“Perché la qualità più importante di un cacciatore è saper ascoltare. Ascoltare quello che gli dicono gli alberi e il vento. Quello che gli altri cacciatori e le prede gli possono raccontare sulla Foresta. E questo è il dono che ti ha fatto tuo padre. Non ti ha insegnato la stregoneria o la storia delle tribù. Ti ha insegnato a cacciare. E a usare la tua intelligenza. […] Se domani avrai successo sarà solo per questo: perché avrai fatto buon uso della tua intelligenza.”
Con un’idea di base rassomigliante al celebre Zanna Bianca, La magia del lupo racconta la storia di Torak, giovane cacciatore terrorizzato e in fuga. Il suo unico alleato è un cucciolo di lupo rimasto orfano; la sola arma per sopravvivere la sua abilità nel cacciare. Perché tra le cupe ombre della foresta un demone, lo stesso che ha ucciso suo padre, lo insegue furtivo e silenzioso come il respiro. Un demone deciso a distruggere tutte le tribù della foresta, e che Torak sarà costretto a sconfiggere durante La Luna del Salice Rosso. Anche se lui è solo un ragazzo e le tribù lo hanno esiliato per sempre.
Il primo romanzo della Saga del lupo può vantare una trama semplice ma evocativa che, nonostante sia da ritenersi più adatta a un target adolescenziale, non dispiacerà nemmeno a coloro in cerca di una lettura piacevole e non troppo complessa per trascorrere qualche ora di relax.
I sentimenti con i quali l’autrice vuole alimentare il lettore fanno perno sin dalle prime pagine sull’amicizia tra Torak e Lupo (sul nome dell’animale, però, mi aggrego a chi sostiene che un pizzico di originalità in più non avrebbe guastato). È soprattutto in questa prima parte, difatti, che Michelle Paver riesce a fare immedesimare il lettore nei protagonisti, trasmettendo ansia e paure, ma anche coraggio da vendere, sintomo di un’evoluzione rapida quanto forzata da ragazzo/cucciolo ad adulto. Affascinante la narrazione dal punto di vista del lupo, sia per il pizzico di umorismo sfruttato dall’autrice nell’impersonarlo (ad esempio soprannomina il giovane padrone ‘Alto Senzacoda’) che per un’introspezione psicologica tratteggiata con discreto successo.
Non altrettanto efficaci, invece, sono la strutturazione della parte centrale, lenta nei punti in cui l’autrice decide di soffermarsi con minuziosità sulle descrizioni e sugli eventi in preparazione allo scontro decisivo, e il finale affrettato, al quale sono state dedicate pochissime pagine dopo l’interminabile susseguirsi di fughe e spostamenti dei protagonisti da un ambiente all’altro.
La carta vincente è rappresentata senz’altro dall’abilità con cui Michelle Paver si sofferma sulle ricostruzioni della foresta che ricopriva tutto il nord-ovest dell’Europa seimila anni fa: dalle tecniche di caccia al cibo, dalle armi al vestiario e ai rifugi lasciati dalle popolazioni preistoriche, tutti elementi che la scrittrice riprende con piacere nelle note alla fine del libro, richiamando la sua passione per l’archeologia e lo studio intensivo di alcune tribù dei Nativi Americani, degli Inuit del Polo Nord, dei San del Sudafrica e degli Ainu del Giappone.
Un plauso va anche agli illustratori che hanno arricchito la saga nelle sue molteplici versioni (dai libri singoli, illustrati dagli italiani Paolo Barbieri e Stefano Baldo, al volume completo con la copertina di Kerem Beyit e i disegni che aprono ogni capitolo, realizzati a china da Geoff Taylor).
Non aspettatevi niente di troppo originale o complesso, quanto piuttosto un buon libro per chi ricerca ancora nel fantasy quel genere di avventura radicato nel passato in grado di discostarsi, al contempo, dall’ormai consumata cosmologia tolkeniana; un modesto romanzo di formazione che, malgrado la visione di un mondo intriso di brutalità, odio e pregiudizio, sa regalare ai lettori un affetto del tutto speciale, fermezza, amore per la natura e tolleranza, valori che non dovrebbero mai mancare nella vita odierna.
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