Flidais, bambino saggio, conoscitore di tutti gli indovinelli tranne uno, icona del tormento che si prova finché non si dà realizzazione al desiderio del cuore. È forte lo strazio, il protendersi verso di esso e grande è il sollievo quando riesce a esaudirlo. Rivelatrici sono le parole che pronuncia sulla natura che l'ha tormentato così a lungo: "Mi avete liberato dal desiderio. Quando l'anima ha ciò di cui ha bisogno, non è più schiava del desiderio." (2) Perché l'uomo con il desiderio è come una freccia scagliata verso l'alto, protesa in un volo per raggiungere il suo obiettivo e colmare un bisogno interiore; non per niente si dice che l'uomo felice è quello che non ha alcun desiderio nel proprio cuore, perché significa che ha raggiunto uno stato di pace e serenità che lo fa rendere integro, non più diviso in se stesso. Una ricerca che tutti intraprendono, si può dire fin dagli albori del tempo, dove l'individuo cerca sempre di dare risoluzione alla propria natura, di riunire i pezzi di sé che i tempi e le ferite hanno sparso in giro.
Ma Guy Gavriel Kay non dà spazio nella sua trilogia solo ai miti arturiani, riesce a fondere nell'opera le leggende e le culture di vichinghi, greci, del popolo ebraico e anche di quello dei nativi americani.
Gli andain ricordano i gibborrim, il frutto dell'unione tra mortali Angeli del culto ebraico; ma sono solo uno dei riferimenti a esseri che hanno discendenza divina: in ogni culto e religione si parla di figli nati da esseri umani e divinità. Creature potenti, certo, capaci di dispensare doni e favori come i genitori d'origine divina, ma che come loro devono sottostare a delle regole; sono limitati, come qualunque cosa entra a far parte dell'arazzo della vita. In questo modo di mostrare l'universo, rassomigliandolo a una tela con la forza creatrice chiamata Tessitore e l'energia con cui crea Telaio, si nota l'influenza dei vichinghi (che vedevano la propria esistenza come una matassa, dove la lunghezza del filo della vita era stata decisa dagli dei) e dei greci (dove le Moire tessevano il filo del fato di ogni individuo: Cloto che filava la vita degli uomini, Lachesi che la misurava e Atropo che la tagliava).
Influenze che si possono notare pure negli dei che abitano il mondo di Fionavar.
Liranan prende molti spunti da Poseidone, dio del mare e fratello di Zeus: anche nell'ambientazione creata da Kay la divinità marina possiede un legame parentale con il dio del cielo di Fionavar, Mornir, che in questo caso ne è il padre.
Ceinwen la dea della caccia ricorda la figura di Artemide, sia nelle abitudini, sia nel fato che incorre chi la vede mentre caccia o fa il bagno: nessuno che la osserva in tali condizioni può rimanere in vita.
Dana legata alla terra e Mornir al cielo, sono uno specchio di Demetra e Zeus. E come tra le divinità greche, tra i due si è creata una frattura che si protrae da tempo, anche se in questo caso la diatriba ha una natura differente. In un passato lontano l'unica magia che gli uomini avevano a disposizione era quella concessa da Dana, una magia fondata sulla radice della terra, l'avarlith, e solo le sue sacerdotesse potevano usarla pagando un tributo di sangue. Gli equilibri cambiarono quando Amairgen, un umano, partì alla ricerca di una nuova fonte di potere. Fu nel bosco di Pendaran, quando incontrò Mornir, che ebbe la rivelazione della magia celeste, la forza che nasceva dal cielo e dalle stelle: il dio del tuono, in questo caso travestito da Prometeo, gli concesse il potere delle Rune, liberando i maghi dall'asservimento che avevano nei riguardi della dea Madre.
Fu tale conoscenza a creare la rottura fra Mornir e Dana, una divisione netta come c'è tra cielo e terra; una rottura che sarà saldata con il sacrificio di Paul sull'Albero dei Re: un antico rituale che vede il sacrificato legato all'Albero per tre giorni ed esposto al sole per far sì che la pioggia torni a cadere. Un'agonia che richiede come costo la vita, che però in questo caso non porta alla morte, ma alla rinascita di qualcosa di nuovo, come avviene con Gesù Cristo dopo essere stato rinchiuso per tre giorni nel sepolcro. Un rituale che non fa solo scendere la pioggia tanto agognata dopo la lunga siccità che ha colpito Fionavar (e qui si possono vedere analogie tra Ailell, anziano sovrano di Fionavar che si è rifiutato di salire sull'Albero, e il Re Pescatore, ultimo discendente della stirpe dei Re del Graal, personaggio la cui menomazione, di solito nel mito si fa riferimento alle gambe o ai genitali, si ripercuote sul suo regno, che si è trasformato in un luogo devastato), ma come succede nella mitologia vichinga, concede sapere: è la scelta fatta da Odino per acquisire la conoscenza dei morti, dell'Al di Là, facendosi trafiggere da una lancia e poi appendere per nove giorni a Yggdrasill, l'Albero della Vita (per questo Odino viene anche conosciuto come il dio degli impaccati: i suoi fedeli per ottenere parte della sua conoscenza e del suo potere seguivano lo stesso rituale, rimanendo esposti ai venti e appesi a un grande tronco). Ed è sull'Albero che Paul vede i corvi, Pensiero e Ricordo, legati strettamente al dio vichingo, che sempre lo accompagnano.
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