reali obiettivi, che privata dei ricordi, sia pure dolorosi, si arena e gira a vuoto in un’inconcludente estasi onanista.
L’intento di Loisel non è quello di condannare le seduzioni della fantasia come oppio dei popoli, ma di ridimensionarne il mito, illustrandone gli aspetti più crudeli. Irrinunciabile, eppure pericolosa come un’invitante sirena, la capacità umana di sognare non è di per sé buona o cattiva, ma è pulsione primordiale, amorale e panica. Un sottile filo rosso che unisce tutti e può scatenare meraviglie come orrori. Esemplare, al riguardo, la sottotrama che fa incrociare il cammino di Peter con quello di Jack lo Squartatore, insinuando l’esistenza tra i due di una raccapricciante empatia.
La straordinaria caratterizzazione di Capitan Uncino e il resoconto della genesi della sua rivalità con Peter, è significativa nei suoi dichiarati simboli psicanalitici. Peter e Uncino, in realtà, si assomigliano più di quanto credono e non hanno compiuto scelte dissimili. Hanno solo intrapreso la medesima strada in momenti differenti della loro vita, e questo li ha plasmati entrambi in modo uniforme sebbene con ruoli contrapposti. Loisel suggerisce che non è la presunta innocenza del bambino a fare di questi un potente catalizzatore di eventi fantastici, quanto il fatto che è privo dei molti freni inibitori già sviluppati da un adulto. E’ per questo che Uncino non potrà mai volare come Peter. Perché ha ceduto al suo lato infantile troppo tardi, quando l’età matura aveva ormai limitato la sua capacità di fantasticare. Questo fa di Peter e Uncino due nemesi perfettamente speculari, cui Loisel aggiunge un tocco in più. Una strizzata d’occhio a certa cultura popolare che evidenzia, scherzosamente, la natura freudiana dell’allegoria.
La forza sovversiva di Peter è comunque pura apparenza, giacché propone un modello di vita immutabile, dove si vive sognando e non c’è posto per la memoria (rendendo impossibile qualsiasi evoluzione). Uno scenario che potrebbe essere il paradiso come l’inferno, cosa di cui James M. Barrie era del tutto consapevole quando parlava della natura “demoniaca” del suo personaggio.
Peter Pan di Loisel è una lettura divertente e inquietante, che non dovrebbe sfuggire agli appassionati del fumetto europeo ed è consigliabile a tutti. La rivisitazione di un classico che riporta i personaggi alla natura sfuggente voluta dal suo autore, e la aggiorna con una sconvolgente, moderna visione.
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