La storia, le religioni, la psicologia insegnano che ogni cosa ha un'unica origine, che tutto comincia dallo stesso punto. Non è un caso che culture differenti, pur cambiando nomi e costumi, abbiano gli stessi miti e le stesse leggende: si tratta di storie identiche solo con una veste diversa. Con il passare del tempo l'uomo ha dimenticato, sembra quasi voler dimenticare il passato e le origini da cui discende, ma l'inconscio fa ritornare alla mente memorie che non ha perduto, che ha messo solo da parte smarrendone il ricordo.
Una realtà che Guy Gavriel Kay ha voluto utilizzare per creare la storia di Fionavar, il primo dei mondi, il mondo a cui tutti gli altri sono legati e la cui caduta comporterebbe la fine di tutto. Il mondo in cui s'intrecciano storie che da sempre si ripetono, in ogni tempo, in ogni luogo; storie, copioni destinati a ripetersi fino a quando il karma non avrà trovato risoluzione, fino a quando le colpe non saranno state espiate e le lezioni da apprendere apprese.
È il destino in cui incorre Arthur Pendragon, conosciuto anche come il Guerriero, costretto a essere svegliato dal suo lungo sonno e tornare a combattere in ogni mondo per trovare espiazione della colpa di cui si è macchiato in giovane età. Una colpa nata dall'inganno e perpetrata a causa dalla paura; quella paura che colpisce ogni re quando sorge una profezia che annuncia la caduta del proprio regno in seguito alla nascita di un bambino e che fa agire in maniera sconsiderata, creando una ferita nella storia che sempre rimane, che anche con il trascorrere dei secoli fa riecheggiare un grido d'orrore e vendetta: l'urlo di una madre che vede il figlio strappato dalle proprie braccia e trucidato senza saperne il motivo, che grida la propria maledizione verso il sovrano crudele, come lo è stato il faraone d'Egitto al tempo della nascita di Mosè ed Erode in quello della nascita di Gesù.
Attraverso questo personaggio leggendario Kay mostra sì la figura dell'Eroe, amata e rispettata da tutti, che si erge a baluardo contro il male, ma fa anche accorgere che per quanto grande possa essere lo spessore di un individuo, nessuno è esente da ombre, tutti hanno cadute e commettono colpe; solo nell'idealizzazione, nel mondo del pensiero si raggiunge la perfezione. Anche Gesù in un passo del vangelo mette in guardia dal cadere in questa erronea visione delle cose: "un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: «Maestro buono, che cosa devo fare per avere in eredità la vita eterna?». Gesù gli disse: «Perché mi chiami buono? Nessuno è buono, se non Dio solo.»" (1) Infatti Dio è perfetto fino a che rimane nel piano dello Spirito, dato che appena entra nel mondo materiale deve sottostare alle sue regole, acquisendo quelle imperfezioni e quei limiti appartenenti a qualsiasi essere vivente, come viene mostrato da Gesù, angustiato da dubbi e paure come ogni uomo.
Un Eroe, Arthur, tormentato da un triangolo amoroso che non può avere soluzione felice, gravato dal fardello della maledizione dell’infanticidio, impossibilitato a trovare riposo. Una figura che anni dopo, sempre ispirandosi alle leggende del Graal e al mito del cavaliere in cerca, Stephen King userà per dare vita a Roland di Gilead, anch'egli anima tormenta e maledetta, costretta a rivivere un'esistenza mossa da un karma impietoso.
Ma Kay, pur consapevole che la vita anche nel fantastico è sofferenza e perdita, dolore e decisioni difficili, sa che ci può essere speranza anche nell'ora più buia e che chiunque se lo vuole, se è divenuto consapevole degli errori commessi e delle conseguenze che hanno portato, può trovare redenzione, essere assolto dalla colpa che lo perseguita: così è nel mito che parla dell'Eroe, che per espiare i propri errori ed essere libero dalla colpa, deve compiere imprese atte a rimediare a parte del male presente nel mondo. Quel male che tutti contribuiscono a creare e di cui ognuno è responsabile: una realtà mostrata da Eracle, che, a seguito della pazzia causata da Era, uccise la moglie Megera e i suoi figli e dovette, seguendo le parole dell'oracolo di Delfi, compiere le famose dodici fatiche impostegli da Euristeo.
Così lo scrittore canadese vede Arthur, che dal nostro mondo mette piede per la prima volta su quello di Fionavar e fa rivivere le leggende legate al suo ciclo e a quelle dei cavalieri che hanno condiviso il sogno di Camelot: da Lancelot, risvegliato dal proprio re a Cader Sedat (conosciuta nel nostro mondo come Caer Sedi e Caer Rigor, un luogo potente, un luogo di morte), a Guinevere, dall'ultima battaglia a Camlann in cui incontra il suo tragico destino al fedele cane Cavall, compagno di tante battaglie, alla Lancia dei Re (che ricorda Gungnir, quella di Odino, arma con il potere di colpire sempre e infallibilmente il suo bersaglio), a Elaine, la Damigella di Astolat (figura dell'amore non corrisposto, qui incarnato da Leyse della Marca del Cigno, che lascia questo mondo anch'essa su una barca). Personaggi, destini che s'incrociano in un'unica storia, come succede a Flidais che rincontra nella propria terra natia quello che un tempo era stato il proprio sovrano. Flidais che su Fionavar è un andain, il figlio di un mortale e un dio, ma che al tempo dei Cavalieri della Tavola Rotonda era conosciuto come il bardo Taliesin, un individuo che si riteneva anche in quei tempi possessore di poteri soprannaturali.
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