Lucca Games 2011. Non capita spesso che la Ricerca Storica esca dai dipartimenti universitari e se ne parli nel mondo dei comuni mortali, ma la passione per i giochi di miniature, la simulazione militare con la riproduzione ludica delle grandi battaglie succedutesi nel tempo, ha avuto il potere di evocare un'interessante lezione sul Concetto di Storia e la sua natura dialettica.
A condurre la discussione Wargame e Storia: una relazione pericolosa sono stati il vicedirettore di Radio Rai, nonché storico e saggista Sergio Valzania e il direttore di Lucca Comics & Games, Renato Genovese, moderati da Alberto Panicucci di RiLL.
La conferenza è iniziata stigmatizzando il modo di giocare di certi war gamers, i quali applicano a tutti i loro incontri la stessa tattica, qualsiasi sia il tempo storico in cui è ambientata la battaglia, quando Valzania segnala quanto, invece, il giocatore di wargame storici faccia un lavoro similare a quello del ricercatore storico.
È vero, si muovono solo delle miniature su un tavolo, ma ogni fatto storico avvenuto nel passato è irrimediabilmente perduto nella sua interezza. Possiamo ricostruire solo gli armamentari, tentare di indovinare i numeri degli effettivi, ma quel che più importa – e che i regolamenti di questi giochi hanno tentato di restituire ai moderni – è ricomporre i pensieri, le motivazioni, le credenze dei combattenti.
Panicucci ha ricordato che c'è stata un'evoluzione nel modo di ricostruire i combattimenti nell'evoluzione dei regolamenti dei war games storici, e Renato Genovese ha chiosato, più in generale, che i sistemi di gioco succedutisi negli anni hanno seguito il cambiamento della storiografia.
Si pensi a Tactis: un regolamento nato negli Stati Uniti, che obbliga i giocatori a porre grande cura nel dispiegare le truppe sulla mappa, e lascia una certa libertà di decidere i movimenti delle unità solo durante le prime due/tre mosse, dopo esse non potranno fare altro che avanzare. Ciò riproduce bene l'andamento delle battaglie di campo, quando dopo i primi istanti, quando gli eserciti entrano in contatto, le linee di comando si interrompono, e lo scontro si riduce a un gigantesco "tiro alla fune".
Di qui, interagendo Genovese e Valzania viene un'ulteriore lezione sul Concetto di Storia (di cui esistono trattati su trattati di Filosofia e Metodologia della Ricerca Storica):
Cos'è la Storia? Per quale motivo cerchiamo di conoscere fatti accaduti tremila anni fa?
E di qui la risposta: una società lavora alla ricostruzione del passato per elaborare una propria Storia, una memoria, una memoria condivisa che si tramuta in identità e contribuisce a rispondere alla domanda collettiva: chi siamo noi?
E quanto più ci rendiamo conto che la ricerca del passato è un atto utile a noi stessi, tanto più ci rendiamo conto che non siamo tanto diversi dai nostri antenati.
Dopotutto, la narrazione di un conflitto è un altro modo di perseverare nello stesso conflitto con altri mezzi.
Se consideriamo che il De bello gallico di Giulio Cesare, e La guerra del Peloponneso di Tucidide, sono narrazioni create per i fini propri di chi le ha scritte, viene il sospetto che fare Storia sia un fatto principalmente dialettico, ma se consideriamo la storia della Storiografia, a partire dal settecentesco Storia del declino e della caduta dell'Impero romano, di Edward Gibbon, passando per l'idolatria ottocentesca dei documenti, seguita dall'apporto recato dall'Archeologia e aggiungendoci la capacità che dovrebbero avere acquisito ora tutti gli storici di leggere "in controluce" ogni tipo di fonte, possiamo essere sicuri che al giorno d'oggi sappiamo raccontare Storie più credibili, sebbene imperfette.
E quindi la Storia va sempre raccontata, almeno affinché i regolamenti dei war games possano sempre progredire.
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