Dopo, pensare al mio cuore. Capire se mi stavo innamorando. E quanto.
Ad un certo punto, lei mi si offrì totalmente. La sentii inarcarsi con forza, chiedere con i muscoli tesi. I peli del pube ricciuto mi sfiorarono la coscia, raggiunsero il pene gonfio e pulsante, lo lambirono mentre una palpitante intimità si schiudeva ad accoglierlo.
In quel momento, fu comunque Amore. Io amavo lei, e lei amava me. Può essere anche una parentesi d’un minuto, un attimo rubato, ma deve esserci una qualche forma d’amore, pur breve e illusoria, per essere davvero magnifico.
In realtà sentivo che Magda mi amava d’un Amore che non potevo comprendere, riconoscere, che però provavo fortissimo. Si riversava in me con ondate possenti, mentre i suoi fianchi spingevano, la schiena disegnava ritmici archi, i glutei sudati e sfuggenti si tendevano e rilassavano sotto i miei palmi decisi, il suo ventre aderiva al mio, e io sotto di lei godevo del suo piacere e lei del mio, mentre respiravamo il rispettivo ansimare, fino ad unire il piacere al suo culmine. Il seme caldo si riversò in lei con dolce violenza, evocando un prolungato gemito.
Esausto, mi abbandonai accanto a lei. Sognante.
Per vari minuti, non scambiammo parola. Fu lei a rompere il silenzio.
- Avevi mai fatto l’amore con una vergine?
- Neanche con una Bilancia, se è per questo.
- Scemo! Intendevo proprio vergine.
Rimasi sorpreso. Al punto che fui indelicato nell'istintiva sincerità della mia risposta: - No. Ad ogni buon conto, non prendermi in giro. Non puoi propinarmela questa della tua verginità.
Lei rise forte, spiazzandomi. - Oh, in qualche modo io rimarrò sempre vergine - affermò, sempre sghignazzando, e sparì nel bagno.
* * *
La sottile Pelikan Signal Fineliner aggrediva nervosa il foglio, abbozzando i contorni di un'esotica regina seminuda, sullo sfondo di perduti giardini pensili. Alle sue spalle, una luna butterata galleggiava in un firmamento arcaico e arcano.
Un cigolio mi avvertì della porta del bagno che si apriva. Mollai il mio disegno. Mi girai e vidi la sua testa fare capolino. I capelli bagnati gocciolavano a terra.
- Pssss! – chiamò. - Ce l’hai un phon da qualche parte?
Silenziosamente, mi alzai e raggiunsi il bagno. L’asciugamano buttato sulle spalle, stretto al petto con una mano, non bastava a coprirle il generoso triangolo pubico. Con pudico istinto, distolsi lo sguardo. Presi l’asciugacapelli, glielo diedi e feci per andarmene.
- No - mi bloccò con una punta di malizia. La mano che tratteneva l’asciugamano scattò a fermarmi. Ovvia la conseguenza. Erano nudità che del resto avevo ben conosciuto. - Asciugameli tu, ti prego.
Obbedii, come stregato. Lei si sedette sul sanitario, e lasciò che con la mano e il phon le asciugassi il capo, modellandone la pettinatura.
- Le tue mani non sono grandi, non sono maschie – constatò. - Sono però gentili.
Sorrisi al complimento, ignorando la critica. Mi chinai a baciarla sulla fronte. Poi continuai le mie improvvisazioni da coiffeur.
- Torniamo al santuario - esordì lei, di lì a poco. Gli occhi come tristi.
- Quando vorrai. Non c’è problema.
- No. Non hai capito. Voglio tornarci oggi. Adesso.
- Sarà tutto chiuso, lassù, ora - obiettai, con plausibile motivazione. - E’ tardi, ormai.
- Ti prego...
Potevo dirle di no?
* * *
Smentendomi, nonostante l’ora il pesante portale era ancora aperto. Piano, con passi fluidi ma come rallentati, rubando attimi al tempo e respiri al silenzio, risalimmo l’ultimo breve e debole tratto di pendio che portava al cortile interno.
Ed ecco che, mentre i nostri piedi si muovevano, e i nostri cuori si accarezzavano attraverso le mani congiunte, ecco generarsi, insinuante e vago in principio, come una specie di prodigio attorno. No, non l’incantesimo conosciuto, anche se sempre nuovo, dell’Amore. No: si trattava di una magia aliena, il cui tocco innaturale mi fece rabbrividire.
Come avanzavamo, così quella atmosfera si ingravidava di un’aura incantata, che intuivo portentosa. Mi scopri percorso da timori atavici, senza volto, che montarono in me accelerando il pulsare nel mio petto.
Sfuggenti lampi visionari, che non riuscivo a catturare e capire, mi flashavano negli occhi, sovrapponendosi a tratti alla realtà.
Stordito, cercai conforto nella luna, appesa lassù in alto. Troppo in alto. La trovai diversa, quasi irriconoscibile, e così le costellazioni che la circondavano. La densa nebbia aveva al nostro seguito risalito la rupe e ora ci avvolgeva le caviglie, intirizzendo le giunture. Non un rumore, non un suono. La nebbia annullava persino i passi sulla ghiaia. Restava solo il mio respiro incerto.
Lei percepì il mio crescente disagio, il germe della mia paura. Le dite della sua mano s'intrecciarono alle mie con maggior vigore. Quel tocco empatico mi tranquillizzò. Le rivolsi lo sguardo e la vidi ancor più bella, luminosa, quasi riflettesse in lei ogni singolo bagliore di quelle magie notturne a cui assistevo.
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