A scanso di equivoci, dichiariamolo subito: nell’intervista che segue non si parlerà in alcun modo di fantasy, o di narrativa attinente al fantastico.
Si parlerà invece di due romanzi storici, vissuti dalla parte di due protagonisti decisamente bistrattati dalle fonti storiche. Ma che invece meritano una rilettura.
Con la consapevolezza che tra i lettori di fantasy ce ne sono molti che amano la storia, e tra questi svariati che sono particolarmente attratti da quella romana, siamo pertanto lieti di proporre questa intervista ad un’autrice del calibro di Claudia Salvatori.
Cara Claudia, eccoci a parlare delle tue esperienze… “romane”. Mi riferisco ovviamente ai due tuoi libri sinora pubblicati nella serie “Il Romanzo di Roma”, che la Mondadori ha affidato a vari autori italiani, sotto la sponsorship e il coordinamento di Valerio Massimo Manfredi. Un progetto molto interessante, perché pur se corale nel suo complesso, lascia evidente indipendenza ai singoli narratori nell’approcciare i soggetti concordati con libertà di stile, andando a formare un contenitore eclettico. Che ne pensi del progetto in generale?
Il progetto mi ha entusiasmata dal principio. Mi ha dato modo di allenarmi sul romanzo storico puro, una vera boccata d'aria dopo tanto giallo (con relativa etichetta di giallista). Scrivo romanzi storici ormai da dieci anni. Ho cominciato con Ildegarda, e con un romanzo che è rimasto inedito, una biografia immaginaria di Hieronymus Bosch. Poi quello che uscirà il prossimo anno (aprile), di ambientazione medioevale. Infine i due di Roma. Ero stanca di raccontare storie di persone (noi) minuscole, incenerite e disperse nel vento. Quello che mi affascina del passato sono le realtà solide, tanto solide da permettere valori come l'eroismo, la fede, il sacrificio, la regalità intesa non in chiave moderna (prepotenza e arbitrio) ma come il più alto livello di responsabilità verso una collettività. Vivo in un trip allucinatorio i valori antichi. Certo, è un'operazione un po' bastarda, molto ambigua. Ma è tutto quello che c'è, se vuoi avere almeno il profumo dei valori antichi.
E veniamo ai tuoi contributi. “Il Mago e l’Imperatrice: il volto nascosto di Messalina” e “Il Sole Invincibile: Eliogabalo, il regno della libertà”. Che tipo di reazione hai avuto dell’editor Mondadori responsabile del progetto quando hai proposto questi due protagonisti della storia romana, e soprattutto l’intenzione di darne una chiave di lettura che andasse oltre (o meglio fosse più profonda e umana) a quanto gli storici antichi (spesso di parte, se non addirittura condizionati da politiche di revisionismo) ci hanno consegnato?
Messalina mi è stata proposta. Ci ho pensato un paio di giorni, giusto per vedere come avrei evitato il cliché donna-che-tratta-di-personaggio femminile. Poi mi sono convinta di avere a che fare con una (probabilmente) grande donna italiana misconosciuta. Eliogabalo l'ho proposto io. La redazione era d'accordo sulla chiave di ri-lettura di questi due personaggi, screditati e offesi nei secoli, che ci sono stati consegnati avvolti in una bava di volgarità derisoria.
Avito. Marco Aurelio Antonio. Eliogabalo. Tre nomi, per identificare uno stesso individuo. Ma, nel contempo: un ragazzo (particolarmente intelligente, dotato, empatico – ma pur sempre un adolescente), un imperatore (in un momento storico in cui gli imperatori duravano un niente sul trono di Roma), un dio (in un’epoca in cui gli dei entravano, volenti o nolenti, in spietata concorrenza nell’animo dei romani).
Avito mi era rimasto nel cuore dall'epoca della lettura di Eliogabalo di Artaud, quando avevo circa vent'anni. Una storia, una vicenda umana così vivida ed eterna, trasversale a tutte le epoche. La storia è questa: in una società già rigidamente codificata ma decadente arriva uno straniero, portatore di un'altra cultura. Lo straniero ascende al potere supremo e distrugge dall'alto: dal basso, un movimento uguale e opposto distrugge lui. Ma avrebbe potuto essere il contrario: lui dal basso (rivoluzionario) distrutto da un potere dall'alto. È curioso come il risultato non cambi. Vedo Eliogabalo come una vera figura messianica, prometeica, un demone apparso fra gli umani per insegnare qualcosa. Essendo estremamente giovane (i giovani vogliono tutto e subito) agiva da dio, cioé senza calcolare conseguenze politiche. Quello che mi meraviglia non è che non lo abbiano compreso i suoi contemporanei, ma neppure i posteri. C'è voluto un "pazzo" come Artaud per capire.
“Il sole invicibile” si apre con un evento dell’infanzia del piccolo Avito. Quello che potremmo definire un trauma infantile, ma che è va oltre la semplice lettura psicanalitica, decisamente…
Ho inventato questo trauma non per impostare una lettura psicanalitica, ma per suggerire un segno, un presagio della futura personalità di Avito, in grado di contenere ogni cosa e il suo contrario. Credo che ci sia un trauma, una lacerazione per ciascuno di noi. È quando avviene la separazione dalla nostra infanzia, dal nostro paradiso personale, quale che sia, e scopriamo la realtà… la realtà degli altri. Per tutti noi, in un preciso momento, il mondo si divide.
Nel romanzo c’è un’alternanza tra narrazione coniugata al passato e al presente. E’ una tecnica oggi più diffusa che in passato, ma nel caso tuo quasi non ci si accorge di questo duplice approccio al narrato. Sono passaggi infatti molto fluidi, per niente rimarcati. Al punto che mi viene da chiedermi se non sia per niente frutto di una scelta, ma uno stile spontaneo…
È stata una scelta precisa. Volevo presentificare alcuni momenti del percorso del personaggio, quei momenti che possono essere esemplari, leggibili anche oggi. Nel libro di Artaud non sembrava neppure di trovarsi nella storia di Roma, certamente non nel genere peplum e sandaloni. Poteva essere la vicenda di un poeta maledetto francese, o di una rockstar anni '60.
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