Giovanni, come e quando ti è venuta voglia di iniziare a scrivere romanzi?

Faccio fatica a pensare a un momento della mia vita in cui non ho desiderato scrivere. La prima volta dovrebbe risalire alla terza elementare, quando scrissi un tema, la storia di un uccellino blu. La lessi in classe ed ebbi una standing ovation da parte dei miei compagni. Poi, decisi di espandere la storia, lavorandoci a casa per allungarla. Fu una prova molto difficile, infatti al termine del lavoro non mi sentivo per niente soddisfatto. Tra le elementari e le medie scrissi cinque micro-romanzi. Poi, a partire dai sedici anni, mi dedicai ai racconti per almeno per un decennio.

Scrivere sceneggiature per il cinema influenza in qualche modo lo stile dei tuoi romanzi?

Poco, perché, come ti dicevo, ho iniziato prima a scrivere narrativa e dopo a scrivere sceneggiature. Quest'ultimo lavoro mi ha insegnato soprattutto a strutturare la storia e a visualizzare le scene. Nel caso de L'isola dei liombruni, forse, l'influenza è stata maggiore perché mi sono ispirato al regista Zavattini nel suo modo di pedinare i personaggi. Nel romanzo li seguo come se non ci fosse una grande storia da raccontare, parlando solo della loro giornata, ma la storia in realtà c'è. Inoltre, il libro è raccontato ora per ora, per 36 ore. Mi sono ispirato al neo-realismo per far emergere la superficie della vita sull'isola, momento per momento. Volevo raccontare dei ragazzi che giocano a pallone, che fumano la prima sigaretta, dei baci dietro agli stabilimenti. Questa è una parte molto importante del mio libro.

A un anno di distanza da Il mangianomi è uscito il tuo secondo romanzo, appunto L'isola dei liombruni, edito da Fazi. Quali differenze ci sono tra questi due libri?

Con Il mangianomi volevo raccontare una storia fiabesca. Non era pensata proprio per i bambini, ma volevo che anche loro avessero la possibilità di leggerla. Nel caso de L'isola dei liombruni, invece, non mi sono posto il problema ed è probabile che non sia adatta ai bambini. È una storia troppo forte e anche il linguaggio è più complesso. Con Il mangianomi intendevo scrivere un romanzo che avrei potuto leggere a dieci anni – leggevo tantissimo quando ero bambino – e anche rileggerlo dopo, da adulto. Immaginavo questo seicento barocco, con vecchi teatri e aiutanti misteriosi.

Come e quando hai iniziato a ideare L'isola dei liombruni? Quali letture ed esperienze ti hanno ispirato?

L'idea è nata circa otto anni fa, quando scrissi un gruppo di tre capitoli, che corrispondono quasi perfettamente a quelli pubblicati oggi. Non avevo la più pallida idea di cosa stessi creando, ma mi ero ispirato soprattutto a due elementi. Il primo è un film degli anni '70, intitolato Come uccidere un bambino? La storia è abbastanza simile a quella del mio romanzo: c'è un'isola in cui i bambini uccidono tutti gli adulti. Ma la fonte più importante è stata il primo film di Jim Jarmusch, Pemanent Vacation. I protagonisti sono dei ragazzi che fumano, parlano di donne e vanno in giro per una New York deserta. Quest'idea mi piaceva moltissimo. La rabbia adolescenziale di questi ragazzi era molto forte e mi ricordava alcuni aspetti della mia vita. Credo che la spinta principale sia stata proprio quella. Poi, dopo anni e anni, mi ritrovai ad aver bisogno di scrivere qualcosa di nuovo, così ripresi in mano quei tre capitoli. In un mese ho scritto tre quaderni di appunti e, in circa sei mesi, ho realizzato tutta L'isola dei liombruni. È stata molto dura, soprattutto perché stavolta ho scelto un tipo di struttura narrativa che non avevo mai utilizzato prima, una struttura minuto per minuto. Mi fermavo ogni tre settimane con l'idea di cancellare tutto. Ma, un po' per coraggio, un po' per vigliaccheria, alla fine ho portato il romanzo a compimento.

C'è un personaggio del libro che ti rispecchia in modo particolare?

Ovviamente c'è un po' di me in tutti i miei personaggi, anche in quelli sgradevoli, come i baroni (fatta eccezione per Cannarone). E anche nelle ragazze. Forse quello che mi assomiglia più di tutti è Zenzero.

Quali sono i tuoi scrittori italiani e stranieri preferiti?

Sono veramente tantissimi. Buzzati, Calvino, Bradbury, Kafka, Flaubert, Maupassant, Pirandello, Cortàzar, Manganelli, King, Basile… Questi è stato il primo a raccogliere alcune delle fiabe orali 'fondanti' europee, ma non è il primo favolista del mondo, ovviamente. Tra le fiabe che lui ha trascritto e reinventato per primo ci sono Cenerentola e Il gatto con gli stivali. Da lui ho tratto i nomi di quasi tutti i miei personaggi.

Parlaci dei tuoi progetti per il futuro, sia nel campo del cinema che della letteratura. Possiamo sperare nella trasposizione cinematografica de L'isola dei liombruni?

Sono diventato molto scaramantico, quindi preferisco non svelare nulla. Diciamo che scrivo e che continuo a scrivere. Per quanto riguarda un possibile film de L'isola dei liombruni, se Spielberg mi chiamasse per propormi una storia di cinque ore, accetterei. Ma, onestamente, penso sia impossibile trarre un film da quel libro. Non saprei neanche come cominciare a sceneggiarlo, sarebbe un film lunghissimo. Marco Chiarini mi ha aiutato a realizzarne il trailer e già quella è stata un'impresa difficile.

Una domanda di tipo tecnico: quando scrivi un romanzo, che procedimento segui?

Ogni romanzo ha il suo personale procedimento. All'inizio di solito c'è una lenta sedimentazione di taccuini, in cui raccolgo impressioni e appunti. Può anche capitare che mi cada in testa la storia intera, dall'inizio alla fine, come mi è successo con Il mangianomi. Subito dopo, comincio a lavorare alla stesura, a volte anche in modo un po' confuso, come per L'isola dei liombruni. Erano solo tre capitoli, ma volevo che i personaggi andassero a parare da qualche parte. Lo scrittore deve sempre sapere qual è lo scopo della sua storia, ma è anche vero che, quando sa troppo, la scrittura diventa molto tecnica e l'empatia con il personaggi diminuisce. Se sai già che, in quella scena o in quel capitolo, il personaggio deve fare determinate cose in un determinato modo, alla fine quello rischia di trasformarsi in una specie di burattino. Mi era successo in alcune parti de Il mangianomi, dove la scena era molto strutturata. Ne L'isola dei liombruni ho cercato di fare il contrario, di essere più impulsivo. Ogni sequenza doveva rispondere a se stessa, ma contemporaneamente all'insieme, questa è la stata la difficoltà più grande. Bisogna sempre trovare il giusto equilibrio tra le due forze contrarie. Se una scena serve solo per passare a quella successiva, avviene un indebolimento della trama e un allontanamento da parte del lettore. Volevo anche che il racconto fosse come un flusso. Uno dei possibili difetti del romanzo è che non si scopre per molte pagine quale sarà lo scopo della storia. È un rischio che ho voluto correre. Inoltre, avevo anche molte informazioni da dare. Dato che l'isola dei liombruni non è una normale isola vacanziera, volevo che il lettore percepisse la sua stranezza goccia a goccia.

Per quanto riguarda l'editing, io faccio almeno due “passate”. Poi ci dovrebbero essere almeno altre due “passate” con l'editor della casa editrice. Alla fine, cinque “passate” sarebbero l'ideale. Con L'isola dei liombruni la scrittura è stata abbastanza felice. Sì, mi fermavo ogni tre settimane convinto di stare facendo un pessimo lavoro, ma quando riscrivevo il blocco, quello funzionava. Ne romanzo, infatti, è stato fatto meno editing strutturale rispetto a Il mangianomi, dove ho dovuto riscrivere intere parti. 

Tuttavia l'editing è stato molto più puntiglioso.

Lo scopo dell'editing dev'essere quello di cancellare tutte le informazioni che non sono essenziali. Siamo riusciti a eliminare ben cinquanta pagine e la storia non solo funzionava lo stesso, ma funzionava molto meglio. Abbiamo tolto alcuni dialoghi che fornivano spiegazioni, per rendere ancora più misteriosa la vicenda, lasciando spazio all'immaginazione del lettore.